domenica 27 luglio 2008

Anche di Hitler e Stalin non riuscimmo a vedere il pericolo

Molti contemporanei non riuscirono a vedere Adolf Hitler, Benito Mussolini e Joseph Stalin per quello che erano; oggi Hezbollah, al Qaeda, i khomeinisti iraniani e i Wahabiti sauditi proclamano apertamente la loro intenzione di distruggerci, ma, ancora una volta, non stiamo prendendo sul serio tali minacce.Perché c’è una così grande riluttanza ad agire? Dopo la seconda guerra mondiale siamo stati guidati dal forte desiderio di capire come il genocidio, il terrorismo e la guerra totale si manifestino e come prevenirli in futuro, e – soprattutto - abbiamo cercato risposta ad alcune domande fondamentali: Perché l’Occidente non è riuscito a vedere l’arrivo della catastrofe?Perché ci sono stati così pochi sforzi per impedire la marea fascista, e perché praticamente tutti i leader occidentali – e così tanti intellettuali – hanno trattato i fascisti come se fossero dei normali capi politici invece che come i pericolosi rivoluzionari che erano? Perché gli ebrei – le vittime maggiormente designate – fallirono ugualmente nel riconoscere l’entità della loro imminente distruzione? Perché la resistenza è stata così sporadica? La maggioranza alla fine ha accettato una doppia “spiegazione”: l’unicità di quel male e la mancanza di precedenti storici. L’Italia e la Germania erano due tra le nazioni più civilizzate e acculturate del mondo.Era difficile capire che un grande male sarebbe diventato supremo nei Paesi in cui sono nati Kant, Beethoven Dante e Rossellini. Eppure, non siamo mai riusciti a vedere la forza crescente dei nostri nemici. Perché li trattiamo come se fossero normali fenomeni politici, come fanno i leader occidentali quando abbracciano i negoziati come la migliore strada percorribile? Non possiamo biasimare i capi di Stato di allora, per non parlare delle vittime, per non aver visto qualcosa che era quasi totalmente sconosciuto come lo sterminio di massa su vasta scala e una minaccia alla stessa civiltà. Prima d’allora, infatti, non c’era mai stata una campagna organizzata per distruggere un’intera “razza”, ed era perciò quasi impossibile rendersene conto o riconoscerla come tale. Tuttavia l’incapacità di percepire il pericolo segue una prassi ben conosciuta: il sistematico rifiuto di vedere i nostri nemici. Le invettive di Hitler, contenute sia nel Mein Kampf che nelle manifestazioni del partito nazista, erano spesso minimizzate come espressioni “politiche”, un modo per mantenere il sostegno popolare, e raramente venivano prese sul serio.L’appello di Mussolini per la creazione di un nuovo impero italiano e la sua successiva alleanza con Hitler sono stati definiti semplici bravate. Qualche studioso ha ampliato l’analisi per includere altri regimi come la Russia di Stalin, responsabile anch’essa della morte di milioni di individui, le cui ambizioni minacciavano ugualmente l’Occidente. Come con il fascismo, la maggior parte dei contemporanei trovò quasi impossibile credere che l’Arcipelago Gulag fosse quello che era, e - come con il fascismo - abbiamo studiato il fenomeno in modo da riconoscere il male abbastanza in tempo per evitare che ci colpisca di nuovo. Ormai è veramente poco quello che non sappiamo su questi regimi e movimenti; alcuni dei nostri maggiori studiosi li hanno descritti, analizzato le ragioni del loro successo e raccontato la guerra che abbiamo combattuto per sconfiggerli. La nostra conoscenza a riguardo è notevole, così come l’onestà e l’intensità del desiderio che cose simili non si ripetano, eppure sta succedendo di nuovo: stiamo agendo come nel secolo scorso.Il mondo reagisce sonnecchiando alle note retoriche e azioni di movimenti e regimi come Hezbollah e al Qaeda, i khomeinisti iraniani