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domenica 6 novembre 2011

Idee interessanti per la crisi italiana

Al di là di non essere d'accordo su un nuovo Governo, pubblico le indicazioni di Italia Futura...

L’Italia è entrata in una fase di emergenza, in cui sono in gioco i risparmi degli italiani, i posti di lavoro, la tenuta del paese e la sua permanenza nella zona Euro. Da maggioranza e opposizione non arrivano però risposte adeguate.
Lunedì Luca di Montezemolo, in una lettera pubblicata su Repubblica, ha elencato cinque punti che “se attuati simultaneamente e accompagnati da un grande piano di rilancio dell’immagine internazionale dell’Italia, rappresenterebbero un valido argine alla speculazione, ridarebbero una prospettiva di crescita al paese e opererebbero nella direzione di una maggiore equità sociale”:
1) La patrimoniale sullo Stato: prima di chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini, la politica e le istituzioni devono mettere mano ai loro stessi costi.
2) Tutti uguali davanti al lavoro, non solo libertà di licenziare: vanno aboliti i contratti a termine (mantenendo solo quelli fisiologici e stagionali), sostituendoli con un contratto unico, a tempo indeterminato, che consenta il licenziamento per motivi economici o organizzativi, ma che protegga il lavoratore dalle discriminazioni.
3) Un nuovo patto fiscale: abbattere le aliquote su lavoratori e imprese. Con l’introduzione di una imposta permanente sulle grandi fortune e l’abolizione degli incentivi alle imprese si potrebbe tagliare in maniera radicale l’Irap. Mentre, vincolando per legge i proventi della lotta all’evasione alla diminuzione dell’Irpef, ad iniziare dai redditi medi e bassi, si creerebbero le condizioni per un positivo conflitto di interessi tra chi paga e chi evade.
4) Pensioni: abolire quelle di anzianità e passare ad un sistema interamente contributivo. Una parte consistente dei proventi generati andranno utilizzati per investire in un welfare dedicato ai giovani e alle donne.
5) Liberalizzazioni: la lista dei settori in cui operare è lunghissima. È fondamentale che insieme ai provvedimenti di apertura alla concorrenza si rafforzino i poteri dell’Antitrust per dare agli investitori la garanzia del rispetto delle regole.

Questo Governo non è in grado di mettere in campo simili provvedimenti. L’opposizione ha una linea di politica economica confusa e non può ora garantire quanto richiesto dall’Europa. Le elezioni non rappresenterebbero dunque una soluzione e paralizzerebbero il paese.
L’urgenza della situazione richiede invece soluzioni immediate: l’unica strada per salvare il paese passa oggi attraverso un governo di salute pubblica, che metta immediatamente in atto le misure necessarie per restituire credibilità internazionale e rimettere in moto l’Italia.
Convinti che la voce della società civile - e di chi la rappresenta - debba oggi farsi sentire in maniera chiara e netta, abbiamo rivolto ieri un appello alle associazioni del mondo produttivo perché anche loro chiedano subito di voltare pagina. Non si tratta di sostituirsi alla politica ma di chiedere, con fermezza e rispetto, alla politica di ritrovare la forza e il coraggio per fare subito ciò che serve all'Italia.

see u,
Giangiacomo

sabato 29 gennaio 2011

Caso Ruby - Lettera aperta da parlamentari Pdl ai cattolici italiani

No alle strumentalizzazioni, ai processi sommari, alla gogna mediatica, ad una nuova tangentopoli. Alcuni parlamentari del Pdl hanno pubblicato una lettera aperta ai cattolici italiani sul caso Ruby, un appello a «sospendere il giudizio» per non cadere nella «trappola del processo mediatico e sommario» a Silvio Berlusconi.
Parlano di una «marea nera» di pettegolezzi che rischia di oscurare «il nostro lavoro quotidiano per il bene comune». E chiedono di non confondere il «moralismo interessato e intermittente» di questi giorni con l'«imitatio Christi» di cui parla la Chiesa.
I parlamentari pidiellini insistono sul parallelo con Tangentopoli: allora la «carcerazione preventiva», oggi la «gogna preventiva». In entrambi i casi «il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare». Sono indagini che «hanno azzerato il ceto politico moderato».
Per questo bisogna «sospendere il giudizio» sul caso Ruby. «Noi conosciamo un altro Berlusconi», garantiscono i firmatari, «certi che il tempo ci darà ragione».

