Visualizzazione post con etichetta religione; società. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta religione; società. Mostra tutti i post

domenica 20 marzo 2011

La lotta al crocefisso, un «Alzheimer storico»

di Massimo Introvigne

La notizia che arriva da Strasburgo, dove la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso in sede di ricorso e con sentenza definitiva che l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane non viola la libertà religiosa dei non cristiani e degli atei, fa del 18 marzo 2011 una bella giornata per la libertà religiosa. È la prima volta che una sentenza di primo grado resa all’unanimità (sette giudici a zero) è rovesciata dalla Grande Camera della Corte Europea in sede di ricorso, il che mostra come la Corte abbia compreso il rischio insito nella precedente decisione del 3 novembre 2009, che rovesciava la precedente giurisprudenza dello stesso tribunale europeo con argomenti ideologici e fumosi. Si deve essere grati all’attuale governo italiano – pubblicamente ringraziato dal Papa in diverse occasioni, tra cui quella dell’importante discorso del 10 gennaio 2011 al Corpo diplomatico – per avere perseguito con ostinazione il ricorso, e ai governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Russia, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, Romania e Repubblica di San Marino per avere voluto aggiungere i loro nomi a quello dell’Italia nella procedura di ricorso. Per converso, brillano naturalmente per la loro assenza tutti gli altri Stati europei: non stupisce la Spagna di Zapatero, un po’ di più la Germania e la Francia, pure su altre questioni più sensibili ai diritti dei cristiani. La storia giudiziaria della causa include anche il fatto che alla decisione di primo grado abbia partecipato il giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky – noto campione del laicismo più ideologico – il cui mandato alla Corte Europea è terminato, felicemente per i sostenitori del crocefisso, nel gennaio 2010.

Lo studio delle motivazioni della sentenza, già disponibili in lingua inglese ovvero in lingua francese, è molto istruttivo. È vero che la sentenza della Grande Camera è stata raggiunta ad ampia maggioranza – quindici giudici contro due – ma all’interno della maggioranza si sono manifestate opinioni diverse. Vale la pena di leggere anche le motivazioni di chi ha votato contro: il giudice svizzero Giorgio Malinverni e quella bulgara Zdravka Kalaydjieva. Il loro testo, redatto da Malinverni, ribadisce l’argomento laicista secondo cui il crocefisso nelle scuole ha un effetto «incomparabile» sugli studenti e impone con una sorta di violenza la religione a giovani «spiriti che mancano ancora di capacità critica» grazie alla «forza coercitiva dello Stato». Questo laicismo estremo, per fortuna, è rimasto del tutto minoritario nella Grande Camera.

La maggioranza dei giudici ha assunto un atteggiamento di buon senso, ma che per altri versi si potrebbe definire minimalista. Dopo avere ricordato che nell’Europa allargata della Corte di Giustizia – che, va ricordato, non è collegata all’Unione Europea ed è emanazione di tutti i Paesi situati geograficamente in Europa e non solo di quelli UE – solo tre Stati vietano la presenza del crocefisso nelle scuole pubbliche – la Macedonia, la Georgia e la Francia (con l’eccezione dell’Alsazia e della Mosella, cui dopo la Prima guerra mondiale è rimasto uno statuto speciale) –, la Grande Camera non ha coltivato l’argomento «culturale» né, forse giustamente, ha seguito chi affermava che il crocefisso andava mantenuto nelle scuole perché è un simbolo culturale e nazionale piuttosto che religioso. La Grande Camera ha ritenuto il crocefisso un simbolo anzitutto religioso – pure ammettendo che in Italia possa avere assunto anche significati secondari di carattere culturale – ma lo ha definito un «simbolo passivo». Non essendo accompagnato nelle aule scolastiche italiane da un indottrinamento religioso obbligatorio – la Corte ha più volte ritenuto in passato che un insegnamento della religione non obbligatorio non viola la libertà delle minoranze – né da preghiere ugualmente obbligatorie in classe, il crocefisso non ha quegli effetti proselitistici rispetto ai non cattolici denunciati dalla ricorrente nella causa originaria, la signora Soile Lautsi, e dai due giudici della Grande Camera dissenzienti. La sentenza nota anche che il crocefisso è esposto in un contesto come quello italiano dove la libertà religiosa delle minoranze è garantita, e dove – l’esempio è esplicitamente sottolineato – nessuno vieta alle alunne musulmane di presentarsi a scuola con il velo (che copre solo il capo ed è, naturalmente, cosa diversa dal burqa). Nella sostanza si tratta secondo la Grande Camera di materia su cui spetta ai singoli Stati regolarsi come credono.