e i wahabiti sauditi che giurano di distruggere noi e quelli come noi. Come i loro predecessori del ventesimo secolo, proclamano apertamente le loro intenzioni e le attuano quando e ovunque possono, e - come i loro predecessori - raramente li prendiamo sul serio o agiamo di conseguenza. Più spesso sottovalutiamo la portata delle loro parole, come se si trattasse di una versione islamica o araba di “politica” destinata al consumo interno e ideata per portare avanti obiettivi nazionali. È chiaro che le spiegazioni che ci siamo dati riguardo la nostra incapacità di agire nel secolo scorso sono sbagliate. La nascita di movimenti messianici di massa non è una novità, ed è davvero poco quello che non sappiamo su di loro, né abbiamo scuse per sorprenderci del successo di leader crudeli anche in Paesi con una lunga storia, una grande cultura e stabilità politica. Sappiamo tutto, quindi dobbiamo porci di nuovo le solite domande: perché non riusciamo a vedere la forza crescente dei nostri nemici? Per molte ragioni.Una è l’idea, profondamente radicata, che tutte le persone siano fondamentalmente uguali e buone. La maggior parte della storia umana dimostra l’opposto, ma è difficile accettare il fatto che molte persone siano cattive e che intere culture, anche la migliore, possano cadere preda di leader crudeli e marciare a comando. Molta della cultura occidentale è profondamente impegnata a credere nella bontà dell’umanità, e siamo riluttanti ad abbandonare questo rassicurante articolo di fede; nonostante l’evidenza del contrario, preferiamo inseguire la strada della ragionevolezza anche con i nemici il cui fanatismo totalmente irrazionale è palese. Questa non è filosofia, perché accettare la minaccia contro di noi vuol dire agire, a meno che non si preferisca il suicidio nazionale. Come nel ventesimo secolo, significa guerra; significa che, almeno temporaneamente, dobbiamo fare sacrifici su molti fronti: la comodità delle nostre vite, il rischio di morire, l’oggetto quotidiano dei nostri sforzi – le carriere e le libertà personali soggette a spiacevoli ed anche pericolose restrizioni – e la destinazione della ricchezza dalla soddisfazione personale alla sicurezza nazionale. Tutto questo è doloroso; anche il solo pensarlo fa male. Poi c’è l’antisemitismo.Vecchi testi dell’odio antiebraico, ora anche in farsi e arabo, si stanno diffondendo in tutto il Medio Oriente, e incitazioni alla distruzione di Israele appaiono regolarmente nelle televisioni iraniane, egiziane, saudite e siriane, e sono ascoltate nelle moschee europee e americane. Non c’è da stupirsi se ogni condanna occidentale che non è seguita da praticamente nessuna azione suggerisca, come minimo, una diffusa indifferenza verso il destino degli ebrei. Infine c’è la natura del sistema politico. Nessuna democrazia era adeguatamente preparata alla guerra degli anni Quaranta prima di esserne coinvolta, e nessuno era preparato all’aggressione terrorista del ventunesimo secolo.La natura della politica occidentale rende molto difficile ai leaders nazionali – nonostante alcuni uomini e donne che capiscono cosa stia succedendo e vogliano agire – prendere opportune e attente misure prima che la guerra gli piombi addosso. Uomini come Winston Churchill sono stati relegati all’opposizione fino a quando la battaglia è divenuta inevitabile. Allora come oggi, l’iniziativa spetta ai nemici dell’Occidente. Fino ad oggi, impegnati nei campi di battaglia dell’Iraq e dell’Afghanistan, c’è stato uno scarso riconoscimento del fatto che siamo sotto attacco da parte di un nemico comune, e grande riluttanza ad agire di conseguenza: questa volta l’ignoranza non può essere addotta come giustificazione. Se saremo sconfitti sarà per mancanza di volontà, non di nozioni.