la lettera

«Cari amici,
in un momento tanto confuso e delicato per il nostro paese vorremmo evitare che la marea dei pettegolezzi che invade ogni giorno le pagine dei giornali finisca per oscurare il senso del nostro lavoro quotidiano per il bene comune. C’è il rischio di farsi tutti confondere o trascinare dall’onda nera, lasciandosi strumentalizzare da un moralismo interessato e intermittente, che emerge solo quando c’è di mezzo il presidente Berlusconi. Un moralismo che nulla ha a che fare con quella “imitatio Christi” a cui la Chiesa ci invita, e che anzi non si fa scrupoli a brandire per fini politici, e in senso opposto a seconda delle convenienze di parte, l'idea della morale cristiana.
L’enorme scossone mediatico e politico di questi ultimi giorni non si comprende appieno se non come l’ultimo atto di un’offensiva giudiziaria iniziata con Tangentopoli: il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare.
Diciassette anni fa c’erano gli arresti spettacolari: politici e personaggi pubblici sfilavano in manette sotto telecamere impietose, e la carcerazione preventiva era lo strumento privilegiato di alcune procure. Ma quante di quelle accuse, urlate da certi magistrati con tanta sicurezza da sembrare indubitabili, si sono rivelate poi vere? Certamente sono stati riconosciuti dei colpevoli, anche se altri pur imputabili delle stesse responsabilità sono stati risparmiati e in alcuni casi nemmeno sfiorati dall'ombra del sospetto. Quel che è più grave, però, in numerose occasioni processi condotti nelle aule dei tribunali sono giunti a ben altre conclusioni rispetto alle accuse iniziali. Le tante assoluzioni che pure ne sono seguite, però, non potranno mai ripagare l’ingiustizia subita da chi vi si è trovato coinvolto, soprattutto da chi non ce l’ha fatta e si è
tolto la vita».
«E intanto, il paese ha pagato e paga ancora oggi le conseguenze di indagini a senso unico che hanno azzerato il ceto politico moderato, rallentato e inibito la capacità decisionale delle pubbliche amministrazioni, indebolito la grande impresa italiana. Adesso la carcerazione preventiva è stata sostituita dalla gogna preventiva. Si butta nella pubblica piazza con una violenza inusitata la presunta vita privata delle persone (presunta perché contenuti frammentari di intercettazioni e commenti di persone terze non offrono alcuna garanzia di veridicità), e la si chiama trasparenza”.
Abbiamo bisogno di giustizia, una giustizia che sia però veramente giusta, che segua regole certe, assicuri l'inviolabilità dei diritti di tutti i cittadini compreso chi si trova ad essere oggetto di accuse, e offra le garanzie necessarie, a partire dall’imparzialità del giudice e dal rispetto del segreto istruttorio. Una giustizia nella quale i magistrati formulino ipotesi di reato e non si occupino di costruire operazioni finalizzate ad emettere sentenze di ordine morale.
Chiediamo a tutti di aspettare, di sospendere il giudizio, di non farsi trascinare nella facile trappola del processo mediatico e sommario al Presidente del Consiglio, e chiediamo che si rispetti una vera presunzione di innocenza nei suoi confronti, finché il percorso di accertamento dei fatti sarà completato. Ve lo chiediamo non solo perchè è un elementare principio di civiltà giuridica, ma anche perché noi all’immagine abietta del Presidente Berlusconi così come dipinta da tanti giornali non crediamo». «Noi conosciamo un altro Berlusconi, conosciamo il Presidente con cui abbiamo lavorato in questi anni, e che ci ha dato la possibilità di portare avanti battaglie difficili e controcorrente, condividendole con noi. Siamo certi che il tempo ci darà ragione: ma è di quel tempo che adesso c’è bisogno. Sarebbe assurdo e deleterio per il futuro dell’Italia consentire che, nell’attesa di un esito incerto della vicenda giudiziaria si producesse il danno certo di un cambiamento politico nel segno della conservazione sociale, della recessione economica e del relativismo etico come conseguenza di indagini asimmetriche che colpiscono alcuni risparmiando altri. Ciò che non intendiamo invece tenere in sospeso è la responsabilità di noi, credenti e non credenti, impegnati convintamente nel Popolo della Libertà. Non abbiamo alcuna intenzione di interrompere il lavoro politico e legislativo che ci vede dediti alla costruzione del bene comune, dalla difesa della famiglia alla libertà di educazione, dalle leggi in difesa della vita alla attuazione concreta del principio di sussidiarietà.
Aspettiamo che la polvere e il fango si depositino, diamo tempo alla verità e alla giustizia».
Raffaele Calabrò
Roberto Formigoni
Maurizio Gasparri
Maurizio Lupi
Alfredo Mantovano
Mario Mauro
Gaetano Quagliariello
Eugenia Roccella
Maurizio Sacconi

see u,
Giangiacomo

domenica 14 novembre 2010

che sta succedendo?

Copio spudoratamente da http://www.stranocristiano.it/2010/11/che-sta-succedendo/

Che sta succedendo?

Vediamo di semplificare.

1.La prossima settimana in parlamento si decideranno le sorti della legislatura: il PD e IdV presenteranno una mozione di sfiducia alla Camera, e pare che il neo-terzo polo, FLI (Fini) Udc (Casini) e API (Rutelli) ,ne presenterà un’altra, e dovrà comunque decidere come votare su quella della sinistra. Il PdL, da parte sua, presenterà una mozione di fiducia al Senato. Sarà una gara a chi approva per primo la sua…
2.NON VOGLIONO le elezioni: il grosso del Pd, i finiani, Udc. Questi vorrebbero un governo cosiddetto tecnico, lo chiamano così come se i componenti potessero essere, che so, elettricisti, idraulici, metalmeccanici… tutti rigorosamente apolitici, marziani scesi all’improvviso sul pianeta. In verità questi vogliono un governo fatto da loro stessi, che hanno perso le elezioni, e vogliono che rimanga fuori chi le ha vinte, e cioè Berlusconi. Una grande lezione di democrazia …. ma d’altra parte, che ci si può aspettare da quelli che fino a due mesi fa andavano in gita a Predappio?
3.La scusa della riforma elettorale, che vogliono quelli del cosiddetto “governo tecnico”, è semplice: vogliono fare una riforma che faccia entrare in parlamento i loro partitini, per impedire a Berlusconi di governare. Non è in gioco il bene del paese, ma la loro sopravvivenza politica: una riforma elettorale su misura per Fini&Casini&D’Alema: ancora però non riescono a mettersi d’accordo su quale debba essere, perchè ognuno la vuole adatta al suo partito in particolare. Insomma, vogliono il “governo tecnico” per fare la cosa più politica che c’è: una riforma elettorale.
4.VOGLIONO le elezioni: PdL e Lega, e pure Vendola e Renzi del Pd. Se si andasse adesso al voto, Berlusconi vincerebbe ancora, e Fini andrebbe a fare definitivamente l’uncinetto con la Tulliani e la suocera, magari pure nel tinello della casa di Montecarlo, dove il cognatino lo aspetta fiducioso…..
5.Napolitano difficilmente può fare un governo “tecnico” tenendo fuori del tutto PdL e Lega: se adesso Berlusconi e Lega fossero sbattuti all’opposizione e Fini & Udc & Pd al governo, alle prime elezioni Berlusconi e Lega prenderebbero almeno il 75% e Fini&Casini&D’Alema sarebbero pronti per l’uncinetto collettivo e perenne….
Da segnalare, a futura memoria:

- Fini e i suoi vogliono sfasciare tutto, e la colpa di questa crisi gravissima è tutta la loro. Ma ve lo immaginate un governo con Bocchino e Granata ministri? E magari Fini premier, e la Tulliani “first lady”? Vediamo chi si imbarazza, poi…..

- Pierferdinando Casini, che governa con il Pd e pure con IdV in giro per l’Italia, dopo essersi alleato pure con la Bresso, adesso è d’amore e d’accordo con Fini, quello che ha promesso di rendere moderna l’Italia con il riconoscimento delle coppie di fatto e con i cosiddetti “diritti civili”. E si aspetta pure i voti cattolici? E Buttiglione, che si è arrampicato sugli specchi per spiegare l’alleanza con la Bresso, che si inventa adesso per giustificare quella con Fini?

- La faccenda di Ruby è finita nel niente, come era facile immaginare

- Tutti contro Berlusconi, a cominciare dalla Tv di stato: v.Fazio & Saviano, che adesso ospitano pure Bersani&Fini. Ma d’altra parte, si sa: comunisti e fascisti, due facce della stessa medaglia sono.

