lunedì 31 dicembre 2007

Il merito e il salario

La fatica del lavorare bene, di Pietro Ichino, il mio preferito...

Il presidente di Confindustria, Montezemolo, ha rilanciato con forza, in questi giorni, la parola d’ordine della meritocrazia; e il segretario della Cisl, Bonanni, gli ha risposto positivamente: «Il nostro obiettivo è lavorare meglio e di più, per produrre e guadagnare di più». Su questo tema, invece, la Cgil resta abbottonata. Questa sua riluttanza non risponde a ragioni tattiche contingenti: ha radici profonde nella cultura della sinistra. E niente affatto disprezzabili.
A sinistra l’idea dominante è che la produttività non sia un attributo del lavoratore, bensì dell’organizzazione aziendale in cui egli è inserito. «Prendi un ingegnere bravissimo e mettilo a spaccare le pietre: otterrai probabilmente un lavoratore molto meno produttivo di uno spaccapietre analfabeta». Se, poi, nessuno domanda pietre, entrambi stanno fermi e la produttività di entrambi è zero. Nel dibattito di tutto lo scorso anno sui nullafacenti del settore pubblico, questo è stato immancabilmente il concetto che veniva contrapposto all’idea di commisurare le retribuzioni anche ai meriti individuali: «Il risultato penosamente basso di molti uffici — si è detto da sinistra — ma anche il difetto di impegno di molti impiegati dipendono dal pessimo livello di organizzazione e strumentazione ».
C’è del vero in questo argomento; ma a sinistra si cade spesso nell’errore di fermarsi qui. È l’errore che il grande Jacovitti rappresentò con l’indimenticabile vignetta dove una mucca dall’aria torpida e pigra diceva: «Sono una mucca per colpa della società». La realtà è che la produttività del lavoro dipende da entrambe le variabili: sia dall’organizzazione, e talvolta da circostanze esterne incontrollabili, sia dalla competenza e dall’impegno del singolo addetto. E conta anche il suo impegno nel cercare l’azienda dove il proprio lavoro può essere meglio valorizzato.
Commisurare interamente la retribuzione al risultato significa, certo, scaricare sul lavoratore tutto il rischio di un esito negativo che può non dipendere da suo demerito. Ma garantire una retribuzione del tutto stabile e indifferente al risultato significa cadere nell’eccesso opposto: così viene meno l’incentivo alla fatica del far bene il proprio lavoro e del muoversi alla ricerca del lavoro più utile, per gli altri e per se stessi. Questa stabilità e indifferenza della retribuzione è la regola oggi di fatto imperante in tutto il settore pubblico, ma troppo largamente applicata anche in quello privato, per effetto di contratti collettivi che lasciano uno spazio del tutto insufficiente al premio legato al risultato.
E questo è uno dei motivi —insieme, certo, a tanti altri difetti strutturali e imprenditoriali — della bassa produttività media del lavoro nel nostro Paese. Per uno stipendio magari basso, che però matura qualsiasi cosa accada, ci sono sempre i lavoratori che si impegnano a fondo, se non altro per rispetto verso se stessi, e si ribellano alle situazioni di improduttività; ma ce ne sono sempre anche altri che se la prendono comoda, fino al limite del non far nulla. Un’iniezione di meritocrazia nei contratti collettivi e individuali fa certamente bene anche a questi ultimi.


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Giangiacomo

domenica 30 dicembre 2007

“Insegniamo ai giovani il valore della fatica”

Bagnasco intervistato da Alain Elkann. Molto interessante.

Cardinale Angelo Bagnasco, quali sono le sue priorità maggiori in questo fine anno?
«Sul versante ecclesiale c’è urgenza sul compito educativo. Se non si formano le persone in senso completo e si danno solo risposte parziali non va bene. L’educazione coinvolge la responsabilità della Chiesa, della famiglia e delle istituzioni dello Stato che hanno compiti suppletivi a quelli della famiglia. Tre soggetti dunque: la famiglia, lo Stato e la Chiesa, secondo me devono mettere a tema la fiducia nell’educazione, cosa che la Chiesa ha sempre avuto, ma devono pensarci anche i genitori e le istituzioni scolastiche».
Questo tema dell’educazione è stato recentemente evocato in un passaggio romano da personalità laiche come Gorbaciov o religiose come Dalai Lama?
«Anche il Papa ne ha parlato con insistenza alla cerimonia degli auguri della Curia Romana al Santo Padre in cui lui ha trattato il tema dell’emergenza educativa, cosa che aveva già precedentemente fatto alcune settimane orsono».
E le altre priorità?
«Crescere da parte della comunità la passione evangelizzatrice, l’annuncio di Cristo secondo il metodo dei primi cristiani, cioè da persona a persona circondata dal Santo Padre. L’evangelizzazione è un compito motivato, non si può tenere la gioia per sè, una grande gioia, bisogna dividerla con gli altri, comunicarla. Certo, questo non è mai una prevaricazione, ma un atto di amore e di servizio».
Quello che ci circonda, però, è un mondo con molto dolore.
«E’ evidente, tragico e ineluttabile, l’esperienza umana è complessa di luci e ombre. La luce del Vangelo non toglie le croci, ma illumina la croce di significato e dolore e la presenza di Cristo naturalmente aiuta».
Come si fa a tener viva la fede?
«Ognuno si appella alla propria esperienza e può constatare che nella misura in cui l’uomo è fedele alla fede, la fede è fedele all’uomo. Non bisogna mai tirarsi indietro».
Oggi però viviamo in un mondo dell’apparire?
«Si tende a scartare l’impegno, la fatica che sono invece gioia, chi vive l’amore sa che ha un duplice volto, che sono gioia e fatica».
La fatica non è molto di moda?
«Se si veicola un modello di vita fatto solo di piacere e successo facile, quando uno incontra la fatica, la schifa, però invece la vita per giungere a un punto d’arrivo ha bisogno della fatica e qui torniamo al problema educativo».
Quali sono i suoi precetti per una vita serena?
«La serietà, non fuggire da noi stessi e dai compiti della vita, la fatica, l’impegno e il metodo. Una casa si può costruire con un progetto e non nella casualità e bisogna trovare la scoperta di un senso. E’ molto importante trovare lavoro, l’amicizia ha un grande significato, però separatamente queste cose non hanno un senso globale della vita».
Cosa dà un senso globale alla vita?
«Un senso più alto, un senso profondo che è solamente Dio e solo l’eternità dà un senso al tempo, ma noi in questo periodo storico non andiamo molto bene perché le categorie culturali dominanti vanno in senso opposto. Ci si frantuma sempre di più, non c’è la sintesi, sembra che la vita si realizzi con una soddisfazione effimera, le persone invece, in questa ricerca di soddisfazioni effimere si consumano».
E allora cosa bisogna fare?
«Bisogna pregare, uscire per porci di fronte a Dio che può dare senso di sintesi, il gusto della buona lettura, dei grandi pensatori. Pensiamo a Tommaso, Agostino a quei pensatori Greci come Platone, Aristotele e altri anche recenti. E’ un grande aiuto, non bisogna avere paura del silenzio e della solitudine. Si parla di massa e non di compagnia, un ammassamento di solitudini non fa una compagnia però per vivere buone le relazioni è necessario rigustare la capacità del silenzio, della solitudine piena di Dio. Gesù è un ponte tra Dio e l’uomo».
E il potere, il denaro così ricercati oggi?
«Sono miti vuoti, fantasmi che appaiono ma non hanno consistenza e prima o dopo chi vive di questo, si risveglia tragicamente».
Che giudizio dà all’Italia?
«Gli italiani sono un popolo, perché l’umanità degli italiani e la loro capacità di relazione e di non acuire conflitti e di trovare composizione è nota a tutti, sono qualità che ho visto apprezzare moltissimo quando mi sono recato dai militari all’estero. Queste qualità si vedono meno vivendo in casa dove non emerge il meglio».
E la violenza dilagante?
«E’ da condannare ma anche da leggere. La lettura è una richiesta di aiuto, di ordine sociale e di carattere spirituale. Quando c’è il vuoto, quando la vita non ha un senso, l’uomo diventa capace di tutto, anche di violenza. Se non ci sono punti di riferimento autentici per cui valga la pena di morire e di vivere non ci resta che il vuoto».
Cosa pensa di quanto dice il suo concittadino Beppe Grillo?
«Da quello che sento, penso che a suo modo cerca di dare un contributo».
Per Genova, la sua città, che desideri ha?
«Una crescita sempre maggiore nell’amore di Cristo, della Chiesa e questo riguarda tutta l’Italia. Da un punto di vista più locale vorrei che crescesse un orgoglio cittadino, ma non fine a se stesso. Fare una voce unica, creare una squadra. Vorrei che si facesse tutti insieme un grande passo in avanti nella vita sociale e economica. Genova non è una città di confine, ma è un valore per il paese. E’ la finestra sul mare dell’Europa».

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Giangiacomo

sabato 29 dicembre 2007

Bipolarismo...