Michael Ledeen - Liberal

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Giangiacomo

domenica 20 luglio 2008

sabato 19 luglio 2008

Ma l’Europa è ancora in Europa?

Alla domanda «che cos’è l’Europa?» un numero impressionante di pensatori, giornalisti, cittadini e responsabili politici europei reagiscono affermando che non esiste una risposta, o meglio che nessuna risposta deve essere fornita. L’Europa, dicono, non è nulla di tangibile e questo nulla - lungi dal rappresentare un handicap - è il suo mandato, la sua vocazione, la sua virtù tardiva e cardinale. Il filosofo francese Jean-Marc Ferry definisce l’Europa un’identità il cui principio è legato alla sua disposizione ad aprirsi alle altre identità. L’Europa, l’essere europei significherebbe dunque non dovere nulla alla propria origine ed essere sradicati da se stessi. Questo modo di percepire, di pensare l’Europa è dovuto al trauma di Auschwitz. La forma apocalittica che ha assunto l’esclusione dell’Altro nei campi della morte potrebbe essere riscattata dall’avvento di un’umanità che nessun dissidio interiore sarebbe in grado di fragilizzare o dividere. E l’Europa, essendo appunto stata il luogo del crimine, deve dare l’esempio ed espiare il crimine cancellando il luogo. L’unica identità che può accettare è quella del ripudio di ogni brama identitaria; per non cedere nuovamente alla tentazione dell’esclusione deve optare per la strada redentrice dell’indeterminatezza. Fuggire lontani dall’appartenenza: questa sarebbe la missione civilizzatrice e, innanzitutto, auto-civilizzatrice che si attribuisce l’Europa del «dovere di memoria».Ed è sorretti da questa definizione della non-definizione che i sostenitori dell’integrazione della Turchia nell’Unione Europea hanno accusato i loro avversari di lasciarsi guidare dalla retorica reazionaria della provenienza. «Coloro che vogliono i turchi fuori dall’Ue scoprono il radicamento dell’Europa nell’occidente cristiano», dicono con sarcasmo. Questo radicamento rappresenterebbe ai loro occhi una caduta, anzi una ricaduta. Chiedersi se la Turchia fa parte dell’Europa - ovvero se questo Paese è rimasto ai margini del cosiddetto concerto europeo o se ha condiviso le esperienze che hanno modellato il vecchio continente e che gli hanno conferito la sua particolare fisionomia: il Cristianesimo, il Rinascimento, la Riforma, la Controriforma, l’Illuminismo, il Romanticismo - vuol dire dimenticare che la stessa Europa non fa più parte dell’Europa e che questo distacco la libera finalmente dalla sua storia sanguinosa. L’Europa deve fare di tutto per impedire il ritorno dei suoi vecchi demoni. Ma lo sta facendo bene? Cosa significa veramente questa sua proclamazione di apertura? Rinchiudere l’Altro (in questo caso la Turchia) nell’alternativa tra inclusione ed esclusione non significa rispettarlo in quanto Altro bensì militare attivamente in favore di un mondo privo di alterità. Significa istituire, sotto l’egida del diritto, dell’economia e della morale, l’impero dell’Identico. «Non sono nulla, dunque sono tutto», afferma oggi l’Europa autocritica, pentita, postnazionale e, in un certo senso, post-europea. A questa xenofilia senza xenos si aggiunge l’esercizio di una memoria che dimentica tutto quello che non è stato criminale. In nome di Auschwitz, l’Europa, in quanto esperienza e destino, viene sostituita dall’Europa delle regole, delle procedure e dello sciovinismo di un presente che fonda il suo regno sulle macerie del nazionalismo e dell’etnocentrismo. Prima di noi il diluvio! Prima delle nostre attuali instancabili lotte contro ogni discriminazione, il razzismo, l’antisemitismo, la misoginia, l’omofobia, la colonizzazione, la schiavitù regnavano, insieme o alternativamente, nel territorio europeo.Questa Europa della memoria è un’Europa della tabula rasa. Questa Europa dell’apertura è un’Europa chiusa a tutto quello che non è, qui e ora, come lei. Esiste tuttavia un’altra modalità del dovere di memoria: la cultura. Come ha scritto il filosofo Alain «l’uomo vive in società non perché eredita dall’uomo ma perché commemora l’uomo. Commemorare vuol dire far rivivere quello che vi è di grande nei morti, e nei morti più grandi».Questo utilizzo della memoria è oggi in disuso. Se l’Europa si allontana da se stessa senza cedere ad alcun tipo di nostalgia non è solo perché è ancora abitata dalle atrocità del ventesimo secolo ma perché, purtroppo, la cultura - questa grande mediazione dell’arte, questo tentativo di capire attraverso i nostri morti cosa siamo e cosa rappresenta la vita, ovvero quello che contraddistingueva l’umanesimo europeo - non ha più nessuna importanza nel vecchio continente. In un rapporto che presenta 314 proposte per favorire la crescita, consegnato recentemente al presidente della Repubblica francese da una commissione internazionale di esperti, diretta da Jacques Attali, viene scritto e ripetuto che l’attuale organizzazione dell’insegnamento è sbagliata perché favorisce l’attitudine dei bambini ad imparare conoscenze accademiche a memoria invece di facilitare lo sviluppo della loro creatività, delle loro doti linguistiche, informatiche, artistiche e sportive. L’Europa non ha più il tempo e la voglia di guardarsi indietro. Altri compiti, più impellenti, l’occupano e la preoccupano: l’accesso a tutte le informazioni disponibili su Internet, l’adattamento all’economia mondializzata, il benessere dei consumatori. Questa Europa hyper-connessa è sinceramente convinta che è la sua umanità a distaccarla dalle sue radici identitarie, a spingerla a rinnegare o a trascendere le proprie frontiere. In realtà, è per mancanza di umanesimo che tutto questo accade.