E intanto il nostro paese deve andare avanti…


see u,
Giangiacomo

domenica 7 novembre 2010

Rom: sono un problema!

Colgo l'occasione di uno spunto datomi da una persona che NON stimo, per sottolineare quanta ipocrisia, demagogia e moralismo ci sia nelle persone che tentano di difendere i Rom senza se e senza ma.

I Rom non lavorano.
Quindi per continuare a vivere (e a procrearsi purtroppo) saccheggiano i cassoni dell'immondizia o rubano. La prima modalità è sotto gli occhi di tutti gli abitanti di San Salvario a Torino. Alle 7.30 am arrivano in squadre, aprono i cassoni, squarciano i sacchetti dell'immondizia alla ricerca di qualcosa utile per loro, lasciano aperti i cassettoni così che l'odore possa diffondersi per le strade e passano a quello successivo. La seconda modalità è sotto gli occhi di poliziotti e di alcuni amici politici che recentemente hanno fatto visita ai loro campi nelle periferie delle strade: rame, oro, tv, cellulari... tutti natualmente rubati!!

Sarkozy si è mosso in modo corretto: da un punto di vista nazionalistico e di bene comune, per sconfiggere il male (impossibile purtroppo), ha iniziato a combattere piccoli pezzi di quest'ultimo. Prima analizzando le banlieus, poi quest'estate con i Rom.
Quale altro strumento era possibile se continuano a non capire? quale altro strumento era possibile se continuano a voler vivere in un modo primitivo, neanche vicino a quella che è una situazione umana accettabile? Non ditemi che si è contenti in qualche modo a vivere in mezzo ai topi, a vedere i bambini con le orecchie morsicate nella notte da roditori, con bambini che non si lavano se non in fiumi già sporchi e inquinati, che non apprezzano l'educazione e non mandano i propri figli a scuola (gratis grazie al nostro welfare state assistenzialista!!)!!!!!!!!
NON SONO CONVENZIONI DELLA SOCIETA' ATTUALE, ma BUON COSTUME!

C'è ancora chi parla di popoli che devono andare rispettati, di finezza, profondità e sofferenza. Bene. Sono tutti elementi che hanno anche gli andalusiani, i napoletani, i baschi: qualsiasi popolo del mondo. Ma non mi sembra che questi non si siano integrati o rubino quotidianamente!

I soliti falsi e ipocriti...

see u,
Giangiacomo
C'è chi

domenica 10 ottobre 2010

La contraddizione non risolta tra autonomia e “personalismi”

Il vero nodo resta quello tra economia e politica. La contraddizione non risolta tra autonomia e “personalismi”

L’articolo è stato pubblicato sul “Liberal” del 30 settembre 2010

Le dimissioni al buio di Alessandro Profumo da AD di Unicredit sono oggetto di analisi da parte di economisti e di opinionisti di tutto il mondo. Il casus belli – quanto meno quello esplicito – è noto a tutti: il disaccordo sulla presenza dei libici nel comparto azionario del colosso bancario di Piazza Cordusio. A questo punto, coloro che hanno tentato di ricostruire la vicenda nei minimi particolari avanzano sospetti, individuano collegamenti politico-affaristi, disegnano scenari fantapolitici, fantafinanziari e comunque si adoperano nell’antica arte retroscenista, condita della migliore salsa al sapor di complotto.

Non che le ricostruzioni non ci interessino e che non presentino forti elementi di plausibilità, ma crediamo che si possa cogliere questa occasione per tentare una riflessione sui limiti e sui presupposti del mercato. In fondo, coloro che difendono la strategia di Profumo argomentano le loro ragioni sostenendo la superiorità del mercato rispetto agli interessi della politica; e, a maggior ragione, degli interessi di alcune roccaforti partitiche locali (vedi F. Giavazzi). D’altra parte, coloro che hanno denunciato i pericoli derivanti dalla strategia accentratrice perseguita da Profumo e dalla crescente presenza di fondi libici, non possono neppure essere liquidati sic et simpliciter come miopi profittatori di clientele locali; a conti fatti, il mercato è un intreccio di istituzioni che nascono dal basso, esso mal tollera soluzioni centralistiche, nonché l’inserimento di elementi che per ragioni di ordine politico e culturale si mostrano inesorabilmente ostili alla libertà e non conformi alla stessa struttura del mercato.

In definitiva, riteniamo che il mercato affinché possa svolgere la sua funzione di sistema ottimale delle risorse è necessario che riconosca alcuni limiti e presupposti. In questo caso, a partire dalla prospettiva dell’economia sociale di mercato che incontra la Dottrina sociale della Chiesa, la domanda che ci poniamo non è tanto se debba essere il mercato ovvero la politica ad orientare le scelte nel campo finanziario, invero – come ci ha ricordato Benedetto XVI – non spetterebbe né all’una né all’altra, in quanto tale compito spetterebbe all’etica. La domanda che ci poniamo è la seguente: quali istituzioni appaiono necessarie affinché il mercato possa continuare a svolgere il suo ruolo?

In altre parole, la presenza di un fondo sovrano (fuori dalla logica del mercato) libico (fuori dalla logica democratica e liberale) è conforme ai principi che stanno alla base del libero mercato ovvero lo minano alle fondamenta? Ed ancora, l’irritazione palese di alcuni ambienti politici del Nord è autenticamente giustificata sulla base del principio che le realtà locali detengono una quota naturale (stakeholder) nel novero degli interessi di un gruppo bancario come Unicredit? Ovvero si tratterebbe di un’indebita ingerenza della politica? In breve, tali domande evidenziano due ordini di problemi. In primo luogo, può il mercato sopravvivere in qualsiasi contesto etico, politico e culturale ovvero è funzione di determinate istituzioni che lo presuppongono e lo pongono in essere? Ed in secondo luogo, è corretto identificare il sistema partitico con la società civile ovvero si tratta di un processo attraverso il quale il centralismo del primo intende fagocitare il pluralismo della seconda? È nostra sommessa opinione che il mercato necessiti di istituzioni economiche, politiche e culturali che lo presuppongano e che la presenza di un fondo sovrano che non risponda alle logiche del mercato, per di più riferibile ad un’autorità politica dispotica come quella libica, rappresenti una grave minaccia al buon funzionamento del mercato. Così come la pretesa di rappresentare gli interessi locali non può essere appaltata in modo esclusivo ad alcun partito politico.