Rassegniamoci. L'Italia non è e non sarà mai un Paese normale. Ne prendano atto tutti quelli che, in questi mesi, hanno invocato un bipolarismo maturo, meno rissoso e basato sull'alternanza. Un bipolarismo che abbia a cuore, soprattutto, il bene comune. Ne prendano atto: questo è possibile ovunque, ma non in Italia. La colpa, però, non è della politica. O perlomeno non è di quella parte della politica che, responsabilmente, in queste settimane ha deciso di mettersi seduta attorno ad un tavolo per cercare di stilare, insieme, le regole del gioco. Una novità che molti, troppi, hanno letto come un'anomalia. Evidentemente qualcuno ha temuto di dover rimettere in discussione le proprie rendite di posizione. Così, immediatamente, da destra e da sinistra si è gridato all'inciucio. Strana concezione della politica. Se in Germania Schroder e la Merkel decidono di governare insieme si tratta di un esempio da seguire, se in Italia dialogano i leader dei due principali partiti è un inciucio. Poco male. La denigrazione è un'ottima arma per chi non ha argomenti politici validi. Un'arma che, però, si è rivelata insufficiente. Così ecco, puntuale, arrivare la magistratura. Il film è quello già visto mille volte. Si comincia a parlare di elezioni. I sondaggisti danno in consistente vantaggio uno schieramento ed ecco, puntuale, la macchina della giustizia che si mette in moto. Un grande quotidiano, senza che il diretto interessato sappia niente, anticipa indiscrezioni su fantomatiche ipotesi di reato e indagini. Il tutto, ovviamente, condito dalle solite intercettazioni. Il gioco è semplice. Fin troppo. Difficile non notare la coincidenza dei fatti. E difficile non sottolineare come, ancora una volta, la politica abbandoni le aule del Parlamento per entrare in quelle di un tribunale. Poco importa se, come sempre successo in passato, dopo anni di indagini e spreco di risorse pubbliche, tutte le accuse di dimostreranno infondate, l'importante è denigrare l'avversario, metterlo in cattiva luce, tagliarlo fuori dal dibattito pubblico. C'è già chi, dal suo piccolo podio, punta il dito contro la "cattiva politica". Ma non sa che la "cattiva politica", quella che gli italiani vorrebbero smettere di vedere, è quella che fa del sospetto, dell'indiscrezione, dell'intercettazione, della chiacchiera, il fulcro della propria azione. La cosa peggiore è che tutto ciò avviene mentre il Paese è immobile. Immobile negli investimenti, immobile nello sviluppo. L’Italia non cresce e, ogni giorno, esplodono problemi. Quello che sta succendendo nel settore dell’autotrasporto è emblematico. La politica non può rimanere immobile a guardare. Ma, soprattutto, non può continuare a ragionare con vecchie logiche. Serve un rinnovamento. Servono forze politiche capaci di rispondere ai bisogni dei cittadini. Capaci di assumersi responsabilità. Quello che sicuramente non servono sono i veleni, le procure che decidono chi vince e chi perde, la giustizia ad orologeria. Per una volta dimostriamo che anche l’Italia è un Paese normale.

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Giangiacomo

giovedì 27 dicembre 2007

Un fisco family-friendly e le leggi regionali sulla famiglia

Il popolo del Family day torna a far sentire la propria voceed a reclamare l’attenzione della politica e delle Istituzioni sulla famiglia.
Parte infatti una grande mobilitazione nazionale con un duplice obiettivo: un fisco giusto per le famiglie e le politiche regionali per la famiglia. La mobilitazione coinvolgerà nei prossimi mesi le cinquanta associazioni del Forum, i venti Forum regionali e le altre associazioni che lavorarono per l’evento del 12 maggio in piazza San Giovanni.

Alla petizione sul fisco è possibile aderire on line (www.forumfamiglie.org/PETIZIONE/PETIZIONEFIRMA.html) o, in alternativa, approfittare di una delle opportunità che saranno offerte localmente nei prossimi mesi dai Forum regionali e dalle associazioni che aderiscono alla mobilitazione.

Per quanto riguarda invece le leggi regionali sulla famiglia la situazione è più complessa. Alcune Regioni già hanno una legge buona, altre hanno approvato pessime normative, altre ancora sono prive di leggi (vedi la situazione). Di conseguenza sarà ogni singolo Forum regionale, in accordo con le associazioni che aderiscono alla mobilitazione a fissare il livello e le modalità di intervento.

Per maggiori informazioni: http://www.forumfamiglie.org/

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Giangiacomo

mercoledì 26 dicembre 2007

Con la gente delle chiese

Intervista a Marco Respinti

Gli amici lo chiamano “lo zio d’America”. Nel mondo cattolico italiano, Marco Respinti (nato a Milano del 1964), redattore del settimanale di cultura il Domenicale diretto da Angelo Crespi, da anni è una sorta di ambasciatore non ufficiale che fa conoscere presso le grandi fondazioni conservatrici americane, dove è di casa, il nuovo mondo cattolico italiano delle associazioni e dei movimenti, e diffonde in Italia la cultura americana religiosa e vicina al centrodestra, che non è quella dei film di Hollywood. Studioso di fama internazionale del pensiero conservatore anglo-americano, Respinti è Senior Fellow presso il Russell Kirk Center for Cultural Renewal di Mecosta, nel Michigan,e fa parte del consiglio direttivo della sezione italiana dell’Acton Institute.Inizio la conversazione con Respinti da un libro sul conservatorismo appena uscito negli Stati Uniti, L’ascesa dei conservatori di Donald Critchlow, pubblicato dalla prestigiosa Harvard University Press. Il testo ci ricorda che è scontato che tra gli aventi diritti al voto negli Stati Uniti ci sia una maggioranza che noi chiameremmo di centrodestra. Ma il centrodestra non vince sempre perché molti si astengono e non vanno a votare. Ed è proprio nel “popolo delle chiese”, quella maggioranza di americani che è religiosa e praticante, che molti diffidano della politica e delle elezioni. E in Italia? “Anche da noi – risponde Respinti – il problema è portare a votare il popolo delle chiese, dove si annida in gran parte un’astensione fondata sullo scetticismo verso la politica. Se votasse, questo popolo voterebbe in gran parte il centrodestra, ma è diffidente, e indisponibile a compromessi sui principi”.Mentre molti italiani pensano che le elezioni USA siano decise dalla politica estera, Critchlow dimostra che è vero il contrario. Bush padre, che aveva vinto la prima guerra in Iraq, perse le elezioni del 1992 sulla politica economica. Bush figlio nel 2004 era impantanato nella seconda guerra in Iraq ma ha vinto perché ha saputo portare al centro delle elezioni la campagna sui valori morali, in particolare la lotta contro l’aborto e le unioni omosessuali. E da noi? Secondo Respinti “c’è una certa differenza. Negli Stati Uniti i cristiani conservatori sono riusciti a trasformare l’aborto in una grande questione politica, in Italia non è così. Tuttavia su temi come la fecondazione artificiale e il riconoscimento delle unioni omosessuali qualcosa sta cambiando, e il ‘popolo delle chiese’ ha lanciato dei segnali evidenti, con il referendum sulla legge 40 e con il Family Day”.Però – obietto –, mentre da noi c’è chi pensa che il bipartitismo elimini le coalizioni eterogenee, la storia del Partito Repubblicano americano mostra che grandi partiti sono in realtà contenitori al cui interno ci sono idee molto diverse. Per esempio, i repubblicani vogliono meno tasse. Ma dall’altra chiedono una politica estera forte e più sicurezza nelle strade. Dal momento che esercito e polizia costano, le due esigenze entrano in conflitto. Anche da noi nel centrodestra c’è chi insiste sul principio di sussidiarietà e vuole far dimagrire lo Stato e chi accetterebbe uno Stato meno magro purché s’investa nella sicurezza e nella giustizia. Come farli stare insieme? “La cosa curiosa – secondo Respinti – è che le due posizioni sono incarnazioni storiche diverse di princìpi comuni.. Il pensatore irlandese Edmund Burke, padre settecentesco di tutti i conservatori, diceva che cambiare è il segreto per conservare. Il conservatorismo all’antica che insiste sullo ‘Stato minimo’ e il neoconservatorismo che chiede investimenti sulla sicurezza possono e devono trovare un punto di compromesso in un’analisi moderna e condivisa dei problemi nazionali e internazionali”.Critchlow parla di una seconda divisione tra i conservatori: ci sono i “libertari” per cui fra le libertà ci sono quelle di abortire, di drogarsi, di vedersi riconosciuto pubblicamente uno stile di vita omosessuale; e i “conservatori morali” per cui invece aborto, droga e unioni omosessuali sono desideri individuali e non vere libertà. Per vincere in America bisogna che queste due anime, tanto diverse, votino lo stesso partito. E da noi? Si possono tenere insieme Capezzone e i cattolici? “La domanda – mi risponde Respinti – andrebbe posta all’amico Capezzone, il quale sa bene che nella cultura americana ci sono i libertari di destra e quelli di sinistra. Alla fine, quando arrivano le elezioni, bisogna scegliere: l’esperienza americana dimostra che un pensiero antistatalista, favorevole al mercato libero in economia e ai diritti umani può vincere solo stando insieme a chi difende la vita e la famiglia. Con Capezzone abbiamo fatto insieme tante battaglie sui diritti umani, a partire da quella per i montagnard cattolici del Vietnam perseguitati dai comunisti. Posso solo invitarlo a continuare il cammino, in direzione di quello che in America chiamano ‘fusionismo’: mettere insieme le diverse anime del mondo conservatore e di centrodestra per sconfiggere la sinistra. Insomma, torniamo a Burke”.Negli Stati Uniti si dice già che un eventuale candidato repubblicano abortista e tiepido sui principi religiosi come Giuliani potrebbe non convincere il popolo delle chiese ad andare a votare, con il risultato paradossale di consegnare il paese ai democratici, le cui idee pure sono minoritarie. E in Italia, Respinti, come si portano i cattolici tentati dall’antipolitica a votare? “Invitandoli. Ma quando s’invita qualcuno a cena, poi non lo si mette a tavola con la tovaglia sporca, le posate unte e servendogli minestre riscaldate. È quanto ha fatto il centrosinistra, generando enorme delusione nei cosiddetti teodem, invitati a gran voce e poi trattati come i classici utili idioti. Un errore che il centrodestra non dovrebbe ripetere. Aggiunga un posto a tavola per i cattolici degno del ruolo storico e sociale che hanno nel Paese. Dopo tante delusioni, verranno volentieri”.

