lunedì 14 maggio 2007

L'uccisione di Dadullah

Rassegna stampa del 14 Maggio 2007 sulla politica estera
Il Corriere apre con l'uccisione di Dadullah, il capo militare dei talebani che ieri è stato ucciso dalla NATO in Afghanistan.

il titolo della Stampa è "Ucciso il tagliagole talebano". La Stampa da qualche tempo a questa parte ha abbandonato il suo caratteristico aplomb e ha cominciato a fare titoli più vivaci. Spiega la Stampa: "Il comandante dei guerriglieri talebani Dadullah è stato ucciso in Afghanistan in un raid guidato dagli americani. Fu lui ad ordinare il rapimento di Daniele Mastrogiacomo negli scontri del sud del paese". Ha perso la vita anche il fratello del Mullah. Intanto ieri Al Qaeda ha rivendicato il sequestro in Iraq dei tre marine americani. Secondo l'analisi di Loretta Napoleoni sulla Stampa, quel "Zarqawi afgano" sarà presto sostituito. "Dadullah era prima di tutto un guerrigliero, e, per definizione, chi combatte la guerriglia è rimpiazzabile."
Sul Corriere della Sera troviamo un'intervista di Lorenzo Cremonesi ad un esperto pashtun, uno dei pochi giornalisti locali che hanno incontrato personalmente più volte sia Dadullah che il mullah Omar, che dice: "Certo è rimpiazzabile però il colpo è stato duro, il più duro subìto dai talebani dal momento dell'invasione guidata dagli americani di sei anni fa. Da allora nessuno della portata di Dadullah era mai stato catturato o ucciso. Molti di loro sono talmente sotto choc che ancora rifiutano di accettare la notizia della sua morte. Dicono che si tratta di un sosia, sognano, si illudono di vederlo riapparire da un momento all'altro. Però non sono sconfitti, presto nomineranno un sostituto, i candidati non mancano. Ovviamente occorrerà che il nuovo capo si conquisti la fiducia sul campo dei suoi uomini. Dadullah era apprezzato perché pagava sempre di persona, nei combattimenti non si risparmiava mai. Per qualche tempo c'è da aspettarsi una sorta di tregua nelle operazioni talebane, poi però torneranno all'attacco più aggressivi di prima."
Da segnalare anche la Repubblica, intanto perché
c'è il racconto di Daniele Mastrogiacomo, il giornalista rapito che aveva incontrato il suo sequestratore Dadullah: "Quello sguardo implacabile decretava la morte e terrorizzava anche i suoi uomini. Dadullah giustiziava di persona i prigionieri." E ancora sulla Repubblica è da segnalare l'articolo di Guido Rampoldi che agita i talebani: "La voglia di golpe di Musharraf condiziona la partita afgana. Il presidente del Pakistan si trova a un bivio: deve scegliere se provare a vincere le elezioni che ha detto di voler indire, oppure trasformare il suo regime in una dittatura. L'eventuale svolta autoritaria a Karachi sarebbe impossibile senza il consenso dei fondamentalisti, cioè degli stessi gruppi che sostengono gli studenti di teologia, vale a dire i talebani."
Sui rapporti fra i diversi movimenti fondamentalisti,
è interessante l'articolo sulla Stampa di Mimmo Candito, che parla di un'alleanza complicata tra Al Qaeda e i talebani: "Lo spaventoso incremento degli attacchi kamikaze a Kabul e nelle province meridionali introduce metodi e scelte del tutto estranee al costume politico e religioso dei mujaheddin e dei talebani. E rivela che sul campo tende a radicarsi una cultura dello stragismo che mira a colpire indiscriminatamente i civili mettendo in crisi l'osmosi che integrava gli ex-studenti delle madrasse con il territorio dentro cui operavano. Col ripetersi degli attacchi degli uomini bomba e l'indifferenza che lo jihadismo manifestava contro le proteste popolari è nata un'accelerazione delle tensioni. Gruppi tribali e formazioni talebane si sono trovate ad agire fianco a fianco per punire gli stranieri di Al Qaeda e lanciare un chiaro segnale che la coabitazione non era più possibile."
Segnalo sul Corriere l'editoriale di Panebianco dedicato proprio alla politica estera. Partendo dall'uccisione di Dadullah, che è importante ma certo non mette fine alla guerra, Panebianco arriva fino alla visita di Bush del 9 giugno prossimo in Italia, contro la quale già si stanno organizzando manifestazioni, anche da parte dei partiti del governo: "Nell'ipotesi migliore il governo ne uscirà con una grossa ammaccatura in più e con una nuova conferma della debolezza strutturale di una sinistra, che sui temi di fondo della pace, della guerra e delle alleanze sa imbastire solo fragili tregue fra le sue componenti, ma nessuna vera sintesi."