Probabilmente solo su un’argomentazione come questa – giuridicamente ineccepibile, ma culturalmente debole – si poteva ottenere l’ampia maggioranza che ha portato alla storica vittoria. Tre giudici hanno però voluto aggiungere alla sentenza le loro opinioni personali, favorevoli al dispositivo ma integrative nelle motivazioni. La giudice irlandese Ann Power e quello greco Christos Rozakis hanno introdotto l’elemento culturale del significato identitario del crocefisso nella storia dell’Italia e dell’Europa, sia pure con molta cautela. Esemplare è la motivazione del giudice maltese Giovanni Bonello, il quale definisce l’avversione al crocefisso “una forma di Alzheimer storico”, attacca l’“intolleranza degli agnostici e dei laicisti” e scrive senza infingimenti che “una Corte europea non può mandare alla rovina secoli di tradizione europea”. Bonello ha anche sottolineato come la stessa Corte che aveva vietato il crocefisso aveva non solo consentita, ma dichiarata obbligatoria contro un divieto che il governo turco aveva cercato d’imporre, la diffusione presso i giovani e nelle scuole del romanzo Le undicimila vergini di Guillaume Apollinaire (1880-1918), opera certo di un letterato noto ma che inneggia «al sadismo e alla pedofilia». «Sarebbe stato molto strano, secondo me – conclude Bonello – che la Corte avesse difeso e protetto questo ammasso abbastanza mediocre di oscenità nauseanti, che a lungo ha circolato clandestinamente, fondandosi su una sua vaga appartenenza al ‘patrimonio europeo’ e nello stesso tempo avesse negato il valore di patrimonio europeo a un emblema che milioni di Europei hanno riconosciuto lungo tanti secoli come un simbolo senza tempo di redenzione attraverso l’amore universale».

see u,
Giangiacomo

mercoledì 16 giugno 2010

Stato e mercato, tandem virtuoso

(L’articolo è stato pubblicato dal quotidiano “Avvenire” del 16 giugno 2010)

Dario Antiseri

«Come è possibile che un ignorante come Hitler possa governare la Germania?», chiedeva esterrefatto Karl Jaspers a Martin Heidegger nel corso del loro ultimo incontro nel giugno del 1933. E Heidegger rispose: «La cultura è del tutto indifferente […] Basta guardare le sue meravigliose mani!». Qualche mese dopo, il 3 novembre dello stesso anno, in occasione del referendum popolare per l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni, Heidegger – rettore dell’Università di Friburgo – concludeva il suo Appello agli studenti tedeschi con queste parole: «Non teoremi e 'idee' siano le regole del vostro essere. Il Führer stesso, e solo lui, è la realtà tedesca dell’oggi e del domani, e la sua legge». Tredici anni più tardi, il 23 luglio del 1945, nella Friburgo occupata, Heidegger è chiamato a rispondere per la prima volta davanti alla Commissione di epurazione istituita dall’Autorità militare francese. E in questa Commissione l’impegno maggiore nell’accusa contro Heidegger venne sostenuto da pensatori come Constantin von Dietze, Walter Eucken, Adolf Lampe e Franz Böhm – rappresentanti di quell’economia sociale di mercato, che è stata a fondamento della rinascita della Germania e di cui oggi, da più parti, sempre più si scorge la portata etica, la validità teorica e la praticabilità politica. E proprio sulla genesi, sui principi e sull’eredità dell’economia sociale di mercato verte la serie di saggi inclusi nel volume Il liberalismo delle regole, appena edito da Rubbettino e arricchito da due preziose introduzioni dei due curatori, Francesco Forte e Flavio Felice. Delineano l’opera dei fondatori e gli sviluppi della tradizione friburghese dagli anni Trenta ai nostri giorni le istruttive pagine di Nils Goldschmidt e Michael Wohlgemuth. E ben scelti sono gli scritti teorici di Walter Eucken, Adolf Lampe, Constantin von Dietze e Wilhelm Röpke, come anche il saggio di Alfred Müller-Armack sulla politica economica realizzata, in base ai principi dell’economia sociale di mercato, da Ludwig Erhard. Il volume, che si chiude con una lunga recensione di Luigi Einaudi sul libro Civitas humana di Röpke, si apre con l’importante Manifesto dell’ordoliberalismo (1936) dal titolo Il nostro compito – scritto in collaborazione da Böhm, Eucken e Grossmann-Dörth. L’idea centrale sostenuta dai friburghesi è che il sistema economico deve funzionare in conformità con una 'costituzione economica' posta in essere dallo Stato. Scrive Eucken: «Il problema dell’economia non si risolve da se stesso, semplicemente lasciando che il sistema economico si sviluppi spontaneamente […]. Il sistema economico deve essere pensato e deliberatamente costruito». Pensato e costruito nel senso di uno 'Stato forte' in grado di contrastare l’assalto contro il funzionamento del mercato da parte dei monopoli e dei cacciatori di rendite. Lo Stato, pertanto, viene ad assumere il compito di 'guardiano' dell’ordine concorrenziale che è un ordine costituzionale, «frutto di scelte tese a garantire al medesimo tempo il buon funzionamento del mercato e condizioni di vita decenti e umane». Dunque: uno 'Stato forte' che si situa all’opposto dello 'Stato totale'; un ordine economico costituzionale che è agli antipodi dell’ordine economico programmatico, cioè collettivistico.
La realtà è che statizzare l’uomo credendo di umanizzare lo Stato è un errore fatale. E se Viktor Vanberg – l’attuale direttore dell’Istituto Eucken – avvicina la tradizione di ricerca della Scuola di Friburgo al programma della Public Choice di James Buchanan, Flavio Felice fa notare come i tratti di fondo dell’economia sociale di mercato – soprattutto, ma non solo, con l’insistenza sul principio di sussidiarietà – rispondono alle istanze più classiche della Dottrina sociale della Chiesa. In effetti, «il liberalismo non è nella sua essenza un abbandono del Cristianesimo, bensì è il suo legittimo figlio spirituale». E ciò per la ragione che, «contrariamente alla concezione sociale dell’antichità pagana, il Cristianesimo pone al centro il singolo individuo […] Davanti allo Stato c’è ora la persona umana e sopra lo Stato il Dio universale, il suo amore e la sua giustizia».
Questo scrive Röpke, che, conseguentemente, si trova d’accordo con Guglielmo Ferrero allorché costui afferma che «l’azione rivoluzionaria del Cristianesimo fu di frantumare l’'esprit pharaonique de l’État'». Röpke, annota Francesco Forte, «aveva ricavato il principio di sussidiarietà dalla dottrina cattolica»; e aggiunge che questo principio, «che sfocia nell’intervento conforme al mercato», lega in modo strettissimo la teoria di Röpke a quella di Eucken, il quale nei suoi Grundsätze der irtschaftspolitik (Principi di politica economica) fa pure lui esplicito riferimento alla Rerum novarum di Leone XIII e alla Quadragesimo anno di Pio XI.

