sabato 22 dicembre 2007

Troppe palle al piede: così frena la piccola impresa

Per chi si chiedesse come mai la ripresa dello sviluppo di tante piccole e medie imprese non riporti ad un rilancio definitivo del nostro Paese, alcune vicende che accadono nel mondo imprenditoriale possono fornire un’indicazione. Un’impresa di successo di Pescara che si occupa di robotica applicata all’automobile, nata dalla creatività di un gruppo di ingegneri del posto che rilevano, ristrutturano e salvano un’azienda decotta, diventa capace in pochi anni di lavorare per grandi imprese mondiali, quali General Motors e Bosch, e in paesi quali Brasile, Cina, India. Ben presto però il management dell’azienda si trova a fare i conti col fatto che il sistema finanziario pubblico e privato non è pronto a supportare tale sviluppo virtuoso. Alcuni esempi per tutti lo testimoniano. Negli ultimi anni, dato il grande sviluppo, il titolare prova a chiedere al sistema bancario di sviluppare prodotti per le start up estere, mutui chirografari, comunque forme di finanziamento a medio e lungo termine per non gravare sulla gestione ordinaria dell’impresa. Pur avendo corredato tale richiesta con business plan analitici in cui viene esplicitato il nome dei clienti ed il tipo di impianti venduti, il finanziamento viene negato. Un’altra esperienza negativa accade al nostro imprenditore quando una multinazionale americana quotata decide di acquistare prodotti dalla sua azienda. L’amministratore delegato della multinazionale firma una lettera di autorizzazione ad iniziare i lavori. Il contratto è di 5 milioni di euro e la lettera dice che entro tre mesi arriverà l’ordine. Tuttavia per il sistema bancario italiano non basta la firma dell’amministratore delegato. La banca propone alternativamente di assicurare il credito con la principale compagnia pubblica di assicurazione del credito estero. Fatta la pratica, dopo due mesi, viene comunicato che non c’è più la convenzione con gli Stati Uniti e quindi la ditta non può essere coperta dalla loro assicurazione. Un terzo esempio completa il quadro. L’imprenditore pescarese, che ha dovuto risanare un’azienda in crisi, guarda all’innovazione come all’aria che si respira. Ora sembra strano, ma in Italia non esiste uno strumento di credito ordinario chirografico che finanzia l’innovazione. Così, capita che, quando comincia ad innovare si sente dire dalle banche che il suo rating non è male, ma non è sufficientemente alto da ottenere un finanziamento per l’innovazione. Come rimedia il nostro imprenditore? Arrangiandosi: per produrre i prototipi dell’ibrido elettrico che hanno permessa all’impresa di decollare, mette mano al portafoglio, aumentando ulteriormente il rischio d’impresa. Morale: quanti teorizzatori del capitalismo finanziario internazionale hanno l’umiltà di ammettere che la piccola e media impresa sarebbe già un formidabile strumento di sviluppo del nostro Paese se solo le si levassero le palle al piede che le si impongono?

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Giangiacomo

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