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Giangiacomo

Appello, ora la moratoria per l’aborto

C’è anche una pena di morte, legale, che riguarda centinaia di milioni di esseri umani. Le buone coscienze che si rallegrano per il voto dell’Onu ora riflettano sulla strage eugenica, razzista e sessista degli innocenti

Giuliano Ferrara

Questo è un appello alle buone coscienze che gioiscono per la moratoria sulla pena di morte nel mondo, votata ieri all’Onu da 104 paesi. Rallegriamoci, e facciamo una moratoria per gli aborti. Infatti per ogni pena di morte comminata a un essere umano vivente ci sono mille, diecimila, centomila, milioni di aborti comminati a esseri umani viventi, concepiti nell’amore o nel piacere e poi destinati, in nome di una schizofrenica e grottesca ideologia della salute della Donna, che con la donna in carne e ossa e con lasua speranza di salute e di salvezza non ha niente a che vedere, alla mannaia dell’asportazione chirurgica o a quella del veleno farmacologico via pillola Ru486. Questi esseri umani ai quali procuriamo la morte legale hanno ciascuno la propria struttura cromosomica, unica e irripetibile. Spesso, e in questo caso non li chiamiamo “concepiti” ma “feti”, hanno anche le fattezze e il volto, che sia o no a somiglianza di Dio lo lasciamo decidere alla coscienza individuale, di una persona. Qualche volta, è accaduto di recente a Firenze, queste persone vengono abortite vive, non ce la fanno nonostante ogni loro sforzo, soccombono dopo un regolare battesimo e vengono seppellite nel silenzio.La pena di morte per la cui virtuale moratoria ci si rallegra oggi è di due tipi: conseguente a un giusto processo o a sentenze di giustizia tribale, compresa la sharia. Sono due cose diverse, ovviamente. Ma la nostra buona coscienza ci induce a complimentarci con noi stessi perché non facciamo differenze, e condanniamo in linea di principio la soppressione legale di un essere umano senza guardare ai suoi motivi, che in qualche caso, in molti casi, sono l’aver inflitto la morte ad altri.Bene, anzi male. Il miliardo e più di aborti praticati da quando le legislazioni permettono la famosa interruzione volontaria della gravidanza riguarda persone legalmente innocenti, create e distrutte dal mero potere del desiderio, desiderio di aver figli e di amare e desiderio di non averli e di odiarsi fino al punto di amputarsi dell’amore. E’ lo scandalo supremo del nostro tempo, è una ferita catastrofica che lacera nel profondo le fibre e il possibile incanto della società moderna. E’ oltre tutto, in molte parti del mondo in cui l’aborto è selettivo per sesso, e diventa selettivo per profilo genetico, un capolavoro ideologico di razzismo in marcia con la forza dell’eugenetica. Rallegriamoci dunque, in alto i cuori, e dopo aver promosso la Piccola Moratoria promuoviamo la Grande Moratoria della strage degli innocenti. Si accettano irrisioni, perché le buone coscienze sanno usare l’arma del sarcasmo meglio delle cattive, ma anche adesioni a un appello che parla da solo, illuministicamente, con l’evidenza assoluta e veritativa dei fatti di esperienza e di ragione.

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Giangiacomo

martedì 25 dicembre 2007

Contro il Natale buonista (e veltroniano)

No alle esecuzioni per chi ha solo richiesto libertà (perchè non se ne parla?)
Sì alla pena di morte per i criminali (perchè si tende a giustificare i violenti??)

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Giangiacomo

sabato 22 dicembre 2007

La pena di morte cambia dal Paese che la applica?

In allegato vedrete la tragica esecuzione di alcuni studenti iraniani (tra cui una donna incinta), da parte delle autorità islamiche dell'Iran. L'unica colpa degli studenti è consistita nell'organizzare una manifestazione contro la dittatura musulmana.

Alcune domande.
La proposta di moratoria di D'Alema contro la pena di morte, riguarda anche i paesi comunisti (Cina) ed i paesi islamici (Iran, etc) o i detti paesi sono esentati? Se, come ritengo, riguarda anche quei paesi, perchè il governo italiano non protesta per le continue esecuzioni non di criminali, ma di persone innocenti?
Sbaglio o fu proprio Prodi a New York, all'inizio del suo mandato, presso il palazzo delle NU a volersi fortemente incontrare con Ahmedinejad e con Chavez (dittatore social-comunista, alleato di Cuba e dell'Iran), garantendo la loro democraticità presso i paesi occidentali?
Ricordiamo anche gli incontri di D'Alema & C. con Hezbollah (filo iraniani) in Libano definito "movimento democratico".
In questi giorni, Prodi (ma anche la radicale Bonino!!!), subordinando i diritti umani e la libertà religiosa agli affari, per non arrecare dispiacere alla Cina, ha evitato assolutamente di incontrare il Dalai Lama, che chiede rispetto della libertà religiosa in Tibet, paese occupato ed oppresso dalla Cina.

A questo punto, vi prego di tirare le sconcertanti conclusioni: la nostra politica internazionale è ambigua, contradditoria e giustificativa di chi è contro la libertà ed è una fotocopia della politica nazionale.

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Giangiacomo

Giustizia e Legge: pena di morte

"L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte".
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 1992, n. 2267)

Justice and Law: death penalty
"Assuming that the guilty party's identity and responsibility have been fully determined, the traditional teaching of the Church does not exclude recourse to the death penalty".
(Catechism of the Catholic Church, 1992, n. 2267)

see u,
Giangiacomo

Meno male che è Natale...

La puntuale azione giudiziaria contro Berlusconi, avviata all’indomani del lancio del nuovo movimento politico, il Popolo della Libertà, si unisce all’altrettanto puntuale escalation mediatica. Superando un limite mai raggiunto prima d’ora, ai giornalisti vengono passate direttamente le bobine con le registrazioni: atti coperti da segreto istruttorio, che dovrebbero rimanere riservati e a disposizione solo degli avvocati di parte.
Nel frattempo, il governo sopravvive solamente con i voti determinanti dei senatori a vita, approvando ogni cosa a colpi di fiducia e collezionando un errore dopo l’altro: dal caso Speciale al fallito decreto con le misure per la sicurezza dei cittadini.


see u,
Giangiacomo

Troppe palle al piede: così frena la piccola impresa

Per chi si chiedesse come mai la ripresa dello sviluppo di tante piccole e medie imprese non riporti ad un rilancio definitivo del nostro Paese, alcune vicende che accadono nel mondo imprenditoriale possono fornire un’indicazione. Un’impresa di successo di Pescara che si occupa di robotica applicata all’automobile, nata dalla creatività di un gruppo di ingegneri del posto che rilevano, ristrutturano e salvano un’azienda decotta, diventa capace in pochi anni di lavorare per grandi imprese mondiali, quali General Motors e Bosch, e in paesi quali Brasile, Cina, India. Ben presto però il management dell’azienda si trova a fare i conti col fatto che il sistema finanziario pubblico e privato non è pronto a supportare tale sviluppo virtuoso. Alcuni esempi per tutti lo testimoniano. Negli ultimi anni, dato il grande sviluppo, il titolare prova a chiedere al sistema bancario di sviluppare prodotti per le start up estere, mutui chirografari, comunque forme di finanziamento a medio e lungo termine per non gravare sulla gestione ordinaria dell’impresa. Pur avendo corredato tale richiesta con business plan analitici in cui viene esplicitato il nome dei clienti ed il tipo di impianti venduti, il finanziamento viene negato. Un’altra esperienza negativa accade al nostro imprenditore quando una multinazionale americana quotata decide di acquistare prodotti dalla sua azienda. L’amministratore delegato della multinazionale firma una lettera di autorizzazione ad iniziare i lavori. Il contratto è di 5 milioni di euro e la lettera dice che entro tre mesi arriverà l’ordine. Tuttavia per il sistema bancario italiano non basta la firma dell’amministratore delegato. La banca propone alternativamente di assicurare il credito con la principale compagnia pubblica di assicurazione del credito estero. Fatta la pratica, dopo due mesi, viene comunicato che non c’è più la convenzione con gli Stati Uniti e quindi la ditta non può essere coperta dalla loro assicurazione. Un terzo esempio completa il quadro. L’imprenditore pescarese, che ha dovuto risanare un’azienda in crisi, guarda all’innovazione come all’aria che si respira. Ora sembra strano, ma in Italia non esiste uno strumento di credito ordinario chirografico che finanzia l’innovazione. Così, capita che, quando comincia ad innovare si sente dire dalle banche che il suo rating non è male, ma non è sufficientemente alto da ottenere un finanziamento per l’innovazione. Come rimedia il nostro imprenditore? Arrangiandosi: per produrre i prototipi dell’ibrido elettrico che hanno permessa all’impresa di decollare, mette mano al portafoglio, aumentando ulteriormente il rischio d’impresa. Morale: quanti teorizzatori del capitalismo finanziario internazionale hanno l’umiltà di ammettere che la piccola e media impresa sarebbe già un formidabile strumento di sviluppo del nostro Paese se solo le si levassero le palle al piede che le si impongono?