Le dimissioni di Profumo sono la dimostrazione di quanto gli operatori del sistema finanziario e del sistema politico nel nostro Paese siano preda di una pericolosa schizofrenia in forza della quale libertà, democrazia e partecipazione sono rivendicate in nome di un particolarismo settario e clientelare e, nel contempo, da altri, le ragioni del mercato vengono difese come elementi metafisici che si danno da sé e non come il prodotto di una complessa rete istituzionale i cui presupposti sono di ordine etico e cultuale.

Flavio Felice – Presidente Centro Studi Tocqueville-Acton e Adjunct Fellow Amercian Enterprise Institute

see u,
Giangiacomo

Ripartire da Aldo Moro

L’articolo è apparso su “Liberal” del 5 ottobre 2010

Circa trentacinque anni fa, tra le elezioni amministrative del 1975 e quelle politiche del 1976, Aldo Moro comprese che erano ormai maturate le condizioni per il passaggio alla «terza fase». Essa doveva vedere lo sviluppo di nuove relazioni tanto tra sistema politico e società quanto tra attori politici. In sintesi: meno pervasività della politica nel primo caso, più competizione politica e meno centralismo nel secondo.
Tutto ciò era possibile perché il Paese era cresciuto, del Paese era cresciuta la politica, ma anche l’economia e la cultura. I cattolici erano stati protagonisti tanto della prima dimensione quanto della seconda.
Rispetto a trentacinque anni fa, completare quella transizione ci appare oggi compito non solo politico, ma anche politico, poiché la politica deve ad un tempo ritrarsi e riformarsi.
Ciò che ostacola il formarsi di una nuova generazione di politici cattolici non è la scomparsa delle vecchie forme, ma il tardare dell’affermarsi di nuove forme, di forme nuove nella relazione tra politica e società, di forme nuove nella regolazione di una maggiore competizione politica, di forme nuove di organizzazione della partecipazione politica.

Senza alcuna pretesa di esaustività, da questa ultima affermazione possono essere enucleati quattro punti. Per un verso o per l’altro, mi pare che questi temi siano stati toccati in modo molto coraggioso da alcuni recenti interventi su questo giornale di Rocco Buttiglione, e che abbiano ricevuto attenzione da parte di De Rita, di Pezzotta, di Antiseri e del rettore Ornaghi.

1. In questi trentacinque anni le resistenze alla transizione hanno spesso avuto successo. Il debito pubblico sta lì a misurare (per difetto) il costo imposto al paese da chi ha ostacolato la transizione da una società “meno aperta” ad una società “più aperta”. Così ci troviamo oggi alle prese con la necessità di chiudere la transizione in pessime condizioni economiche e sociali, globali ma più e prima ancora locali.

2. Per giocare davvero la partita politica della transizione occorre liberarsi non già della polarità destra/sinistra ma da una sua visione assiomatica. Né destra né sinistra sono bene o male in sé. Sturzo ebbe a destra il suo principale avversario (il fascismo), De Gasperi a sinistra (il comunismo): possiamo da ciò forse dedurre che Sturzo era di sinistra e De Gasperi di destra? Essi con coraggio e libertà ingaggiarono la battaglia che c’era da combattere e la combatterono. È così sempre, ovunque, per tutti i veri riformisti, per chi intende il centro non come il luogo delle rendite politiche pronte per qualsiasi trasformismo, ma come il luogo da cui gli elettori decidono di una competizione democratica.

3. Dopo la fine della Dc il mondo cattolico italiano ha spesso confuso pluralismo politico e disattenzione alla insopprimibile dimensione organizzata della partecipazione politica. Che poi questo sia avvenuto nella forma della mera irrilevanza od in quella scaltra degli «indipendenti di …» è del tutto irrilevante. Non si fa politica se non attraverso organizzazioni politiche, se non attraverso partiti. La stagione del pluralismo ha semplicemente reso pubblico che mai la fede e la Chiesa possono essere racchiusi in un partito, anche se sarebbe utile ricordare sempre che la storia del pluralismo politico dei cattolici non nasce dopo la Dc, ma con la Dc e prima ancora con il Partito popolare che fecero della azione politica di cattolici qualcosa di diverso dalla per altro pienamente legittima politica estera vaticana: non c’è rilevanza politica senza organizzazione politica.

4. Per comprendere la portata della dimensione politica della sfida in atto, completare la transizione, per i cattolici è fondamentale distinguere due istanze, entrambe legittime, ma diverse: la rappresentanza degli interessi ecclesiastici ed il raggio completo della sfida politica. Almeno da Sturzo, sappiamo che la seconda è cosa diversa e più ampia della prima. Con altrettanta chiarezza sappiamo che i cattolici hanno non la facoltà, ma il dovere di battersi perché anche dalla politica non manchi il contributo al bene comune. Un approccio identitario e rivendicazionista risulta del tutto inadeguato alla azione politica, tanto perché tende a minacciare il respiro e la libertà dell’azione della Chiesa quanto perché impedisce di cogliere tutta la legittima complessità del dovere politico rispetto al bene comune. Potremmo ben dire che, ai cattolici che accettano la sfida politica, la responsabilità per il bene comune impone davvero una vocazione maggioritaria. Essi non possono e non debbono limitare la loro azione a pochi temi, né la propria attenzione a pochi individui od a poche formazioni sociali. Questo si esprime anche in una visione dei rapporti politica/società (sussidiarietà verticale ed orizzontale), in una visione delle regole politiche (poteri limitati, responsabili, contendibili), in una giusta tensione a correre per vincere (agonismo della libertà). Nella paura per il bipolarismo, per tanti politici cattolici di lungo o breve corso si mescola la nostalgia per rendite indiviuali con un senso ingiustificato di insuperabile marginalità. Al contrario, in un paese ormai fatto solo di infinite minoranze quasi nessuno si candida a correre per la sfida politica vera, quella grande. In questo paese di frammenti forse dalla tradizione del cattolicesimo può nascere chi raccolga la sfida grande.

Luca Diotallevi – Membro del Comitato scientifico del Centro Studi Tocqueville-Acton. Vice Presidente Comitato Scientifico delle Settimane Sociali

see u,
Giangiacomo

sabato 27 marzo 2010

Mi fido di Cota, non della Bresso nè dell'Udc!