see u,
Giangiacomo

domenica 6 settembre 2009

La Chiesa sull'immigrazione

La recente polemica sulle politiche in materia di immigrazione
Quando da esponenti della Chiesa vengono parole poco sensate ...

Qual è il vero pericolo della società “multiculturale” a cui l’Europa sembra condannata.

Attualità: Islam e immigrazione
L'immigrazione massiccia verso i Paesi europei, specie verso l'Italia, fa parte di un disegno di costruire una grande comunità islamica anche in Occidente e fare progressivamente dell'Europa una terra islamica. Non bisognerà attendere molto: la sottomissione degli occidentali alla sacralità coranica è già avviata grazie ad un errata concezione di tolleranza.


Actuality: Islam and immigration

The massive immigration to European Countries, especially to Italy, is a part of a plan to build a great Islamic community in Occident too and make of Europe an Islamic land.We don't need to wait too long: the Occidental submission to the sacrality of Koran is already started thanks to a wrong conception of tolerance.


see u,
Giangiacomo

domenica 13 luglio 2008

Appello per la difesa del diritto alla vita di Eluana Englaro

Insieme agli amici dell'Associazione Due minuti per la vita, Vi invito a firmare e a far firmare l'appello in difesa del diritto alla vita di Eluana Englaro presente al link www.firmiamo.it/eluanaenglaro.

Il nostro intervenire come Associazione anche sul tema dell'eutanasia non é fuori luogo ed é anzi espressamente previsto dallo Statuto, laddove all'art. 2, co. 2 si precisa che l'Associazione Due minuti per la vita puó, «promuovere ed aderire a qualsivoglia iniziativa finalizzata alla diffusione e affermazione della "cultura della vita", in particolare della sacralità ed inviolabilità della vita umana in ogni sua fase dal concepimento al termine naturale».

see u,

Giangiacomo

sabato 22 dicembre 2007

Giustizia e Legge: pena di morte

"L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte".
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 1992, n. 2267)

Justice and Law: death penalty
"Assuming that the guilty party's identity and responsibility have been fully determined, the traditional teaching of the Church does not exclude recourse to the death penalty".
(Catechism of the Catholic Church, 1992, n. 2267)