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Giangiacomo

Napoli, liberata dai rifiuti

Lo aveva promesso in campagna elettorale: il primo consiglio dei ministri operativo si sarebbe tenuto a Napoli e a Napoli Berlusconi e i ministri avrebbero continuato a tornare fin quando non si fosse risolta l’emergenza e i rifiuti non fossero stati tolti definitivamente dalle strade. Oggi Berlusconi è per la quinta volta in meno di due mesi a Napoli e può annunciare che in Campania non ci sono più rifiuti per le strade. L’emergenza è superata, come era stato promesso.

Il risultato è stato raggiunto con un lavoro immane, che ha visto impegnati in prima linea il presidente del Consiglio, il sottosegretario Bertolaso e il generale Giannini, comandante dei militari impiegati per rendere più visibile ed efficace il ritorno dello Stato.

Assieme a Napoli, ben 511 comuni della Campania sono stati interessati dall'emergenza, per un totale di 7.200 tonnellate di rifiuti prodotti al giorno: uscire dall'emergenza ha comportato raccogliere e avviare a smaltimento questa produzione quotidiana e le decine e decine di migliaia di tonnellate accumulatesi nei mesi passati.

Sono state attivate le discariche possibili e necessarie, parte dell'immondizia è stata avviata in Germania (520 tonnellate al giorno), parte è stata pretrattata e avviata agli impianti di termovalorizzazione di altre regioni. Il governo ha avuto la capacità di creare uno spirito di solidarietà che ha prevalso su incomprensioni e contrasti pregressi, perché era chiaro a tutti che stavolta si stava facendo sul serio per uscire definitivamente dall’emergenza perenne.

Lo sforzo eccezionale proseguirà. Con le discariche e i trasferimenti fuori regione si potrà andare avanti per qualche tempo, ma intanto bisognerà continuare a lavorare perché non si ricrei lo scarto negativo fra rifiuti prodotti e rifiuti smaltiti. Si punta sui termovalorizzatori (saranno quattro, presto entrerà in funzione quello di Acerra) e sulla raccolta differenziata, già avviata nei comuni dove non era praticata. Ci vorranno ancora tre anni per la soluzione definitiva della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Per intanto però, come ha detto il premier, “Napoli è stata riportata alla grande civiltà che le compete".


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Giangiacomo

lunedì 14 luglio 2008

14 Luglio 2008 - Rivoluzione francese

La rivoluzione francese
Altro che libertà!
Il mondo moderno viene partorito nel fiume di sangue del Terrore rivoluzionario.

French Revolution
What sort of freedom!
The modern world was born in the river of blood of revolutionary Terror.