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Giangiacomo

giovedì 20 dicembre 2007

La sussidiarietà è libertà e serve anche nel fisco

Sussidiarietà altro nome della libertà. Ne parlava già Aristotele quando indicava la libertà come “base di uno stato democratico”. Credo sia difficile trovare ai giorni nostri qualcuno disposto a negare questo principio. Tutti, a torto o ragione, parlano di libertà, ne declinano le caratteristiche, mettono a punto ricette più o meno perfette per garantirla. C’è un campo, però, in cui un concetto così nobile stenta ad affermarsi. È quello fiscale.L’idea che lo Stato sia finalmente sussidiario, dando la possibilità ai cittadini di decidere liberamente come utilizzare la proprie imposte, è dura da digerire. Così, nonostante se ne parli un po’ ovunque, la sussidiarietà fiscale non riesce a decollare. Un esempio su tutti è quello del 5 per mille, misura sperimentale inserita per la prima volta da Giulio Tremonti nella Finanziaria 2006.Un meccanismo semplicissimo che ricalca quello dell’8 per mille: nel compilare la denuncia dei redditi i contribuenti decidono, liberamente, di devolvere una minima parte delle loro tasse ad associazioni di volontariato, comuni o ad enti di ricerca scientifica e sanitaria. Un modo per sostenere tutte quelle realtà, pubbliche e private, che svolgono servizi essenziali per i cittadini.Ebbene, ormai da due anni, nonostante le difficoltà, il 5 per mille è diventata un’interessante novità del panorama fiscale italiano. Nel 2006, ad esempio, quasi 16 milioni di contribuenti hanno deciso di usufruire di questa possibilità destinando 345 milioni di euro ad associazioni di volontariato (192 milioni), enti ed università che svolgono ricerca scientifica (51), soggetti che svolgono ricerca sanitaria (46,7) e comuni (38). Un successo in larga parte imprevisto e imprevedibile.Successo che, stando ai primi dati del 2007, è destinato a crescere. In attesa di ultimare i controlli amministrativi (mancano ancora i dati delle preferenze espresse da quei contribuenti che non sono tenuti all’obbligo di dichiarazione o hanno utilizzato i canali di trasmissione di banche e poste) l’Agenzia delle entrate ha reso noto che oltre 14 milioni di cittadini, pari al 55% dei contribuenti, hanno effettuato la scelta. Ancora una volta in testa alla classifica delle preferenze il volontariato, seguito dalla ricerca sanitaria e da quella scientifica.Insomma, tutto sembra procedere per il meglio. Non è così. Nonostante i numeri, infatti, il 5 per mille resta marginale nelle politiche del governo. Per il secondo anno consecutivo la Finanziaria uscita dal Consiglio dei ministri non conteneva questa misura. Una “svista” a cui l’esecutivo ha cercato, in extremis, di porre rimedio. Purtroppo, come spesso accade, il rimedio è risultato peggiore del male. Ad oggi, infatti, la manovra contiene sì il 5 per mille, ma gli fissa un tetto di 100 milioni di euro. Che tradotto vuol dire: se i contribuenti decideranno di versare una cifra superiore, le risorse in eccesso andranno direttamente allo Stato.È per questo che l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, organismo che raccoglie oltre 260 parlamentari di maggioranza e opposizione, ha intrapreso una battaglia per modificare questo punto della Manovra. Tre le novità che vorremmo introdurre: innalzare a 400 milioni il tetto, introdurre tra i beneficiari le Fondazioni che operano senza scopo di lucro e, soprattutto, rendere finalmente strutturale il 5 per mille. In prima lettura al Senato l’emendamento, nonostante l’impegno del governo, non ha trovato spazio. Ora sia il relatore che il governo si sono nuovamente impegnati ad accogliere le nostre proposte. Speriamo non si tratti dell’ennesima dichiarazione di intenti.

see u,
Giangiacomo

Cattolici da record

Quale stadio da 80000 posti nel mondo fa registrare il tutto esaurito da 40 anni? Non è un luogo dove gioca una squadra di professionisti, ma l'impianto, situato nel mezzo del campus universitario, in cui si assiste alle performance della fortissima squadra di football dell'Università di Notre Dame, nell'Indiana. Nell'ambito sportivo emerge un senso di appartenenza e un'eccellenza che caratterizza tutti gli aspetti della vita universitaria. Il più importante ateneo cattolico degli Usa, tra i primissimi in campo umanistico e giuridico, uno dei 20 migliori in America, ha tutte le caratteristiche positive delle migliori università statunitensi, quali l'autonomia nei criteri di gestione, la libertà di scelta dello studente nella costruzione del suo curriculum, la qualità delle strutture, i criteri di qualità nella scelta e nella valutazione del corpo docente, la possibilità per gli 11000 studenti, provenienti da tutto il mondo e i 964 docenti, di condividere nel campus di 5 km2, non solo esami e lezioni, ma una intera vita. Ciò che è particolare a Notre Dame e che genera attaccamento non solo alla squadra (che finanzia con i suoi incassi parte della ricerca, ma anche l'ingente flusso di borse per studenti poveri), è infatti il senso di appartenenza di molti alunni ed ex alunni. Per molti, soprattutto cattolici ed immigrati, dal 1842, anno in cui l'università è stata fondata dal 28enne reverendo Edward Sorin della congregazione di Holy Cross, con l'aiuto di Leopold Pokagon, capo indiano cattolico della tribù dei Potawatomi, Notre Dame continua ad essere occasione di riscatto umano, sociale, culturale contro le componenti più razziste della cultura wasp. Perciò cruciale, non solo nella liturgia, è la religiosità e l'appartenenza alla Chiesa che si manifestano non in ostracismi moralistici verso chi la pensa diversamente, quanto nel fatto che religiosità e cristianesimo sono ipotesi di lavoro da verificare liberamente nella didattica, nella ricerca, nelle attività extrascolastiche che hanno vita attraverso i numerosi club organizzati da docenti e studenti. Notre Dame rappresenta quindi un esempio che smentisce gli stereotipi ideologici con cui certa politica concepisce e guida l'università italiana, ovvero secondo criteri burocratici, statalisti, in opposizione ad autonomie e libertà di ogni sorta. Nello stesso tempo però contraddice anche chi pensa che, per un proficuo cambiamento, dovrebbero esistere solo studenti e docenti concepiti come individui senza identità, in atenei retti secondo criteri di anonima e presunta meritocrazia e svincolati totalmente da ipotesi culturali e appartenenze ideali. La via al cambiamento, come mostra Notre Dame, passa invece dalla ripresa di un'esperienza umana integrale (compresa la dimensione religiosa), vissuta personalmente e comunitariamente, secondo la concezione dell'universitas medioevale. Con buona pace di chi cerca scorciatoie stataliste o meritocratiche, magari agitando continuamente presunti e reali scandali anche nel sapere, tutto rinasce solo quando si ha il coraggio di dire "io" e "noi", con ragioni adeguate.

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Giangiacomo

lunedì 17 dicembre 2007

Lavoro in affitto e bugie a caro prezzo

All’approssimarsi della manifestazione sul welfare, risulta incredibilmente vasta la mistificazione operata dalla sinistra radicale rispetto alla realtà, in particolare, per ciò che riguarda il lavoro interinale. Lo si può facilmente verificare attraverso uno sguardo alla situazione europea. Alcuni documenti elaborati da Eurociett - European confederation of private employment agency - illustrano infatti il contributo delle agenzie private per il lavoro temporaneo e dell’istituto dell’interinale nel migliorare il funzionamento del mercato del lavoro dal punto di vista degli Obiettivi di Lisbona, obiettivi che fissano al 70% il tasso di occupazione e una riduzione al 4% del tasso di disoccupazione entro il 2010. Dalle statistiche dell’Eurociett emerge che il 40% degli europei che si rivolgono alle agenzie sono disoccupati, ma dopo un anno di lavoro circa il 43% dei lavoratori interinali trova un’occupazione permanente: la flessibilità non è perciò alternativa alla stabilità del lavoro.I risultati più sorprendenti, da questo punto di vista, sono stati raggiunti nella Gran Bretagna laburista e blairiana, che ha la regolamentazione più liberale in termini di lavoro interinale. In questo Paese il settore è cresciuto rapidamente negli anni Novanta, ampliando il numero di settori di sbocco e, oltre che da grandi imprese multinazionali, si compone di agenzie per la maggior parte di piccole dimensioni, con approccio polifunzionale e diversificato in termini di attività. Negli ultimi anni, le agenzie di lavoro temporaneo stanno stringendo accordi e partnership con il governo locale, spinti dalle parti sociali che ne riconoscono sempre più il compito sociale e danno loro fiducia incoraggiandole a realizzare accordi pubblico-privato con l’ufficio di collocamento pubblico.In questo modo oggi la Gran Bretagna rappresenta, dopo gli Stati Uniti, la seconda industria del lavoro temporaneo del mondo con quasi seimila agenzie attive e 14.400 filiali, un tasso di penetrazione del 5% e un fatturato pari a 36.000 milioni di euro. È importante notare, inoltre, che attraverso le agenzie di lavoro interinale, i cosiddetti outsiders
, i più deboli e meno garantiti, dispongono di un utile canale di ingresso o re-ingresso nel mercato del lavoro; il nesso tra domanda ed offerta di lavoro cresce; le imprese trovano più facilmente gli skills di cui hanno bisogno e quindi aumentano la loro competitività. Per ciò che concerne il nostro Paese, la mancanza di razionalità dell’attuale coalizione di governo si vede in questo campo più che in altri settori: mentre una parte di essa, imitando l’esperienza blairiana, è all’avanguardia sia sul piano della battaglia normativa che della promozione di esperienze sul campo, l’altra parte insegue sogni luddisti tipici di un comunismo pre-caduta del muro. Il paradosso è che, con un mercato del lavoro reso di nuovo più rigido, ne verrebbero a soffrire maggiormente proprio coloro che si pretenderebbe difendere: i disoccupati di lungo periodo, i giovani, le donne in maternità, i lavoratori over 45, gli extracomunitari, i disabili. Una volta di più, l’ideologia demagogica fa male all’uomo in carne ed ossa e al popolo nel suo insieme.