CI FIDIAMO DI COTA, NON DELL’UDC

Rafforzati da un contatto quotidiano con i candidati e con i piemontesi che hanno seguito con passione la campagna “Alleanza per Cota” di Alleanza Cattolica, ribadiamo con ancora maggiore convinzione l’invito ai cattolici a votare Roberto Cota:
– perché sui valori non negoziabili della vita, della famiglia, della scuola il suo programma è in sintonia con quanto ci sta a cuore come cattolici, mentre la Bresso è per la banalizzazione dell'aborto, per il matrimonio omosessuale, per tagliare i sostegni alle scuole non statali;
– perché il programma di Cota sull'immigrazione è moderato e ragionevole, mentre il Piano Bresso sugli immigrati non protegge dai clandestini, non tutela i piemontesi e prende dalle tasche dei contribuenti quattro milioni di euro all’anno per ambigui carrozzoni regionali;
– perché Cota ha costantemente dimostrato il suo sostegno ai valori non negoziabili in Regione, in Parlamento e in campagna elettorale, mentre la Bresso ancora nelle ultime settimane ha firmato per la vendita in farmacia della pillola del giorno dopo senza ricetta e si è dichiarata “assolutamente d’accordo” con il matrimonio fra due lesbiche “celebrato” a Torino dal sindaco Chiamparino.
Alcuni ci chiedono che cosa pensiamo della posizione dell’UDC.
Per quanto nell'UDC ci siano certamente brave persone, pensiamo come cattolici di non potere in alcun modo sostenere l’UDC:
– perché chi fa la croce sull’UDC vota automaticamente il listino della Bresso, che comprende personaggi come Vincenzo Chieppa, segretario dei Comunisti Italiani che inneggia a Cuba e alla Corea del Nord, offre assistenza a chi stacca i crocefissi dalle aule scolastiche e sul suo sito offende il Papa e la Chiesa;
– perché chi fa la croce sull’UDC vota automaticamente la Bresso, le cui posizioni in materia di aborto, eutanasia, unioni omosessuali sono inaccettabili e sono al centro del suo programma;
– perché chi fa la croce sull’UDC sostiene una dirigenza dell’UDC che in Piemonte diffama il cattolico Cota accusandolo in modo assurdo di essere un adepto di “riti celtici del dio Po” e presentando in modo distorto le posizioni di Cota sull’immigrazione, che sono invece rispettose sia dei veri diritti degli immigrati regolari sia dell’identità cristiana delle nostre terre.
Questa dirigenza afferma che la Bresso ha sottoscritto con l’UDC un impegno a difendere “la vita e la salute”, ma non spiega che per la Bresso quella dell’embrione o dei disabili come Eluana Englaro non è vita, e che la salute per lei comprende l’aborto. Racconta pure che grazie all’UDC la Bresso ha escluso dalla sua coalizione Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani, che invece gli elettori troveranno regolarmente sulla scheda tra le liste coalizzate con la Bresso con tanto di falce e martello, in strana compagnia con lo scudo crociato dell’UDC, e del resto insieme anche alla lista Bonino-Pannella. L’invito dunque non cambia: resistendo alle sirene dell’astensione, del voto alle “brave persone” che ignora i principi e i programmi, e ai falsi “patti” con la Bresso che hanno il solo scopo di creare confusione, per la vita, per la famiglia, per la libertà di educazione, per una politica realistica dell’immigrazione votiamo Roberto Cota.

Torino, 18 marzo 2009

Alleanza Cattolica

mercoledì 10 marzo 2010

Voto (vota!) Gianluca Vignale

Io voto Gianluca Vignale

www.vignale.net

see u,
Giangiacomo

martedì 29 dicembre 2009

Caro Bambino Gesù...

Caro Bambino Gesù,
quest'anno ti sei portato via il mio cantante preferito, Michael Jackson,
il mio attore preferito, Patrick Swayze,
la mia attrice preferita, Farrah Fawcett,
il mio presentatore preferito, Mike Bongiorno,
la mia poetessa preferita, Alda Merini!!!

Volevo dirti che il mio politico preferito è Antonio Di Pietro...
e che l'anno non è ancora finito!

see u,
Giangiacomo

domenica 20 settembre 2009

"Berlusconi e Sarkozy, la democrazia del leader"

Il politologo francese Marc Lazar: «Il sistema è in mutazione, ma non siamo agli Anni Venti, il fascismo non è alle porte»

E’ un momento duro, difficile, «l’immagine dell’Italia è indebolita, ma non siamo negli Anni Venti, il fascismo non è alle porte, la società italiana è vitale e democratica». Marc Lazar è ottimista. Politologo, professore a Sciences-Po, uno dei santuari dell’intellighenzia parigina, Lazar è tornato in Francia dopo due anni vissuti in Italia dov’è tuttora docente alla Luiss. In quest’intervista riflette sulla situazione politica del nostro paese a partire dall’editoriale di Gian Enrico Rusconi sulla Stampa di martedì «Anche questa è democrazia».

Professor Lazar, pure lei pensa che la democrazia italiana sia in mutazione, come ha scritto Rusconi?
«Sì, in mutazione, come molte altre democrazie. L’Italia non è un caso anomalo. Si è verificata l’ascesa di quella che noi politologi chiamiamo la democrazia dell’opinione o del leader. Più di prima sono importanti i personaggi. I partiti non sono scomparsi, ma appaiono molto indeboliti come le tradizionali culture politiche. Gli elettori sono volatili, incerti. La televisione e Internet forniscono un’informazione continua che tiene i politici sotto pressione, ogni decisione viene presa nell’emergenza».

Chi è un leader?
«Qualcuno che sa farsi vedere, riconoscere, è uno che sa parlare direttamente al popolo. Ha una democrazia semplice, con una componente populistica. Prendiamo due campioni di questa stagione, Berlusconi e Sarkozy, hanno molti tratti comuni, entrambi hanno fondato il loro discorso sulla critica delle tradizionali élite politiche e sulla trasformazione del sistema».

Una tendenza che contagiato anche le sinistre europee che appaiono tutte in crisi?
«Hanno anche loro un problema comune: adattarsi a questo modello di democrazia, trovare il leader giusto. E sono in difficoltà perché è un modello che più si adatta alla destra perché si fonda sul principio di autorità».

Quali sono le altre caratteristiche della democrazia italiana?
«C’è un diffuso sentimento di anti-politica, una caduta di fiducia nei confronti degli uomini politici: si usa dire che sono tutti uguali, tutti corrotti. In Italia questo sentimento è più forte che altrove».