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Giangiacomo

La giustizia è un'emergenza del Paese, non del premier

Vogliamo giustizia. Quante volte ci è capitato di sentire pronunciare questa frase. È il grido di coloro che, davanti ad un torto subito, chiedono di veder riconosciute le loro ragioni. In molti casi si tratta di persone comuni vittime di un sistema che non è riuscito a tutelarle come dovrebbe. L'articolo 101 della nostra Costituzione è inequivocabile: «La giustizia è amministrata in nome del popolo». Non si tratta quindi di un attività solipsistica. Sempre, nell'esercizio delle loro funzioni, i giudici hanno una limitazione, un vincolo irrinunciabile: il bene comune. Come è possibile coniugare giustizia e bene comune? È come se le lancette dell'orologio fossero tornate indietro di 10 anni. Nella discussione che si sta sviluppando in queste ore, a finire sul bando degli imputati non sono le norme predisposte dal governo, ma il fatto che quest tocchino un processo che vede coinvolto il Presidente del Consiglio.
E' come se si dicesse: siamo d'accordo sul principio, ma siccome c'è di mezzo Berlusconi quello che si sta facendo è sicuramente sbagliato. Pochi ad esempio ricordano la circolare con cui, due anni fa, il procuratore di Torino Marcello Maddalena, davanti all'impossibilità di celebrare tutti i processi, invitava a dare precedenza ai procedimenti più urgenti mettendo in coda quelli su cui era intervenuto l'indulto.
Stessa ratio guida il cosiddetto "lodo-Schifani". Il punto non è l'impunità del Presidente del Consiglio, ma un assetto dei poteri più giusto che superi il conflitto permanente che ci ha accompagnato in questi anni. Troppo spesso, infatti, il potere giudiziario è stato utilizzato come arma di lotta politica. Stabilire l'immunità, durante l'esercizio delle proprie funzioni, di alcune alte cariche dello Stato, significa anzitutto garantire governabilità e stabilità al Paese. Tutti ricordiamo cosa accadde nel 1994. I cittadini vogliono una politica capace di decidere, che non subisca ricatti di sorta. Ce lo hanno chiesto chiaramente alle ultime elezioni bocciando un centrosinistra che ne due anni precedenti si era dimostrato inconcludente e premiando nettamente una coalizione coesa. Credo che l'errore più grande oggi sia quello di tornare sulle barricate. Dobbiamo andare avanti nel confronto tra maggioranza e opposizione consapevoli che quella della giustizia è una delle grandi emergenze del nostro Paese.

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Giangiacomo

domenica 13 luglio 2008

Appello per la difesa del diritto alla vita di Eluana Englaro

Insieme agli amici dell'Associazione Due minuti per la vita, Vi invito a firmare e a far firmare l'appello in difesa del diritto alla vita di Eluana Englaro presente al link www.firmiamo.it/eluanaenglaro.

Il nostro intervenire come Associazione anche sul tema dell'eutanasia non é fuori luogo ed é anzi espressamente previsto dallo Statuto, laddove all'art. 2, co. 2 si precisa che l'Associazione Due minuti per la vita puó, «promuovere ed aderire a qualsivoglia iniziativa finalizzata alla diffusione e affermazione della "cultura della vita", in particolare della sacralità ed inviolabilità della vita umana in ogni sua fase dal concepimento al termine naturale».

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Giangiacomo

sabato 12 luglio 2008

11 luglio 2005 – 2008. Tre anni fa, le bombe a Londra

11 luglio 2005 – 2008. Tre anni fa, le bombe a Londra
L’errore politico di tollerare la predicazione islamica nella società inglese.La denuncia della Fallici inglese, Melanie Phillips: dal progressismo alla condanna del multiculturalismo

July 11, 2005 – 2008. Three years ago, the bombing in London
The political mistake to tolerate the Islamic preaching in English society.The accusation of the English Oriana Fallaci, Melanie Phillips: from liberal to the condemnation of multiculturalism

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Dal lodo Alfano una nuova stabilità ai governi