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Giangiacomo

domenica 16 dicembre 2007

Il caso ICI

Uno stato sempre affamato di danaro che colpisce il patrimonio dei propri cittadini, anche quando tale patrimonio non produce alcun reddito, spinge al consumismo più sfrenato anzichè alla costruzione di patrimoni che consentano alle generazioni successive di godere di quanto fatto dai propri padri e costringendo tutti a partire da zero .... nulla di più ideologico!

Riporto nei commenti uno spettacolare articolo di Paolo Del Debbio di qualche mese fa, ma sempre attualissimo!
L'incipit...
Il terzetto Prodi-Visco-Padoa Schioppa considera il cittadino italiano un mulo da soma. Il mulo, infatti, è molto volenteroso, paziente, costante. Ma non fino all'infinito. Si dice che nell'esercito prussiano una delle maggiori cause di morte dei soldati fossero i calci dei muli che non sopportavano una soma più pesante di tanto. Non so se i muli prussiani fossero prussiani anche nell'animo e, quindi, sopportassero pesi estremi. Il cittadino-contribuente-mulo italiano non è prussiano. Infatti in questa tornata di elezioni ha scalciato contro questo governo il suo presidente, lo stimatissimo Professor Prodi, il ministro sanguisuga Vincenzo Visco e l'impassibile ed etereo ministro Padoa-Schioppa.

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sabato 15 dicembre 2007

Cari civich... la pazienza ha un limite. Ridotto!

I vigili urbani (= civich) non devono scherzare con il fuoco... rischiano di bruciarsi!

Vi racconto una giornata che da taluni può essere considerata sfortunata, ma da altri, da un altro punto di vista, un accanimento che potrebbe portare ad una esasperazione di massa.

Mattina: vado al lavoro e parcheggio la mia auto in una zona di "carico-scarico" di fianco al mio ufficio. torno dopo 5 minuti con scatoloni e pc che dovevo portare da una filiale ad un'altra e...
MULTA di 74 euro!
motivazione: non venivano effettuate operazioni di carico scarico in quanto il veicolo era chiuso.
ora... a Torino, vicino a Porta Palazzo, è difficile che tu tenga una Alfa 159 aperta in mezzo alla strada, anche se ti assenti per qualche minuto.
siete scemi?

Pranzo: vado a pranzo da un amico. Alle 13.10 parcheggio l'auto in un viale ad alto scorrimento. Torno dopo 50 minuti e...
MULTA di 74 euro!
motivazione: una ruota sulla striscia bianca.
ora... a Torino, vicino a Tossic Park, ho cercato di parcheggiare in una zona dove l'auto fosse visibile. Nelle stradine intorno, c'è sempre il rischio ed è noto a tutti che vengano danneggiate e prese d'assalto da ladruncoli e drogati in cerca di pochi spiccioli. per una ruota che non limitava nenche il passaggio. per una ruota in pausa pranzo...
siete orbi??

Pomeriggio (tardi): torno a casa e nella buca delle lettera una simpatica lettera del Comune di Venaria e...
MULTA di 51 euro!
motivazione: superamento di 1 Km l'ora del limite di velocità.
ora... tra Torino e Venaria, dietro allo Stadio Delle Alpi, non puoi chiedere di rispettare i 50 km l'ora uscendo dalla tangenziale.
siete deficienti (nel senso che mancate di intelligenza, occhio clinico, intuizione)???

Questo vissuto, in prima persona, mi spaventa decisamente.

In primis, è davanti agli occhi di tutti che il Governo dei "rossi" taglia ai Comuni e i Comuni (la maggior parte proprio "rossi"), non volendo polemizzare con Roma, cercano di incrementare le entrate dell'erario in altro modo: multe, con motivazioni ridicole!!

In seconda battuta, i vigili sopratutto, non si rendono conto che piccoli escamotage vengono presi solo per una questione di insicurezza (l'auto chiusa a chiave, il parcheggio in zona sicura).

Anzichè pensare a bacchettare piccoli gesti (che non possono essere chiamati di inciviltà), mirino a controllare il territorio di competenze con effettive e utili azioni di POLIZIA urbana.
E' nel nome che portano!

Civich, fate attenzione ad opprimere così il cittadino...
la pazienza non è infinita!

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Giangiacomo

martedì 11 dicembre 2007

Kosovo e il rischio domino

Dove finisce lo spezzettamento della ex-Jugoslavia? Anche se Stati Uniti e la gran parte dell’Unione europea sottolineano il principio dell’autodeterminazione dei popoli, e sono quindi favorevoli all’indipendenza del Kosovo perché la maggioranza dei kosovari la vuole, è una domanda che prima o poi la comunità internazionale dovrà porsi. Divisa quella che era la Jugoslavia in macro-regioni indipendenti, ci si è accorti che ognuna ha al suo interno micro-regioni dove prevalgono minoranze etniche o religiose. Cominciata la corsa verso l’indipendenza, ciascuna aspira a diventare Stato. Così il Kosovo, una provincia di due milioni di abitanti in maggioranza albanesi di religione musulmana – anche perché circa trecentocinquantamila serbi di fede ortodossa sono scappati dopo la guerra del 1999 – aspira a rendersi indipendente dalla Serbia e a diventare il terzo Stato a maggioranza islamica in Europa dopo Albania e Bosnia. Ma il nuovo Stato del Kosovo avrebbe al suo interno una zona, a Nord del fiume Ibar, abitata in prevalenza da serbi, che domanderebbe a sua volta la secessione (così come la chiedono i serbi che vivono nei confini della Bosnia). Altri kosovari – più a Sud – non vogliono l’indipendenza, ma l’unione con l’Albania o con la Macedonia, una richiesta avanzata particolarmente da cristiani che non vogliono vivere in uno Stato musulmano sunnita. Per complicare ancora le cose ci sono kosovari, molti dei quali musulmani, che vivono entro i confini della Macedonia e che aspettano solo l’indipendenza del Kosovo per chiedere la secessione e fondarsi il loro staterello (con capitale Tetovo), che aspirerebbe poi a riunirsi al nuovo Stato kosovaro. Una volta non solo iniziato ma proseguito a oltranza il processo indipendentista non c’è più limite. Quasi ogni entità grande come una nostra provincia potrebbe chiedere l’indipendenza, e acquisirla con una forte identità etnica e religiosa, costringendo alla fuga le minoranze o esponendole a rischi di pulizia etnica.Si comprende come la Russia sia ostile all’operazione, non solo per solidarietà etnica e religiosa con i fratelli ortodossi serbi, ma perché all’interno della Federazione Russa restano entità musulmane come la Cecenia o il Daghestan dove, almeno per ragioni storiche, c’è chi chiede l’indipendenza con motivi più fondati del Kosovo. Ma si preoccupa anche chi nota come nelle moschee del Kosovo cresca l’influenza di imam rigoristi formati in Arabia Saudita, quando non sospettati di legami con il terrorismo. L’applicazione del principio dell’auto-determinazione dei popoli crea sempre problemi complicatissimi, e non ci sono soluzioni facili. E tuttavia da una parte la domanda è lecita: dove ci si ferma nella divisione in staterelli dell’ex Jugoslavia? Dall’altra, conviene consigliare fin da ora a Prodi e D’Alema cautela nel mandare (come sembra vogliano fare) truppe italiane a impantanarsi in Kosovo nell’ennesimo rompicapo balcanico.

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domenica 9 dicembre 2007

Quando fa comodo

Opportunisti. Falsi. Ipocristi. Squallidi. Fastidiosi. Monotoni.

Potrei continuare all'infinito elencando gli aggettivi e apposizioni per i "rossi" (si legga post precedente).

Premessa. 10 circoscrizioni su 10 sono amministrate da giunte di centrosinistra (così come è ovvio sia il comune).
Sono sconcertato in relazione a ciò che accade per le strade di Torino.
Manifestazioni natalizie in ogni via, borgo, quartiere, giardino.

Così arrivo alla tesi:
quando fa comodo i "rossi" utilizzano e usano la Chiesa! quando GLI fa comodo!!
Non sopportano il Papa (chi gli ha chiesto che devono ascoltarlo se non lo riconoscono!!), ma quando Benedetto XVI interviene sulla questione ambientale, sottolineano immediatamente l'identità di vedute e quanto sia necessario seguirlo.
Non riconoscono un Dio onnipresente, ma festeggiano Natale: non riuscendo a farsi vedere in altra maniera (amministrando il quartiere), organizzano manifestazioni di piazza, di popolo.

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Giangiacomo

I "rossi"

Ho deciso.
Da oggi in avanti il mio blog utilizzerà il termine "rossi" per definire tutti coloro che votano e sono stati votati nel centrosinistra.

Il motivo principale è che di centro in quello schieramente non c'è niente.
I finti cattolici, i catto-comunisti, cercano di raccogliere qualche voto cattolico, vicino ai valori della famiglia. Ma purtroppo, fintanto che restano nella coalizione comandata dai Ds, saranno inglobati dagli stessi, rimarranno inespressivi e impossibilitati a far emergere il loro pensiero.
L'esempio: il voto della Sen. Binetti, provenienza acli. Vota contro ad un emendamento del ddl sulla sicurezza che riguarda l'omofobia, ma da due anni sostiene a spada tratta inciuci, voti di fiducia e il Governo Prodi.
Giudizio finale: opportunisti, falsi, ipocriti!

In seconda battuta, che ne dicano, il comunismo non è finito. Il fatto di aver proposto Napolitano come capo dello Stato, una finanziaria che può piacere solo ai radicali di sinistra... anche se cercano di mettere nel simbolo un po' di verde, resteranno sempre "ROSSI".

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Giangiacomo

sabato 8 dicembre 2007

Natale siamo noi!

E' on line la versione 2007 di www.natalesiamonoi.it.
Leggi, stampa e porta a scuola il "Promemoria pro presepe": nuove argomentazioni per dire a studenti, insegnanti e dirigenti perchè fare il presepe fa bene alla scuola.