see u,
Giangiacomo

sabato 10 novembre 2007

Il Papa non è buonista. L’accoglienza non prescinde dalla sicurezza

La polemica fra Pier Ferdinando Casini e alcune frange del mondo cattolico accusate di “buonismo” per il loro atteggiamento nei confronti degli immigrati ha indotto molti a leggere con attenzione le poche ma importanti parole dedicate da Benedetto XVI alla questione dell’immigrazione nell’Angelus di domenica scorsa. “Auspico – ha detto il Papa – che le relazioni tra popolazioni migranti e popolazioni locali avvengano nello spirito di quell’alta civiltà morale che è frutto dei valori spirituali e culturali di ogni popolo e Paese. Chi è preposto alla sicurezza e all’accoglienza sappia far uso dei mezzi atti a garantire i diritti e i doveri che sono alla base di ogni vera convivenza e incontro tra i popoli”.
Parole, come si vede, molto chiare. Anzitutto, è impossibile impostare con serietà la questione dell’immigrazione se si rimane nell’angusto orizzonte del relativismo, secondo cui ogni popolo ha i “suoi” valori e non esistono valori universali e assoluti. Così, per esempio, il matrimonio monogamico sarebbe un valore attestato e vissuto da secoli in Occidente ma non si potrebbe, senza essere razzisti o imperialisti, imporlo a popoli che da secoli praticano la poligamia. E anche l’atteggiamento dei nomadi Rom sul rapporto con il territorio e la proprietà privata (altrui) avrebbe lo stesso intrinseco valore dei principi di legalità maturati dalla nostra cultura. Non è così. Tutto il magistero di Benedetto XVI insegna che un’autentica “civiltà morale” si costruisce intorno a un tessuto di valori che non sono propri di questo o di quel popolo, ma di “ogni popolo”. Principi come non uccidere, non rubare, non spacciare droga, rispettare il lavoro e la famiglia non sono europei o asiatici, italiani o balcanici, cristiani o buddhisti o atei: sono principi universali, che s’impongono a ogni persona umana in quanto persona. La Chiesa stessa non li indica come valori che deduce dal Vangelo: come Benedetto XVI ha ricordato tante volte, i valori universali possono essere riconosciuti dalla ragione a prescindere da ogni esperienza di fede, e dunque vincolano anche chi ha una religione diversa da quella storicamente maggioritaria in Italia o non ne ha nessuna, senza che questo vincolo costituisca un’oppressione delle minoranze o un’ingerenza della Chiesa nella vita sociale.
Dai valori universali che la ragione è capace di riconoscere discendono “diritti e doveri”. La “vera convivenza” non si può costruire sulla sola rivendicazione dei diritti. Occorre anche che le persone di cultura, lingua, abitudini e provenienza diversa che la globalizzazione porta a convivere sullo stesso territorio si riconoscano pure negli stessi doveri. Diversamente, la convivenza è sostituita dalla violenza e dallo scontro di tutti contro tutti.
Certamente sia nel patrimonio spirituale della Chiesa cattolica sia nell’ethos nazionale italiano è forte il senso dell’accoglienza del più povero e del più debole. Ma lo Stato non può orientare la sua politica dell’immigrazione al solo principio di accoglienza, e infatti Benedetto XVI menziona insieme “sicurezza e accoglienza”. Buonista è chi parla solo di accoglienza dimenticando la sicurezza, solo di diritti dimenticando i doveri, solo di minoranze dimenticando che esistono anche i diritti delle maggioranze, primo fra tutti quello a una vita sicura e a uno Stato che ci sappia proteggere dalla violenza quotidiana. Né sono sufficienti le belle parole. Il Papa ricorda che spetta a “chi è preposto”, cioè allo Stato, “fare uso dei mezzi adatti” perché anche la sicurezza, e non solo l’accoglienza, sia garantita. Mezzi adatti significa politica dell’immigrazione seria e non velleitaria e pasticciona come è purtroppo quella del governo Prodi, ma anche tribunali che funzionino e giudici che condannino. Il buonismo – anche di certi cattolici dalla lacrimuccia facile – è forse buono con il prepotente e il violento, ma è certamente cattivo con chi della prepotenza e della violenza è quotidianamente vittima.


see u,
Giangiacomo

sabato 3 novembre 2007

Senza la libertà di religione non c'è democrazia

Come ha ricordato la coraggiosa manifestazione “Salviamo i cristiani” dello scorso 4 luglio, promossa da Magdi Allam e da numerosi intellettuali e uomini politici, il rapimento di padre Bossi ripropone in modo drammatico il tema dell’intolleranza religiosa, in particolare verso i cristiani. Lo dice il documento di presentazione della manifestazione firmato, tra gli altri, oltre che da Magdi Allam, da Claudio Morpurgo vicepresidente Unione Comunità Ebraiche Italiane: “Come accaduto agli ebrei dei paesi arabi, oggi sono i cristiani ad essere minacciati nel loro diritto di esistere, nella loro volontà di rimanere fedeli alla propria tradizione”.
La difesa della libertà religiosa, in particolare dei cristiani che più di ogni altro difendono l’inviolabilità della persona, non è solo una questione umanitaria, bensì un criterio cruciale per interpretare tutta la politica internazionale. Alcuni recenti esempi riguardanti il Medio Oriente e il mondo musulmano lo dimostrano. Chi ha appoggiato gruppi fondamentalisti perché funzionali al suo disegno politico, infischiandosene della loro intolleranza in materia religiosa, nel lungo periodo, si è trovato di fronte ad amare sorprese. Basti pensare all’appoggio degli americani ai talebani afghani e a Bin Laden: l’intolleranza religiosa era il prodromo di una violenza a 360 gradi. E si ricordi anche l’irrisione dell’amministrazione Bush agli appelli di Giovanni Paolo II contro l’inizio del conflitto in Iraq, Paese in cui esisteva una pur non completa libertà religiosa e della Chiesa. Dopo pochi anni nel Paese mediorientale, non solo la comunità cristiana è a rischio di estinzione, ma vige una guerra civile di tutti contro tutti. Pretendere di esportare la democrazia occidentale senza far di tutto per garantire la libertà religiosa, si è rivelato totalmente astratto e ideologico. Si pensi ancora a cosa ha voluto dire, per la pace di tutti, consentire la distruzione e l’invasione di stati, come il Libano, in cui esisteva una convivenza pacifica, addirittura sancita dalla costituzione, tra cristiani e musulmani.
Ancora più deprecabile sul piano morale e più foriera di esiti disastrosi è però la posizione di chi, in nome di un multiculturalismo nichilista, continua ad abbracciare imam terroristi, a sostenere e finanziare gruppi integralisti come Hamas, Hezbollah o i governi sudanese ed iraniano, a equiparare gruppi terroristi a gruppi che vogliono la liberazione, senza tener conto della reale apertura di queste entità verso chi vive una diversa fede religiosa. Chi prende queste posizioni, di fatto diventa acquiescente verso il terrorismo e sostiene gruppi e regimi che calpestano la dignità di qualunque uomo. Perché chi si batte per la libertà religiosa e il diritto all’esistenza della Chiesa, come faceva Giovanni Paolo II, come continua a fare Benedetto XVI e come fanno i laici delle diverse religioni e posizioni culturali e politiche che hanno promosso la manifestazione del 4 luglio, non si impegna per difendere solo i “suoi”. Piuttosto è consapevole che “proprio dalla libertà di professare un’appartenenza religiosa, derivino la pace e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo, primo fra tutti quello della sacralità della vita umana”.