"Non appena Berlusconi è sceso in politica, egli è stato oggetto di un inusitato attacco giudiziario che non è una sua questione privata, ma un drammatico fatto politico e istituzionale: 90 processi, 2500 udienze, 500 magistrati impegnati, 470 perquisizioni, episodi gravissimi come quelli avvenuti nel 1994 con la violazione del segreto istruttorio sul Corriere della Sera e nel 1996 con il caso Ariosto alla vigilia delle elezioni.... Questi episodi e molti altri ancora sono la dimostrazione che si è trattato di un uso sconvolgente della giustizia volto a manipolare il quadro politico e ad influire sui risultati elettorali. Solo una buona dose di mistificazione, di ipocrisia e di disprezzo dello Stato di diritto può liquidare tutto ciò come un fatto personale".

Con queste parole, Fabrizio Cicchitto ieri alla Camera ha spiegato come il lodo Alfano - la legge che sospende i processi penali per le prime quattro cariche istituzionali del Paese - sia una legge necessaria per dare finalmente stabilità di governo e politica al Paese, cercando di porre fine al contenzioso tra un minoranza di magistrati politicizzati e la politica, che dal 1992 sta devastando la normalità della vita democratica e che nuoce allo sviluppo del Paese.


Su www.ilpopolodellaliberta.it si possono trovare documenti utili a capire l'importanza di una legge che non riguarda una singola persona ma il corretto funzionamento del rapporto tra istituzioni e magistratura. Un passo, che speriamo sia il primo di una lunga serie e che contribuisca a svelenire un clima di contrapposizione che non giova all'Italia e agli italiani.

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Giangiacomo

domenica 6 luglio 2008

Il compleanno del presidente Bush (6 luglio 1946)

President Bush’s birthday
President George W. Bush was born on July 6, 1946, in New Haven, Connecticut
Perhaps one day we will understand the unreplaceable role played by the president Bush. He has been one of the best leader that modernity has benefited from, the right person at the right time. If we only think about the attack to the Western world performed by islamic terror, only one thought springs to our mind: we couldn't do without him.

Il compleanno del presidente Bush (6 luglio 1946)
Forse un giorno si capirà che il presidente George W. Bush è stato! tra i migliori leader che il mondo moderno abbia avuto e solo allora si comprenderà l’insostituibile compito che quest’uomo è stato chiamato a svolgere; quasi come il leader di cui non si poteva fare a meno dopo l’attacco sferratto all’Occidente dal terrore islamico.

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Giangiacomo

venerdì 4 luglio 2008

4 Luglio - Indipendence Day

4 Luglio 2008
Festa nazionale dell’indipendenza USA
1776 - Il Congresso Continentale sancisce la Dichiaratione di Indipendenza

July 4
US Independence Day
1776 - The US Continental Congress adopts the Declaration of Independence without dissent

Più che una rivoluzione, quella americana fu una «restaurazione» che oggi potremmo senz’altro definire antigiacobina. A differenza di quella francese

Rivoluzione americana
"Lungi dall'essere il prodotto di una rivoluzione democratica e di una opposizione alle istituzioni britanniche, la Costituzione degli Stati Uniti fu il risultato di una grandiosa reazione contro la democrazia e a favore delle tradizioni della madrepatria" (Lord John Emerich Edward Dalberg Acton).

American revolution
"Far from being the product of a democratic revolution and of an opposition to English institutions, the constitution of the United States was the result of a powerful reaction against democracy, and in favor of the traditions of the mother country" (Lord John Emerich Edward Dalberg Acton).

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Giangiacomo

martedì 1 luglio 2008

«Fanghiglia Cristiana» (cristiana?) contro il buon senso

Sostegno alle iniziative del ministro Maroni in materia di sicurezza!

Chiesa sinistrata
"Credevamo che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta invece una giornata di nuvole e di tempeste, e di buio, e di incertezze" (Paolo VI, 29 giugno 1972).

Church disfigurement
"We thought that after the Council a day of sunshine would have dawned for the history of the Church. What dawned, instead, was a day of clouds and storms, of darkness, of searching and uncertainties." (Pope Paul VI, 29 June 1972).

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