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Giangiacomo

Ehi, laiconi, provate a rispondere al Papa

di Giuliano Ferrara
La lettera enciclica sulla speranza cristiana ha avuto l’effetto di una bomba intelligente e edificante. Ha centrato
l’obiettivo, colpendo l’impalcatura autoreferenziale del razionalismo soggettivista incurante della urgenza di verità e di fede (troppo umana) coltivata dagli uomini, ma con autorevole dolcezza, senza fare vittime.
L’impressione è che partendo di lì, da una discussione adulta e non scontata, non inquinata dal correttismo e cioè dai luoghi comuni sul dialogo, e invece incline a una discussione effettiva, tra moderni secolaristi e moderni cristiani si possa ricostruire qualcosa di sensato.L’enciclica sull’amore poteva essere assimilata dai secolaristi moderni senza troppi drammi e danni, e letta in modo automanipolatorio, perché il radicamento dell’amore nel problema della verità non è autoevidente, anzi. Spesso l’amore, non l’agape cristiana, non l’eros cristiano, ma la cura degli altri e di se stessi come umanitarismo, si confonde con sentimentalismo e bontà delle intenzioni, con il nutrimento del desiderio e l’affermazione di un mondo di diritti che si autogiustificano nel diritto al benessere. Ma con la speranza non si scherza. Come notava Péguy (il Foglio, venerdì 30 novembre), è una virtù bambina che trascina tutte le altre in una spirale teologale che è anche il culmine assoluto della filosofia, della vera filosofia viandante con tanto di bastone, e in un certo senso della vera religione, della vera fede, della nostra identità culturale radicale in quanto credenti o non credenti che appartengono al cristianesimo o ne dispongono come di un tesoro nascosto.Ai primi vespri del tempo di Avvento, Benedetto XVI, citando il nullismo dell’ideologia pagana contemporanea, ha detto, presentando l’anno liturgico e l’enciclica: “Tutto perde di ‘spessore’. E’ come se venisse a mancare la dimensione della profondità ed ogni cosa si appiattisse, privata del
suo rilievo simbolico, della sua ‘sporgenza’ rispetto alla mera materialità”. A questa critica schiettamente filosofica, in cui la parola “sporgenza” spiega tutto quel che c’è da spiegare in termini di ragione e dall’interno della storia, Benedetto aggiunge quel che è suo, e che è cardinale nella funzione apostolica e nella libera fede della chiesa, cioè Dio: “L’uomo è l’unica creatura libera di dire di sì o di no all’eternità, cioè a Dio. L’essere umano può spegnere in se stesso la speranza eliminando Dio dalla propria vita”. Programma troppo ambizioso e destinato al fallimento nella libertà, aggiunge il Papa, perché “all’umanità che non ha più tempo per Lui, Dio offre altro tempo”, il tempo liturgico dell’Avvento, e continua a rivelarsi” (attenzione! ndr) e a farlo “mediante la Parola e i Sacramenti”, “mediante la Chiesa” che “vuole parlare all’umanità e salvare gli uomini di oggi”, attraverso “questa luce che promana dal futuro di Dio” e che “si è già manifestata nella pienezza dei tempi”
con l’avvenimento del Cristo morto e risorto. Coloro che si sentono investiti da queste parole, da questa Parola, come da una minacciosa tempesta di vento in mare aperto, non hanno da preoccuparsi né da intristirsi, devono semplicemente rispettare le premesse laiche e secolariste della loro fede nell’immanenza, nell’autonomia dell’uomo e della storia, e domandarsi che cosa Benedetto abbia voluto dire, che cosa significhino per loro le sue parole su questa sostanza delle cose che si sperano e su questa prova di quelle che non si vedono che è la
fede cristiana; domandarsi che cosa ha detto il Papa e quanto possa essere significativo, non che cosa avrebbero voluto sentirsi dire nella forma rassicurante di un compromesso o dialogo all’insegna dello scambio tra una modernità furbamente accolta e un’intemporalità, un’inattualità, un’eternità che giudica rinunciando a se stessa (è questa la pretesa che avanza con garbo Orlando Franceschelli, che conosco come storico intelligente e militante del darwinismo e pubblicista laico sufficientemente attrezzato, anche più di Scalfari, per leggere una lettera enciclica di argomento teologico, il Riformista martedì 4 dicembre). Se l’ufficio della chiesa, sempre avida di riforme e aggiornamenti, è pur sempre “evangelizzare la storia dall’interno”, senza appartenerle interamente, e non piuttosto farsi convertire per inerzia dalle religioni immanentiste, ciò che mi sembra non solo vero da duemila anni compresi gli anni del Concilio Vaticano II, ma anche ragionevole e utile al mondo, compreso il mondo moderno e in specie esso, allora nasce o rinasce la responsabilità dello spirito secolare: pensare, pensare se stesso, i propri approdi, le proprie certezze e incertezze, la propria idea di speranza, anzi la propria fede- speranza come sostanza, substantia, radicamento in ciò che si è più che opinione su ciò che si è. In molti si domandano molte cose, e dialogano. Il pensiero cristiano, che da sempre è coscienza razionale del mondo e coscienza credente nel sopramondo incarnato, nel “plusvalore” del cielo (come scrive Benedetto), nell’àncora lanciata in tempesta verso il trono di Dio, nella stretta di mano del Padre e nella sua fedeltà, si permette il lusso di offrire risposte. Criticarlo e respingerlo è possibile, ovviamente, ma non più, nel tempo che viviamo, in nome dell’affettazione del dubbio, ponendo mere questioni di metodo. Il libro di Sofri, che sto leggendo, gira intorno al problema della risposta, intanto su chi è il mio prossimo, poi si vede, e gira con efficacia e costrutto senza naturalmente trovarla. D’Alema, parlando con gli studenti, fa il suo giretto. E Bertinotti il suo aggraziato passo di danza, presentando un libro su Giovanni Paolo II. Abbiamo passato l’estate a chiedere appunti per il dopo, e cioè: che cosa sperate? Torniamo a farlo. Io speriamo che me la cavo è una risposta tenera, terrestre e non necessariamente pedestre, ma palesemente insufficiente. La storia e lo spirito assoluto del reale razionale hanno
smesso di parlarci, con il Novecento e oltre. Questo mutismo dei tempi la chiesa lo registra e contrattacca. Un argomento, per cortesia, che parli di una qualche sostanza inattaccabile dalla fede e sia prova di cose che si vedono. Provate a vedere se vi riesca. Grazie.

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"Outlet Italia"

L'ultimo libro di Aldo Cazzullo (Il Corriere della Sera) racconta «lo svuotamento delle piazze italiane, dei cinema, delle chiese e degli stadi, in favore del vero luogo dove oggi ferve la vita sociale: l'outlet». Lui è Aldo Cazzullo, uno degli inviati di punta del Corriere della Sera, e il libro s'intitola, appunto, «Outlet Italia». «La parola "outlet" - spiega - indica un mondo parallelo dove isolarsi da quello vero. E' simbolo della svendita, non solo di beni ma di valori; perché nell'"Outlet Italia" tutto diventa merce, comprese le relazioni tra le persone». Un viaggio attraverso le metropoli e le province del nostro paese, raccontando storie e personaggi della vita pubblica italiana da cui emergono «i punti di forza e di crisi di una nazione che cambia». Ritratti che spaziano da Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, ad Aldo Montano e Costantino Vitagliano, passando attraverso Francesco Totti e don Gelmini. Episodi e fatti che dipingono i luoghi degli incontri e del divertimento di massa, come l'outlet di Serravalle Scrivia (il più grande d'Italia), il carnevale di Viareggio, la città di Alba, con il suo turismo gastronomico, e il Festival di Sanremo.

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martedì 4 dicembre 2007

L'assenteismo nella PA incide di 1 punto sul nostro PIL

"L'assenteismo è l'emblema dell'inefficienza e del cattivo funzionamento della pubblica amministrazione, il fenomeno più evidente e clamoroso". Il presidente di Confindustria Luca di Montezemolo lo ha sottolineato partecipando all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università Luiss. "Azzerare le assenze diverse dalle ferie - dice - porterebbe ad un risparmio di quasi un punto di Pil, 14,1 miliardi: 8,3 negli enti centrali e 5,9 in quelli locali". Montezemolo spiega che "portare la quota di assenze totali, comprese le ferie, al livello di quelle nel settore privato darebbe un risparmio di 11,1 miliardi". Il presidente di Confindustria ha anche tracciato una sorta di classifica dell'assenteismo. "Tra ferie e permessi vari un pubblico dipendente è fuori ufficio mediamente un giorno di lavoro su cinque. Tra i ministeri il top si raggiunge al ministero della Difesa, con 65 giornate di assenza in un anno, seguiti da ministero dell'Economia e da quello dell'Ambiente, entrambi con oltre 60 giorni. Altrettanto elevato è l'assenteismo nell'Agenzia delle Entrate. All'Inpdap si sfondano i 67 giorni". Negli enti locali, aggiunge Montezemolo, "spicca il Comune di Bolzano con 74 giorni di assenza all'anno, pari al 29% delle giornate lavorative. Oltre 70 giorni anche il Comune di La Spezia e la Provincia di Ascoli Piceno"."Come si deve reagire?", si domanda Montezemolo. La sua risposta è che "occorre anzitutto tornare a remunerare di più chi lavora di più, sia nel pubblico che nel privato. E sanzionare chi non produce pur essendo pagato per farlo. Nel pubblico impiego serve poi una verifica oggettiva dell'impegno. Basta con premi di risultato uguali per tutti". E' necessario per affrontare il nodo dell'assenteismo, ma più in generale costi ed inefficienze della pubblica amministrazione. Al problema delle "assenze", dice il presidente degli industriali, "si aggiungono i costi generati dalla bassa o nulla produttività di quella parte dei dipendenti pubblici, minoritaria ma non piccola, che svolge poco e male la sua attività, pur essendo ufficialmente presente sul posto di lavoro". Non tutto è negativo, "nella pubblica amministrazione così come in ogni parte della nostra società ci sono eccellenze che dobbiamo fare emergere. Persone straordinarie il cui entusiasmo viene ogni giorno mortificato da un sistema che ha come obiettivo portare tutti alla velocità del più lento".