see u,
Giangiacomo

lunedì 17 settembre 2007

Italia, un Paese in crisi morale

Il Paese sta attraversando una grave crisi morale in cui sono diffusi comportamenti criminali che non trovano soluzione ed è «illusorio sperare in un improvviso quanto miracolistico rinsavimento», c'è invece bisogno di «una ricentratura profonda dei singoli soggetti e degli organismi sociali, sul senso e sulla ragione dello stare insieme come comunitá di destini e di intenti», in questo quadro è importante anche il ruolo della religione.
È questo l'allarme lanciato oggi pomeriggio da mons. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nella prolusione con la quale ha aperto i lavori del Consiglio episcopale permanente. Bagnasco ha sottolineato come vi siano «comportamenti criminali che non riescono a trovare una soluzione», fra questi ha indicato «il dramma recente e crescente degli incendi boschivi, provocati dall'uomo che in quest'ultima estate hanno messo in ginocchio intere zone del Paese». E proprio alla luce di fatti come questi, ha spiegato l'arcivescovo di Genova, «sembra che diventi sempre più friabile il vincolo sociale e si prosciughi quel tipo di solidarietà su cui una comunità strutturata deve fare affidamento se vuol essere un Paese non spaesato». Tuttavia, ha detto Bangasco, nonostante i fenomeni più deleteri enfatizzati dall'opinione pubblica, «la componente sana della società è ampiamente maggioritaria nel silenzio dignitoso e in spirito di sacrificio con ancoraggio nella fede cristiana».
CASA E LAVORO LE URGENZE - Di fronte al «problema particolarmente acuto» della casa, «la collettività ai vari livelli deve darsi uno slancio, e approntare quelle soluzioni di edilizia popolare che per vaste zone e in una serie di città appaiono veramente urgenti». È il forte appello di Bagnasco che «anche agli istituti bancari e di credito» fa presente questa emergenza perchè, «tenendo conto delle condizioni internazionali e secondo le loro possibilità e competenze, vogliano maggiormente contribuire con senso di equità ad una concreata soluzione del problema». Nella sua prolusione, l'arcivescovo di Genova ha voluto soffermarsi in particolare sul «dramma di coloro, pensionati o famiglie con un solo reddito, che sono raggiunti da provvedimenti di sfratto e non trovano altre opportunità». Ma, ha aggiunto, «pensiamo anche ai giovani fidanzati che vorrebbero sposarsi e nei loro progetti sono annichiliti per il problema dell'abitazione che non si trova oppure è inavvicinabile per le loro risorse. Ci sono inoltre situazioni di promiscuità, dove famiglie diverse sono costrette a vivere in uno stesso appartamento, magari fatiscente, e per ciò stesso non in grado di garantire un vicendevole rispetto».

I Vescovi italiani sono vicini al Papa messo sotto accusa da «cattedre discutibilissime». Lo ha voluto ribadire Mons Bagnasco a nome di tutti presuli, «pronta e incondizionata collaborazione sempre, e in modo particolare quando emergono nell'opinione pubblica voci critiche e discordanti». «Nel corso degli ultimi mesi - ha ricordato l'arcivescovo di Genova - sono venuti dalla Sede Apostolica interventi importanti sotto il profilo ecclesiologico e pastorale, e che bene esprimono la sollecitudine di Benedetto XVI. È un'azione che trova nei Vescovi italiani una ricezione speciale». Quanto alle critiche, Bagnasco ha sottolineato che «a ben guardare, sono episodi che in nessuna stagione hanno risparmiato i romani Pontefici». «È singolare peraltro - ha scandito - quella ricorrente pretesa, mossa da 'cattedre' discutibilissime, di misurare la fedeltà altrui, Papa compreso, facendola coincidere ovviamente con i propri stilemi e le proprie evoluzioni». «La premura del Papa per l'Italia - ha infine annunciato mons. Bagnasco - apparirà ancora una volta domenica prossima, nella visita che ha in programma alla diocesi suburbicaria di Velletri, e fra un mese nel viaggio apostolico che lo porterà a Napoli, dove andrà a rinforzare il desiderio di rinascita che quella gente esprime in una tribolata realtà sociale ed economica».