Si direbbe che la democrazia classica non funzioni più. È così?
«Io credo che la democrazia della rappresentanza sia in difficoltà, ma non sia morta. In ogni paese si cercano soluzioni. Per esempio le primarie italiane del Partito democratico sono state un modello molto studiato. E poi cresce la voglia di controllare i politici. Ci sono state grandi mobilitazioni contro la guerra, c’è un grande fermento associativo e di volontariato, lo si è visto in occasione del terremoto».

Però la democrazia italiana appare debole e secondo molti totalmente condizionata dalla televisione. Lei che ne pensa?
«Io non credo che l’Italia sia anestetizzata dalla tv e non penso che la democrazia italiana sia in pericolo. Ci sono delle ragioni storiche di debolezza, diciamo che in Italia la democrazia è più recente che in Francia o Gran Bretagna. È un dato che pesa nella coscienza collettiva, ma ultimamente si sono fatti enormi progressi».

Scendiamo al concreto del confronto di attualità: ci sono punti comuni tra il premier italiano e il presidente francese?
«L’uomo Berlusconi ha molti punti in comune con Sarkozy, ma anche alcune specificità come il conflitto di interessi. Un’anomalia pericolosa che non significa fascismo, ma provoca tensione».

Ma sul piano dell’informazione vede molte differenze?
«Sarkozy non è il proprietario ma ha tendenza a controllare le televisioni, da questo punto di vista la Francia non può certo dare lezioni all’Italia. E non dimentichiamo che un direttore di giornale è stato licenziato su richiesta del presidente, ci sono state denunce e scontri tra lui e i giornali. Il modello in questo campo semmai è l’Inghilterra. In questo momento in Italia c’è però una tensione sull’informazione che non si verifica in altri paesi. Il premier è proprietario editoriale e di televisioni. In questo il caso italiano è unico».

Lei vede un’evoluzione nelle relazioni tra i due paesi?
«Il rapporto tra Italia e Francia è solido sul piano economico e nella tradizione delle relazioni tra le due amministrazioni. Per il resto l’immagine dell’Italia è indebolita, non c’è dubbio. Pesano la questione Berlusconi, le polemiche, l’incertezza sul futuro. Come professore di Sciences-Po posso dirle che fino a due anni fa molti nostri studenti chiedevano di venire in Italia a fare l’anno obbligatorio all’estero. Ora molti meno».

A causa di un giudizio negativo su Berlusconi?
«Con significative eccezioni. Per esempio il lavoro fatto dal governo al G8 dell’Aquila è stato riconosciuto e apprezzato. Tuttavia in Francia pesa il modo schematico in cui i media riportano le polemiche politiche italiane. C’è interesse, ma l’informazione è un po’ banalizzata. La domanda che mi sento rivolgere più spesso è: come possono gli italiani votare per Berlusconi?».

E lei come risponde?
«Che in un paese in preda a una crisi fortissima, dove erano crollati i riferimenti classici, Berlusconi ha saputo affermare la sua forza di leader, anche come uomo di Stato per quanto diverso dagli altri. Ha espresso un’egemonia culturale e io considero questa una grande lezione del berlusconismo. Ha saputo tenere insieme coppie di valori che sembrano opposti: liberismo-protezionismo, conservazione-innovazione ecc. Approfittando dell’incapacità del centrosinistra, ha saputo essere il cemento di un blocco sociale in cui ci sono i forti e i deboli, gli integrati e gli esclusi: imprenditori, commercianti, gli impauriti da immigrazione, globalizzazione, Europa. Lui ha saputo incarnare tutto questo persino nell’aspetto fisico».

Gli ultimi mesi sono stati segnati dalle rivelazioni sulla sua vita privata. Quanto hanno pesato sulla sua immagine pubblica?
«Lo hanno messo in difficoltà e sono state la prima vera frattura. L’ha pagata nell’elettorato cattolico e si è visto molto nettamente nelle elezioni di primavera. Ma lui ha saputo giocare la sua carta preferita, quella del rovesciamento. Ha detto: non sono un santo. I molti italiani che peccano come lui possono averlo capito».

Lei crede che queste rivelazioni possano condizionare il suo futuro di leader?
«Sappiamo che l’uomo, quando sembra in difficoltà, sa risalire. La battaglia gli piace, è il suo vero terreno. Ha ancora tre anni di legislatura, non vedo proprio chi possa metterlo in difficoltà. Come si dice in francese, dalla foresta non è uscito nessuno in grado di contestare la sua leadership. Gianfranco Fini sta prendendo un appuntamento con il futuro. Ma per il momento non vedo alternative a Berlusconi».

Lei crede che la democrazia italiana saprà sopravvivere a questa crisi?
«Sì, non siamo sull’orlo del fascismo, non siamo negli anni Venti. Una svolta autoritaria come allora sarebbe insopportabile. Non siete minacciati, la società ha una grande vitalità, avete superato tante crisi, è un momento duro, intenso, ma io sono ottimista, anche perché, come diceva Brecht, il popolo non si può sciogliere».

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Giangiacomo

sabato 29 agosto 2009

Perchè D'Alema è di casa in procura

Leggo da Panorama del 25 Giugno 2009

Quel contributo di 20 milioni in Puglia
Uno dei possibili "legami" tra Massimo D'Alema (che aveva previsto questa Primavera uno scossone per il Governo) e la procura di Bari (che ha aperto l'inchiesta relativa agli incontri tra Berlusconi e la D'Addario) passa attraverso Alberto Maritati, l'ex magistrato barese che fu eletto nelle file dei Ds il 27 Giugno 1999 e che dopo un mese, il 4 Agosto, venne (con un record mai eguagliato nella storia repubblicana) promosso sottoseretario all'Interno proprio nel primo governo presieduto da D0Alema. Pochi, però, ricordano un retroscena di quella candidatura, peraltro riveltato nova anni fa da Panorama (numero 23 del 2000). Nel Giugno 1995, infatti, era stato proprio Maritati a chiedere e ottenere il proscioglimento di D'Alema in un'indagine per finanziamento illecito. Ad accusare D'Alema era stato, alla metà del 1994, il "re delle case di cura baresi" Francesco Cavallari. Costui aveva dichiarato a verbale che nel 1987, da segretario regionale del Pci pugliese, D'Alema gli aveva chiesto un "contributo di 20 ilioni di lire" e Cavallari aveva aggiungo di averlo accontentato con una busta contentente quella cifra. Secondo i giudici baresi, D'Alema, che era stato interrogato tra la fine del 1994 e la primavera del 1995, aveva "lealmente" ammesso il finanziamento illecito, non escludendo "che la somma versata dal Cavaliari fosse stata proprio dell'importo da quest'ultimo indicato". I giudici avevano poi deciso di proscioglierlo per prescrizione. Quattro anni più tardi Maritati era stato eletto nelle elezioni suppletive a Bari. Era stato votato dal 53,7 per cento degli elettori. E aveva cominciato allora una brillante carriera politica.