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domenica 2 dicembre 2007

Riaffermare la centralità della politica

La politica è una maniera esigente, ma non la sola, di vivere l'impegno cristiano a servizio degli altri. Con questa riflessione riportata nell'enciclica Populorum progressio, Papa Paolo VI nel 1967 riaffermava il principio della centralità della politica nella nostra quotidianità, intendendola però come impegno esigente, che non lascia cioè spazio a frivolezze e facili egoismi. Poichè è a servizio degli altri diviene quindi nobile virtù, come osservava Cicerone. Di parere diverso appare invece l'opinione pubblica, che nel proprio immaginario denuncia con sempre maggior enfasi la mancata applicazione del declamato virtuosismo politico. Continuando così si rischia però di valicare con troppa disinvoltura i confini dell'antipolitica - anche solo per partito preso - senza comprendere che la politica, come ogni impegno umano, necessita di pace, meditazione, interiorizzazione e contemplazione, come scriveva l'On. Zaccagnini. L'importante è non tradire l'onestà del proprio dovere, abusando della politica con speculazione e lucido cinismo come purtroppo alcuni cattivi esempi lascerebbero intendere che si comporti - generalizzando - la maggior parte della "casta". Con queste premesse la politica deve riacquisire maturià per riaffermare la propria dignità in un contesto democratico che ponga l'elettore nel ruolo di decisore anzichè solo di passivo osservatore, ad esempio mettendo mano alla legge elettorale. E' tempo di riflessione, altrimenti ogni stagione sarà buona per lanciare grillesche provocazioni e la centralità della politica rimarrà un valore caro a pochi.

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Cosa significa la bellissima enciclica di Benedetto XVI sulla speranza

Un testo bellissimo da leggere e meditare…
Antonio Socci, "Libero" 1 dicembre 2007

Una bomba. E' la nuova enciclica di Benedetto XVI, "Spesalvi" dove non c'è neanche una citazione del Concilio (scelta di enorme significato), dove finalmente si torna a parlare dell'Inferno,del Paradiso e del Purgatorio (perfino dell'Anticristo, sia pure in una citazione di Kant), dove si chiamano gli orrori col loro nome (pere sempio "comunismo", parola che al Concilio fu proibito pronunciare econdannare), dove invece di ammiccare ai potenti di questo
mondo siriporta la struggente testimonianza dei martiri cristiani, le vittime, dove si spazza via la retorica delle "religioni" affermando che uno solo è il Salvatore, dove si indica Maria come "stella di speranza" e dove si mostra che la fiducia cieca nel (solo) progresso e nella (sola) scienza porta al disastro e alla disperazione. Benedetto XVI, del Concilio, non cita neanche la "Gaudium et spes",che pure aveva nel titolo la parola "speranza", ma spazza via proprio l'equivoco disastrosamente introdotto nel mondo cattolico da questa che fu la principale costituzione conciliare, "La Chiesa nel mondocontemporaneo". Il Papa invita infatti, al n. 22, a "un'autocritica del cristianesimo moderno". Specialmente sul concetto di "progresso". Per dirla con Charles Péguy, "il cristianesimo non è la religione delprogresso, ma della salvezza". Non che il "progresso" sia cosanegativa, tutt'altro e moltissimo esso deve al cristianesimo comedimostrano anche libri recenti (penso a quelli di Rodney Stark, "Lavittoria della Ragione" e di Thomas Woods, "Come la Chiesa Cattolicaha costruito la civiltà occidentale"). Il problema è l' "ideologia delprogresso", la sua trasformazione in utopia. Il guaio grave della "Gaudium et spes" e del Concilio fu quello dimutare la virtù teologale della "speranza" nella nozione mondanizzatadi "ottimismo". Due cose radicalmente antitetiche, perché, comescriveva Ratzinger, da cardinale, nel libro "Guardare
Cristo": "loscopo dell'ottimismo è l'utopia", mentre la speranza è "un dono che ciè già stato dato e che attendiamo da colui che solo può davveroregalare: da quel Dio che ha già costruito la sua tenda nella storiacon Gesù". Nella Chiesa del post-Concilio l' "ottimismo" divenne un obbligo e unnuovo superdogma. Il peggior peccato diventò quello di "pessimismo". Adare il là fu anche l'
"ingenuo" discorso di apertura del Conciliofatto da Giovanni XXIII, il quale, nel secolo del più grande macellodi cristiani della storia, vedeva rosa e se la prendeva con icosiddetti "profeti di sventura": "Nelle attuali condizioni dellasocietà umana" disse "essi non sono capaci di vedere altro che rovinee guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con isecoli passati,
risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al puntodi comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia… ANoi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti disventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo". Roncalli fu ritenuto, dall'apologertica progressista, depositario diun vero "spirito profetico", cosa che si negò – per esempio – allaMadonna di Fatima la quale invece, nel 1917, metteva in guardia da orribili sciagure, annunciando la gravità del momento e il pericolomortale rappresentato dal comunismo in arrivo (dopo tre mesi) inRussia. Si verificò infatti un oceano di orrore e di sangue. Ma 40anni dopo, nel 1962, allegramente – mentre il Vaticano assicurava Mosca che al Concilio non sarebbe stato condannato esplicitamente ilcomunismo e mentre si "condannavano" a mille
vessazioni santi comepadre Pio – Giovanni XXIII annunciò pubblicamente che la Chiesa del Concilio preferiva evitare "condanne" perché anche se "non mancano dottrine fallaci… ormai gli uomini da se stessi sembra siano propensia condannarli". E infatti di lì a poco si ebbe il massimo dell'espansione comunista nel mondo, non solo con regimi che andavano da Trieste alla Cina e
poiCuba e l'Indocina, ma con l'esplosione del '68 nei Paesi occidentali che per decenni furono devastati dalle ideologie dell'odio. Pochi annidopo la fine del Concilio Paolo VI tirava il tragico bilancio, per laChiesa, del "profetico" ottimismo roncalliano e conciliare: "Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole perla storia della Chiesa. È venuta invece una
giornata di nuvole, ditempesta, di buio, di ricerca, di incertezza…L'apertura al mondo èdiventata una vera e propria invasione del pensiero secolare nellaChiesa. Siamo stati forse troppo deboli e imprudenti", "la Chiesa è inun difficile periodo di autodemolizione", "da qualche parte il fumo diSatana è entrato nel tempio di Dio". Per questa leale ammissione, lo stesso Paolo VI fu isolato
come"pessimista" dall'establishment clericale per il quale la religionedell'ottimismo "faceva dimenticare ogni decadenza e ogni distruzione"(oltre a far dimenticare l'enormità dei pericoli che gravanosull'umanità e dogmi quali il peccato originale e l'esistenza diSatana e dell'inferno). Ratzinger, nel libro citato, ha parole di fuoco contro questa sostituzione della "speranza" con l' "ottimismo". Dice che "questo ottimismo metodico veniva prodotto da coloro che desideravano la distruzione della vecchia Chiesa, con il mantello dicopertura della riforma", "il pubblico ottimismo era una specie ditranquillante… allo scopo di creare il clima adatto a disfare possibilmente in pace la Chiesa e acquisire così dominio su di essa". Ratzinger faceva anche un esempio personale. Quando esplose il casodel suo libro intervista con Vittorio Messori, "Rapporto sulla fede",dove si illustrava a chiare note la situazione della Chiesa e delmondo, fu accusato di aver fatto "un libro pessimistico. Da qualche parte" scriveva il cardinale "si tentò perfino di vietarne la vendita, perché un'eresia di quest'ordine di grandezza semplicemente non potevaessere tollerata. I detentori del potere d'opinione misero il libroall'indice. La nuova inquisizione fece sentire la sua forza. Vennedimostrato ancora una volta che non esiste peccato peggiore contro lospirito dell'epoca che il diventare rei di una mancanza di ottimismo". Oggi Benedetto XVI, con questa enciclica dal pensiero potente (che valorizza per esempio i "francofortesi"), finalmente mette in soffitta il burroso "ottimismo" roncalliano e conciliare, quell'ideologismofacilone e conformista che ha fatto inginocchiare la Chiesa davanti almondo e l'ha consegnata a una delle più tremende crisi della suastoria. Così la critica implicita non va più solo al post concilio,alle "cattive interpretazioni" del Concilio, ma anche ad alcuneimpostazioni del Concilio. Del resto già un teologo del Concilio comefu Henri De Lubac (peraltro citato nell'enciclica) scriveva aproposito della Gaudium et spes: "si parla ancora di oncezionecristiana', ma ben poco di fede cristiana. Tutta una corrente, nelmomento attuale, cerca di agganciare la Chiesa, per mezzo delConcilio, a una piccola mondanizzazione". E persino Karl Rahner disseche lo "schema 13", che sarebbe divenuto la Gaudium et spes, "riducevala portata soprannaturale del cristianesimo". Addirittura Rahner !Ratzinger visse il Concilio: è l'autore del discorso con cui il cardinale Frings demolì il vecchio S. Uffizio che non pochi danniaveva fatto. E oggi il pontificato di Benedetto XVI si staqualificando come la chiusura della stagione buia che, facendo tesoro delle cose buone del Concilio, ci ridona la bellezza bimillenaria della tradizione della Chiesa. Non a caso nell'enciclica non è citato il Concilio, ma ci sono S. Paolo e Gregorio Nazianzeno, S. A
gostino e S. Ambrogio, S. Tommaso e S. Bernardo. Un'enciclica bella, bellissima. Anche
poetica, che parla al cuore dell'uomo, alla sua solitudine e ai suoi desideri più profondi. E' consigliabile leggerla e meditarla attentamente.