see u,
Giangiacomo

lunedì 3 settembre 2007

La Chiesa esigente che piace ai giovani

Il messaggio del Papa ai quattrocentomila giovani italiani di Loreto è che la Chiesa cattolica rimane una Chiesa esigente. Non viene a compromessi con i «modelli di vita» dominanti, non fa sconti, non ha paura di proclamare «ciò che può sembrare perdente o fuori moda» ma che invece è «il risultato della vittoria dell'amore sull'egoismo». Anche sui temi più delicati - la sobrietà, l'umiltà, la castità - il Papa ricorda che «la pienezza di umanità» è nel Vangelo, e ne mostra i frutti attraverso il fiorire di buone opere di cui giustamente va orgogliosa la Chiesa in Italia.
Il Papa non cita le piccole miserie della politica italiana, ma l'evento stesso di Loreto è la più bella risposta agli attacchi. Dopo il Ferragosto delle accuse di pedofilia - che in alcuni casi si sono già sgonfiate in pochi giorni - il rientro dalle vacanze ha portato tre nuovi attacchi alla Chiesa. Qualche suggeritore italiano ha convinto l'Unione Europea - già normalmente maldisposta verso la Chiesa - a chiedere al nostro governo se le esenzioni dall'Ici di cui godono gli immobili ecclesiastici non permettano alla Chiesa una concorrenza sleale nei confronti dei proprietari di altri immobili. Bruxelles si è convinta facilmente che le mense Caritas per i barboni fanno concorrenza al ristorante dell'angolo, e le case per il soggiorno estivo degli handicappati alla vicina Pensione Miramonti.
Due quotidiani nazionali hanno sbattuto un altro prete in prima pagina, uno stimato parroco di Torino che ha rifiutato l'assoluzione a una signora che dichiarava di convivere e di voler continuare a farlo. Anche qualche «cattolico adulto» si è scagliato contro il parroco, quasi che tra i nuovi diritti ci sia ormai anche il diritto all'assoluzione. Sabato - in coincidenza con l'apertura dell'Agorà dei giovani di Loreto - buona parte del centrosinistra si è felicitata con le comunità valdesi e metodiste che, chiudendo il loro sinodo, hanno annunciato l'avvio di un percorso che dovrebbe portarle a riconoscere e benedire le unioni omosessuali. Troppo facile la contrapposizione fra le «buone» comunità protestanti tanto moderne e comprensive e la «cattiva» Chiesa di Benedetto XVI.
Ma - con tutto il rispetto per le buone opere delle istituzioni caritative valdesi - è più vicina alle attese dei giovani la Chiesa di Benedetto XVI delle comunità protestanti che tollerano l'aborto, l'eutanasia e le unioni gay. Lo dicono le cifre note ai sociologi. All'interno stesso del mondo protestante - negli Stati Uniti come in Europa e in Italia - le comunità conservatrici che sui temi morali sono più vicine alla Chiesa cattolica che ai valdesi crescono in modo spettacolare, mentre chi si adatta alla cultura dominante perde membri e rischia perfino di sparire. La triste parabola del declino del protestantesimo nel Nord Europa e il successo dei protestanti conservatori negli Stati Uniti ne sono la conferma. Le udienze di Benedetto XVI sono più affollate di quelle, già da record, di Giovanni Paolo II. I giovani, certo, non seguono sempre l'insegnamento della Chiesa. Ma non saprebbero che farsene di una Chiesa che gli dicesse che tutto quello che fanno va bene. Sono più attratti da una Chiesa esigente, capace quando è necessario di dire loro di no e di ammonirli, come ha fatto il Papa a Loreto, a non seguire chi privilegia «l'apparire e l'avere a scapito dell'essere». Sarà forse per questo che i sondaggi confermano che in Italia la Chiesa è considerata dai giovani più autorevole della scuola, dei media e del governo.