E bravo il moralista D'Alema...

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Giangiacomo

domenica 7 giugno 2009

SILVIO BERLUSCONI: Lettera aperta agli italiani

"Avrei voluto usare la campagna elettorale per spiegare l’importanza dell’Unione Europea e confrontarmi sul ruolo dell’Italia in Europa. Invece in queste ultime settimane l’opposizione, spalleggiata dai suoi giornali e dai suoi programmi televisivi, ha fatto una campagna basata soltanto su ignobili e scandalosi attacchi personali.
Non credevo davvero si potesse arrivare a tanto.
Mi conforta tuttavia l’affetto di tanti italiani, anche non miei elettori, che hanno capito come questa opposizione senza ideali e senza programmi, abbia tentato la carta della disperazione.
Mentre loro rimestano nel torbido, il mio governo ha continuato a lavorare per dare più sicurezza ai cittadini: dai primi di maggio abbiamo dato il via ai respingimenti delle imbarcazioni degli immigrati clandestini. Lo abbiamo potuto fare grazie allo storico accordo firmato il 31 agosto 2008 con il leader libico Gheddafi.
Questo accordo è uno dei frutti dell’autorevolezza che ci deriva dagli ottimi rapporti internazionali che abbiamo costruito in questi anni e che abbiamo messo a disposizione dell’Europa per risolvere numerose delicate situazioni: il conflitto tra Russia e Georgia, quello tra Israele e i palestinesi, la “crisi del gas” tra Ucraina e Federazione russa, lo sblocco del veto della Turchia alla scelta del nuovo segretario generale della Nato.
Sembrano fatti “lontani” ma sono invece importanti, perché la politica estera è oramai diventata politica “interna”, per le ricadute che essa ha sui destini di tutti gli italiani. Per questo motivo abbiamo dedicato un mare di tempo e di lavoro alla politica estera, in Europa e nel mondo. In questo modo siamo riusciti a difendere gli interessi italiani in Europa: il nostro governo ha rinegoziato con successo il pacchetto clima (che penalizzava fortemente le nostre aziende senza difendere l’ambiente), abbiamo ottenuto il raddoppio (da 200 a 420 milioni) dei fondi a nostra disposizione per importanti opere energetiche, abbiamo sbloccato i fondi europei per i lavori del MOSE, la barriera mobile che difenderà Venezia dal fenomeno ormai ricorrente dell’“acqua alta”.
Non appena si è profilata la crisi finanziaria globale, abbiamo convinto Europa e Stati Uniti ad affrontarla con interventi coordinati, basati su questi punti fermi: non consentire il fallimento di nessuna banca, proteggere i risparmi dei cittadini, garantire le fasce più deboli, sostenere le imprese e i lavoratori. Il nostro Governo ha dato l’esempio a tutta Europa: abbiamo messo al sicuro i conti pubblici con una legge finanziaria valida per la prima volta non per uno ma per tre anni; siamo stati i primi, il 10 ottobre 2008, a garantire che nessuna banca italiana sarebbe fallita e a proteggere i risparmi depositati nelle nostre banche.
Siamo quelli che in Europa hanno stanziato più fondi a favore delle famiglie, dei lavoratori, delle imprese e dell’economia reale, per un totale di 55,8 miliardi di euro: 17,8 miliardi per rimettere in moto le grandi opere bloccate dalla sinistra, 9 miliardi di misure a protezione dei più deboli, 2 miliardi per le imprese dei settori più colpiti, 9 miliardi nel fondo a disposizione della Presidenza del Consiglio per rilanciare le imprese in crisi, 9 miliardi per gli ammortizzatori sociali cosiddetti “in deroga”, perché estesi, per la prima volta, al di fuori della Cassa Integrazione ordinaria e straordinaria, ai lavoratori delle piccole imprese, a quelli interinali, agli apprendisti, ai collaboratori a progetto. Per la ricostruzione dell’Abruzzo, superata la fase dell’emergenza, abbiamo avviato interventi per 8 miliardi di euro e coinvolto l’Europa attraverso il Fondo di solidarietà per le calamità naturali. Abbiamo lanciato ai leader internazionali la proposta di “adottare” un’opera d’arte, un monumento storico, una chiesa da ricostruire com’era e dov’era. Abbiamo deciso di tenere la riunione del G8 a L’Aquila, per avvicinare la capitale dell’economia alla capitale del dolore.
E dalla prossima settimana iniziano i lavori per la realizzazione di abitazioni per 15 mila persone.
Questi sono fatti, non parole.
Forte di questi fatti, anche stavolta mi espongo direttamente al giudizio dei cittadini, impegnandomi come capolista in tutto il Paese, così da rappresentare l’Italia in Europa con una investitura popolare diretta che nessun altro leader europeo potrà vantare.
Per questo motivo sabato 6 e domenica 7 giugno invito gli italiani a votare per il Popolo della Libertà e a scrivere il mio cognome accanto al simbolo. Per metterci in grado di lavorare con maggior forza per il bene di tutti: più forti dell’invidia, più forti della calunnia, più forti dell’odio".
Silvio Berlusconi

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Giangiacomo

Basta all'elemonisa!

Basta al buonismo e continuare a dare l'elemosina per le strade!

facciamoli morire di fame questi questuanti così almeno non ci saranno più scocciatori agli incroci o durante le nostre passeggiate in centro...
rom, arabi, negri, non avevano che da non venire qui!!

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Giangiacomo

martedì 2 giugno 2009

Insinuano? Facciamoli pagare...

Mercoledì 5 Maggio a Ballarò Franceschini ha perentoriamente richiesto “coerenza” tra comportamenti privati e pubblici degli uomini politici. E’ la “nuova frontiera” di una campagna elettorale che loro stanno davvero americanizzando, usando pesantemente, per la prima volta in Italia, uno degli aspetti più deleteri delle campagne “all'americana”: fomentare pesanti insinuazioni sulla moralità personale dell’avversario e buttargli fango addosso, cercando di screditarlo agli occhi dei cittadini.