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Giangiacomo

sabato 1 dicembre 2007

La tentazione della cittadinanza troppo facile

Lo scorso 20 novembre il Presidente della Repubblica ha invitato a “cambiare una norma che è troppo restrittiva” sulla cittadinanza italiana. È possibile che Napolitano abbia voluto solo fare riferimento a qualche pietosa situazione individuale, in cui non è questione di leggi ma di lentezze della burocrazia. Se invece si tratta di un appoggio implicito alle proposte del governo sulla cittadinanza, dobbiamo dire con rispetto ma con chiarezza che si tratta di un progetto sciagurato e pericolosissimo.
La riforma prevede infatti la possibilità di diventare cittadini italiani dopo cinque anni di residenza per gli extracomunitari e tre anni per i comunitari (dunque, tra l’altro, per centinaia di migliaia di romeni, rom compresi), senza nessuna soglia di reddito. I minori che hanno frequentato un corso di studio (per esempio, le elementari) potrebbero diventare immediatamente cittadini. E si ventila anche la possibilità di considerare subito cittadini i nati in Italia da genitori non italiani, rovesciando la nostra tradizionale impostazione che privilegia lo ius sanguinis (cioè la nazionalità dei genitori) sullo ius soli (il luogo di nascita). Una vera rivoluzione, dal momento che oggi la naturalizzazione si acquisisce solo dopo dieci anni di residenza in Italia (sei mesi se si è sposato un coniuge italiano), e alla condizione dell’assenza di precedenti penali.
La legge proposta dal governo Prodi – che il centrosinistra minaccia di fare approvare nei prossimi mesi – anzitutto costerebbe, secondo il Ministero dell’Interno, quarantotto milioni di euro per l’impalcatura burocratica destinata ai nuovi cittadini e per le indennità di accompagnamento che spetterebbe ai neo-cittadini con familiari invalidi (veri o fasulli). I nuovi cittadini sarebbero subito circa un milione (in maggioranza romeni, marocchini e albanesi). In dieci anni, combinando le norme sulla cittadinanza con le facilitazioni all’immigrazione del pacchetto Amato-Ferrero, potrebbero essere cinque milioni. È vero che molti sarebbero minorenni, ma quando tutti costoro fossero diventati maggiorenni si tratterebbe del 13% degli elettori. È sognando questo tesoretto elettorale che la sinistra ha lanciato lo slogan “tutti cittadini”.Uno slogan irrealistico e anti-europeo. La proposta degli italiani di Rifondazione Comunista di elevare i cinque anni di residenza a criterio per la cittadinanza nell’intera Unione Europea è stata sonoramente bocciata a Bruxelles. Altrove si pensa semmai a criteri più restrittivi, a norme contro i matrimoni fasulli, a soglie di reddito e d’istruzione cui collegare la cittadinanza. Il fiume in piena di nuovi cittadini travolgerebbe infatti qualunque politica di sicurezza e sociale.
Voterebbero tutti per il Partito Democratico o per la Cosa Rossa? Qui si apre un importante discorso politico. Il centrodestra deve, certo, sensibilizzare gli italiani sulla gravissima sciagura – di cui si parla meno di altre – che la riforma della cittadinanza fa incombere come una spada di Damocle sul futuro della nazione. Ma, nello stesso tempo, dovrà prendere atto che molti immigrati – speriamo dopo dieci anni e severi controlli, non dopo cinque o tre – alla fine diventeranno cittadini ed elettori. E pensare per tempo – come hanno fatto i conservatori canadesi e Sarkozy in Francia – ad entrare in contatto con chi, in questo nuovo elettorato, è venuto in Italia per lavorare e non per delinquere, e magari condivide i valori del centrodestra. In Canada, per esempio, i conservatori sono tornati al potere nel 2006 dopo sedici anni di governi socialisti grazie al massiccio sostegno di immigrati, anche musulmani, contrari al matrimonio fra omosessuali introdotto dai socialisti. Sarkozy ha potuto contare sull’anticomunismo dei nuovi cittadini venuti dall’Europa dell’Est e sul richiamo ai valori morali e all’ordine pubblico che è condiviso anche da tanti immigrati. Ne è un simbolo il nuovo ministro della Giustizia Rachida Dati, seconda tra undici figli di un muratore marocchino, che ha iniziato la sua ascesa sociale grazie a una borsa di studio che ha permesso a lei, musulmana, di studiare in una scuola privata cattolica. Il centrodestra non deve dare per scontato che i futuri cittadini di origine romena vogliano votare per chi a suo tempo inneggiava al comunismo e a Ceausescu. Né che i musulmani voteranno i sostenitori delle unioni omosessuali o dell’eutanasia. Ma a questo nuovo elettorato certe cose bisognerà spiegarle.


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Giangiacomo

La moschea di Bologna e quella legge del 1948

Magdi Allam - Il Corriere della sera, 26 novembre 2007

All'inizio degli anni Sessanta un quotidiano nazionale pubblicò, per non incorrere nell'ingiunzione di un magistrato, la rettifica di un detenuto realmente rinchiuso nel carcere di San Vittore, in cui negava di essere mai stato arrestato e denunciava che, a suo avviso, l'aver scritto che si trovasse incarcerato rappresentava un fatto lesivo della sua onorabilità. A calce della rettifica palesemente infondata che negava l'evidenza del fatto, il quotidiano specificò: «Prendiamo atto che la lettera proviene dal carcere di San Vittore». Questo può accadere in Italia perché la legge n. 47 dell'8-2-1948 prescrive che «il direttore è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità». Cioè è sufficiente che siano «ritenuti lesivi» anche se sulla base del più assoluto arbitrio, non che lo siano effettivamente sulla base di prove inconfutabili, per obbligare il giornale a pubblicare la rettifica entro due giorni. Trascorso questo termine «l'autore della richiesta di rettifica (…) può chiedere al pretore, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione». Ed è così che la nostra stampa finisce per diventare il ricettacolo di scritti che dicono tutto e il contrario di tutto, che mettono sullo stesso piano e attribuiscono pari valore al vero e al falso. Ebbene corrisponde allo stesso atteggiamento arbitrario e menzognero, fondato sulla mistificazione e negazione della realtà, la lunga lettera dell'Ucoii, a
firma del suo presidente Mohamed Nour Dachan, pubblicata dal Corriere il 9 novembre scorso. In essa si negano con la massima spregiudicatezza quattro fatti manifesti e documentati:
1) che l'Ucoii sia la controparte del Comune di Bologna nell'assegnazione di una mega-moschea; 2) il legame ideologico, religioso e giuridico dell'Ucoii con i Fratelli Musulmani e con l'apologeta del terrorismo islamico Youssef Qaradawi; 3) la predicazione d'odio, di violenza e di morte dell'Ucoii contro Israele e legittimante il terrorismo palestinese di Hamas; 4) la sospensione della Consulta per l'islam d'Italia proprio a causa delle posizioni inaccettabili dell'Ucoii su Israele e sull'intesa con lo Stato. Da parte dell'Ucoii tutto ciò avviene all'insegna della taqiya, la dissimulazione, eretta a precetto di fede per imporre il proprio potere teocratico e assolutista, così come ammesso nella versione italiana del Corano a cura dell'Ucoii a commento dei versetti 105-106 della sura XVI. Basti considerare, per quanto concerne la dissimulazione e negazione della realtà sul progetto della mega-moschea di Bologna, come ha rilevato anche Marco Guidi sul Resto del Carlino del 12 novembre, che: 1) il terreno di via Felsina, oggetto di permuta con il terreno della futura mega-moschea, appartiene all'Ente gestione beni islamici, ovvero Al Waqf Al Islami, organizzazione dell'Ucoii (http://www.islam-ucoii.it/ vedi alla sezione «Chi siamo»); 2) il Centro di cultura islamica di Bologna diretto da Radwan Altoungi, futuro gestore della moschea, è associato all'Ucoii, come dichiarato sia nello Statuto di questa associazione, sia nel sito www.corano.it/menu_sx.html; 3) in un documento ufficiale del Comune di Bologna del 18 ottobre 2007 www.comune.bologna.it/partecipazione/culto-islamico.php si afferma che «l'organizzazione nazionale alla quale è affiliato il Centro (di cultura islamica di Bologna, ndr) è l'Ucoii». Lancio dunque un accorato appello al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, quale massimo garante della Costituzione, al governo e al Parlamento tutori dell'interesse nazionale, affinché intervengano subito e con determinazione per abrogare quest'incivile e insana norma penale che dà facoltà a un pretore di imporre a un giornale di pubblicare delle menzogne, senza alcuna verifica giudiziaria della loro fondatezza e veridicità. Proprio questo relativismo cognitivo ed etico è il male diffuso che alimenta in seno alla nostra società la perdita della certezza nella verità che si radica nei fatti e il venir sempre meno della fiducia nelle istituzioni rappresentative dello stato di diritto e della democrazia.

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Giangiacomo

Parole in libertà da sinistra e dintorni...

"Il governo Prodi si puo' considerare a pieno titolo un precario con il contratto a termine scaduto"

On. Francesco Caruso, Prc, annunciando il voto di fiducia sul welfare
Agenzia ADNKRONOS del 28 novembre 2007

... povera Italia !!!

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Giangiacomo