see u,
Giangiacomo

mercoledì 22 agosto 2007

Lettera al parroco che predica contro Valentino Rossi

Caro don Claudio,
mi dispiace che i suoi fedeli di Castelfranco Veneto l’abbiano contestata durante l’omelia in cui si è scagliato contro l’evasore fiscale Valentino Rossi. Non ho il piacere di conoscerla personalmente, ma conosco abbastanza parroci - e preti veneti - per apprezzare il bene che fate e che non può essere sminuito da una predica sfortunata. Personalmente non l’avrei contestata, perché penso che il suo sfogo parta da un sentimento condivisibile: troppi giovani di oggi considerano modelli di comportamento campioni dello sport, cantanti e veline che di rado meritano il loro entusiasmo.
Ma sarà d’accordo anche lei sul fatto che i giovani sono fortunatamente più complicati degli schemi in cui cerchiamo di rinchiuderli. Molti si sono entusiasmati per Giovanni Paolo II e affollano le udienze di Benedetto XVI: e magari sono gli stessi che tifano Valentino Rossi. Mi permetto di dirle che non sono d’accordo sulla sostanza della sua omelia. Anzitutto, ho apprezzato il richiamo di Benedetto XVI nell’esortazione apostolica «Sacramentum caritatis» a mantenere uno stretto collegamento fra l’omelia e la Sacra Scrittura proclamata nella Messa. Il Papa invita a dedicare anzitutto le omelie a insegnare ai fedeli «la professione della fede, la celebrazione del mistero cristiano, la vita in Cristo, la preghiera cristiana». Può darsi che la qualità della sua comunità sia tale che non ci sia più bisogno delle omelie «catechetiche». Ma recenti indagini sociologiche sullo stato della conoscenza religiosa in Veneto indicherebbero piuttosto il contrario.
In secondo luogo, il suo accostamento alla questione delle tasse e dell’evasione fiscale mi sembra pedagogicamente sbagliato. Se la sua omelia si fosse rivolta a una congregazione di campioni dello sport e di veline avrebbe avuto ragione a richiamarli ai doveri di solidarietà sociale. Ma immagino che i suoi fedeli della Messa fossero - come è tipico della sua zona - lavoratori in maggioranza autonomi, popolo della fede ma anche delle partite Iva, fra cui la probabilità statistica mi induce a credere che si contino artigiani e piccoli imprenditori messi in seria difficoltà dagli studi di settore e dai balzelli di Prodi e Visco.
Come, prima del caso Rossi, diversi vescovi hanno rilevato quando Prodi ha invitato a predicare contro l’evasione fiscale, la dottrina sociale della Chiesa parla sì del dovere dei cittadini di pagare le tasse ma anche del dovere dei governanti di imporre tasse giuste, in mancanza delle quali non si tratta più di solidarietà, ma di persecuzione fiscale. Trascuro il fatto che il caso Rossi è più complesso di quanto sembra - l’Inghilterra attacca l’Italia sul punto, sostenendo che Unione Europea significa anche libera concorrenza fra sistemi fiscali e diritto dei contribuenti a stabilirsi dove il fisco è più ragionevole - e concludo, stimato don Claudio, suggerendole, qualora volesse ancora occuparsi di fisco nelle sue omelie, di predicare sempre contro i mali gemelli dell’evasione e della pressione fiscale eccessiva e insostenibile imposta a Prodi dalla sua cultura e dai ricatti dell’ultra-sinistra che si vanta ancora di chiamarsi comunista. Predichi contro i rossi, e i suoi fedeli le perdoneranno anche qualche attacco a Valentino Rossi.

di Massimo Introvigne (il Giornale, 17 agosto 2007)


see u,
Giangiacomo

venerdì 15 giugno 2007

SALVIAMO I CRISTIANI - Appello di Magdi Allam

Per aderire all'appello di Magdi Allam basta scrivere a salviamoicristiani@gmail.com
Aderite e diffondete!!!