Hanno fatto i conti senza l’oste. Andando in televisione ieri sera Berlusconi ha come al solito capovolto la situazione comunicativa a suo favore, esponendo la verità direttamente ai cittadini. A proposito di correttezza. Se digiti in Google il nome dei nostri candidati alle elezioni europee (io ho provato con Lara Comi, La Russa, Paniz, Gardini, Aprea, ecc.) appare un link sponsorizzato che porta alla pagina del sito nazionale del partito democratico, alla lista dei loro candidati e ad altre informazioni sulla campagna.

E' un trucco poco corretto, antiquato (fu usato nel 2000 negli USA), che non porta niente in termini di voti. E' un trucco da due soldi, che merita di essere ripagato con la giusta moneta, la loro. Dunque digita il nome di qualcuno dei candidati del PdL e poi clicca sul link sponsorizzato. Così noi ridiamo e loro... pagano!

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Giangiacomo

sabato 23 maggio 2009

Il terrorismo comunista in Italia

Le vittime del terrorismo comunista in Italia

Per molto tempo in Italia non si volle riconoscere la natura del fenomeno terroristico: a chi raccontava le cronache e agli uomini di cultura risultava fastidioso unire i concetti di terrorismo e comunismo. Non si comprese o, per meglio dire, non si volle vedere che il terrorismo nasceva dalla miscela del mito della «resistenza tradita» e della nuova cultura dei «cattivi maestri».

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Giangiacomo

sabato 9 maggio 2009

Dell'Utri: Mussolini era troppo buono

sono d'accordo con lui! leggete...

Da La Stampa, 4 Maggio 2009
Benito Mussolini visto con gli occhi di Marcello Dell’Utri. Il senatore del Pdl, tra i fondatori di Forza Italia, ne parla a lungo in una intervista alla trasmissione web-tv Klauscondicio. «Mussolini - sostiene Dell’Utri - ha perso la guerra perché era troppo buono. Non era affatto un dittatore spietato e sanguinario come poteva essere Stalin. Leggendo i diari, giorno per giorno, per 5 anni dal ’35 al ’39, cioè alla vigilia della decisione di entrare in un conflitto mondiale già iniziato, le posso assicurare - spiega - che trovo Mussolini un uomo straordinario e di grande cultura. Un grande scrittore, alla Montanelli, i suoi diari sembrano cronache di un inviato speciale, con frasi brevi e aggettivazioni efficaci come raramente ho letto».«Non è colpa di Mussolini - aggiunge l’esponente azzurro - se il fascismo diventò un orrendo regime. Ci sono testimonianze autografe del duce in cui critica i suoi uomini che hanno falsato il fascismo, costruendosene uno a proprio modo, basato sul ricatto e sulla violenza. Il suo fascismo era di natura socialista».Secondo Dell’Utri «sono state le sanzioni a costringere Mussolini a trovare un accordo con la Germania di Hitler. Se non ci fossero state le sanzioni, probabilmente non si sarebbe mai alleato con Hitler che non stimava per niente, anzi temeva. Ci sono pagine inedite, scritte da Mussolini su questi anni, che faranno discutere molto e che dimostrano la disaffezione del duce nei confronti del Furher, tanto che definisce il suo Mein Kampf un rigurgitevole testo». Quanto alle leggi razziali, «nei suoi diari - afferma il parlamentare del centrodestra - Mussolini scrive che le leggi razziali devono essere blande. Tra gli Ebrei, il duce, spiega di avere i suoi più cari amici e si chiede perché seguire Hitler con le sue idee sulle razze ariane, razze pure che non esistono» «Non ho paura - dice ancora Dell’Utri - di diventare impopolare con queste rivelazioni, perseguo solo la ricerca della verità. Io non ho alcuna intenzione di fare apologia né del fascismo né di Mussolini. Ho scoperto nei diari di Mussolini la figura di un grande uomo. Ha commesso errori ed è già stato condannato dalla storia. Ma da questi scritti viene fuori una figura diversa da quella che ci è stata propinata dagli storici dei vincitori, non era un buffone, non era un ignorante e tantomeno un sanguinario. Era un uomo buono. Mussolini era solo una brava persona che ha fatto degli errori».

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Giangiacomo

domenica 29 marzo 2009

Benito

Un "mio fratello" mi scrive

il grande capo suggerisce riflessioni interessanti:

http://www.youtube.com/watch?v=wVRKDNAI-fA

a Voi riflessioni e spunti. difficile fare qualche critica...

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Giangiacomo

sabato 28 marzo 2009

"Noi tireremo diritto" M.

Solidarietà al mio amico Maurizio, all'amica Augusta e agli amici del Fuan che la scorsa settimana non hanno potuto esercitare il diritto di parola e di espressione nel luogo "libero" del sapere, l'Università.

Rettore falso e ipocrita
anarchici e comunisti che restano intoccabili

che schifo!

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Giangiacomo

giovedì 19 marzo 2009

Onda, ti ODIO!

Dallo Tsunami ad oggi...
mi trovo sempre ad odiare l'ONDA!
è sempre anomala...

Brunetta vai avanti... ferma questi terroristi di casa nostra!!

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Giangiacomo

domenica 1 marzo 2009

Una settima di riforme

Anche questa settimana il governo ha portato a compimento numerose iniziative utili per l’immediato e per il futuro.
Il via libera definitivo ai cosiddetti "Tremonti bond" è un ulteriore tassello delle misure anticrisi messe in atto dal nostro governo a partire dallo scorso ottobre. Quest’ultima misura conferma il sostegno dato alle banche ma lo vincola al fatto che esse continuino a fare il loro mestiere: finanziare le famiglie e le imprese, specie le piccole e medie. Lo conferma anche la norma contenuta nel patto con le banche: chi perde il posto di lavoro o va in cassa integrazione si vedrà sospeso per 12 mesi il rateo del mutuo da pagare.

Mercoledì il Senato ha approvato definitivamente la riforma Brunetta della pubblica amministrazione. Dopo il successo della lotta ai fannulloni, questo provvedimento mette le basi per far fare un ulteriore salto di qualità a tutto il sistema del pubblico impiego. E’ una riforma giusta, come lo è quella delle norme per gli scioperi nel settore dei trasporti, approvate oggi dal Consiglio dei Ministri.


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Giangiacomo