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Giangiacomo

1 commento:

Anonimo ha detto...

I talebani sono più deboli dopo la morte di Dadullah
di Massimo Introvigne (il Giornale, 15 maggio 2007)
La morte del comandante Dadullah, la guida militare dei talebani afghani, è anzitutto uno straordinario successo per il governo Karzai e per la coalizione guidata dagli Stati Uniti. Ha un bel dire la nostra stampa di sinistra che non cambia nulla, e che morto un Dadullah se ne farà subito un altro. Dadullah non era solo un feroce tagliagole ma anche un abilissimo tessitore di trame diplomatiche. Era riuscito a rimettere insieme gruppi ostili a Karzai e all’Occidente ma divisi su tutto, utilizzando la carota di una sagace diplomazia intertribale e il bastone delle spietate punizioni inflitte a chiunque fosse accusato di collaborazionismo. L’Afghanistan non è mai stato un Paese unito ed è un mosaico di etnie e di lingue. Alla maggioranza pashtun, musulmana sunnita, si contrappongono le minoranze uzbeke e tagike nel Nord e Nord-Est (pure sunnite, ma con forti influenze sufi), hazara al Centro (di lingua persiana e sciita), dari a Ovest (persiana di lingua ma sunnita), più un’ampia serie di minoranze più piccole. Al di sotto dell’etnia si collocano le tribù, spesso in lotta fra loro. L’ideologia, l’investitura ricevuta dal fondatore del movimento talebano, il mullah Omar (con cui pure esistevano reali dissensi) e la leggendaria brutalità conferivano a Dadullah una capacità di tenere insieme varie fazioni ed etnie che non sarà facilmente sostituita. Dadullah aveva usato il suo potere per importare in Afghanistan i metodi usati dall’ultra-fondamentalismo islamico in Irak e in Algeria: l’uso di terroristi suicidi e gli attacchi ai civili, compresa l’impiccagione di tutti gli abitanti dei malcapitati villaggi accusati di collaborare con gli americani. Questi metodi, probabilmente, continueranno e la lezione di Dadullah su come il terrore e la ferocia qualche volta paghino purtroppo non andrà perduta. Da questo punto di vista il sequestro Mastrogiacomo rimane il maggiore successo nella carriera del comandante talebano. I talebani hanno subito annunciato che Dadullah sarà sostituito dal fratello Bakht: ma quest’ultimo, se è un mullah autorevole negli ambienti religiosi, ha ancora una scarsa esperienza politica e militare. Come ha scritto il giornalista Saied Anwer, la morte di Dadullah «indebolisce i talebani del cinquanta per cento».

Alle buone notizie sulla morte di Dadullah fanno da contrappunto quelle cattive sull’esplosione di un ordigno che ha ferito due dei militari italiani nella zona di Herat, e sulle previsioni del loro comandante, il generale Antonio Satta, su possibili più violenti attacchi alle nostre truppe nei prossimi giorni. Il ministro Parisi, che si appresta a riferire sull’Afghanistan in Parlamento, ha il dovere di dotare i nostri militari di mezzi adeguati. Ma il problema non è solo tecnico. È l’ambiguità del governo Prodi che, per tenere unita la sua maggioranza, deve presentare come missione di pace quella che è ormai, a tutti gli effetti, una spedizione in una zona in cui è in corso una guerra che crea confusione sulle regole d’ingaggio e mette a rischio i nostri soldati.

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