"La grande persecuzione dei cristiani nel mondo arabo"
Salviamo i cristiani del Medio Oriente. Stiamo assistendo in modo pavidamente e irresponsabilmente inaccettabile alla persecuzione e all'esodo massiccio di centinaia di migliaia di cristiani che sono i veri autoctoni della regione.
Alla vigilia della conquista araba e islamica nel settimo secolo, i cristiani costituivano il 95% della popolazione della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo. Oggi, con 12 milioni di fedeli, sono precipitati a meno del 6% e si prevede che nel 2020 si dimezzeranno ancora.
Dalla prima guerra mondiale circa 10 milioni di cristiani sono stati costretti a emigrare. Una fuga simile alla cacciata degli ebrei sefarditi che, da un milione prima della nascita dello Stato di Israele, si sono assottigliati a 5 mila. Si tratta della prova più eloquente della tragedia umana e dell'imbarbarimento civile in cui è precipitato il mondo arabo musulmano, in preda al fanatismo ideologico degli estremisti islamici e all'intolleranza religiosa delle dittature al potere.
Il caso più grave è quello che colpisce i cristiani in Iraq. Da circa un milione e mezzo prima dell'inizio della guerra scatenata da Bush il 20 marzo 2003, si sono ridotti a circa 25 mila. Un «accorato appello» per la «preoccupante situazione in Iraq» e per le «critiche condizioni in cui si trovano le comunità cristiane», era stato lanciato dal papa Benedetto XVI nel corso del suo incontro con Bush sabato scorso. Proprio ieri, in una dichiarazione raccolta da Avvenire, il vescovo ausiliare di Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, ha alzato il tiro denunciando che anche «i cristiani non stanno facendo nulla mentre qui si muore si viene rapiti costretti a convertirsi all'islam o a pagare per ottenere protezione, a cedere le proprie figlie a dei delinquenti per evitare ritorsioni o a fuggire lasciando tutto il lavoro di una vita. Dagli Usa e dall'Europa solo silenzio». Dal canto suo il nunzio apostolico in Iraq e Giordania fino al 2006, monsignor Fernando Filoni da poco nominato sostituto Segretario di Stato del Vaticano, in un'intervista a Tracce si era detto pessimista: «Fin quando durano la guerriglia e gli attentati c'è poco da fare. Solo la pace potrà riportare la speranza». Lo scorso maggio sul sito
http://iraqichristians.ne/petitionir.php era stato lanciato un vibrante appello alla comunità internazionale per porre fine alla «più feroce campagna di assassni, sequestri, esproprio di beni e case, cacciata e dispersione, liquidazione dei diritti religiosi e civili da parte di gruppi estremisti religiosi per il semplice fatto che non siamo musulmani».
Insieme all'Iraq l'altra grande tragedia dei cristiani orientali è nei territori palestinesi. All'inizio dello scorso secolo i cristiani rappresentavano un quarto della popolazione araba; nel 1948 erano il 20%; con l'avvento al potere dell'Autorità nazionale palestinese di Yasser Arafat nel 1994 si registra la fuga di tre quarti dei cristiani, vittime di persecuzioni e del drastico calo del tenore di vita. Ed è così che i cristiani, perfino nelle città sante cristiane, sono diventati minoranza. A Betlemme erano 185% della popolazione nel 1948, oggi sono solo il 12%. A Gerusalemme dal 53% della popolazione nel 1922, sono precipitati al 2%.Quanto al Sudan si tratta di un vero e proprio genocidio, con una sanguinosa guerra civile - scatenava dai regimi islamici di Khartum - che ha provocato l'eccidio di circa un milione e mezzo di cristiani e animisti, colpevoli di non sottomettersi alla sharia, la legge coranica. Così come fu genocidio il massacro, di 1,5 milioni di cristiani armeni in Turchia, dove oggi non rimangono che circa 100 mila cristiani. Il Libano, che dal 1840 ha registrato quattro guerre intestine a sfondo confessionale, ha visto il numero dei cristiani crollare dal 55% della popolazione dall'indipendenza nel 1932, a circa il 27% odierni. Con il risultato che rispetto al milione e mezzo di cristiani residenti in Libano, ci sono circa 6 milioni di cristiani profughi dispersi nel mondo. La situazione è molto pesante anche in Egitto, dove i copti - che rappresentavano il 15-20 % della popolazione all'inizio dello scorso secolo, oggi sono soltanto circa il 6%. La repressione e le violenze contro i copti sono esplose nel decennio di Sadat quando, alleandosi con i Fratelli Musulmani, lasciò loro mano libera nel promuovere un nefasto processo di islamizzazione forzata della società. In Siria le comunità cristiane che rappresentavano circa un quarto della popolazione all'inizio dello scorso secolo, oggi sono calate a circa il 7%.
Più in generale, in quasi tutti i paesi musulmani, dall'Algeria al Pakistan, dall'Indonesia alla Nigeria, dall'Arabia Saudita alla Somalia, i cristiani sono vittime di vessazioni e discriminazioni. E si tratta di una catastrofe per tutti: certamente per le vittime cristiane, ma anche per i musulmani che si ritrovano a essere sottomessi all'arbitrio di spietati carnefici e di tiranni che si fanno beffe della libertà religiosa. Ebbene non possiamo più continuare ad assistere inermi a queste barbarie. Ecco perché propongo di indire una manifestazione nazionale a difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente e altrove nel mondo, da svolgersi a Roma e che potrebbe coincidere con il 30 giugno, la festa liturgica dei protomartiri romani. Una grande manifestazione per la vita, la dignità è la libertà dei cristiani e per
il riscatto dell'insieme della nostra civiltà umana.
Magdi Allam
Corriere della Sera, 13 Giugno 2007
see u,
Giangiacomo

martedì 22 maggio 2007

Molto rumore per nulla: il Papa, la pedofilia e il documentario "Sex, crimes and the Vatican"

Solo la rabbia laicista dopo il Family Day spiega perché, subito dopo la grande manifestazione romana, all’improvviso il documentario dell’ottobre 2006 della BBC “Sex Crimes and the Vatican” abbia cominciato a circolare su Internet con sottotitoli italiani, e i vari Santoro abbiano cominciato ad agitarsi. Il documentario, infatti, è merce avariata: quando uscì fu subito fatto a pezzi dagli specialisti di diritto canonico, in quanto confonde diritto della Chiesa e diritto dello Stato. La Chiesa ha anche un suo diritto penale, che si occupa tra l’altro delle infrazioni commesse da sacerdoti e delle relative sanzioni, dalla sospensione a divinis alla scomunica. Queste pene non c’entrano con lo Stato, anche se potrà capitare che un sacerdote colpevole di un delitto che cade anche sotto le leggi civili sia giudicato due volte: dalla Chiesa, che lo ridurrà allo stato laicale, e dallo Stato, che lo metterà in prigione.
Il 30 aprile 2001 Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) pubblica la
lettera apostolica Sacramentorum sanctitatis tutela, con una serie di norme su quali processi penali canonici siano riservati alla giurisdizione della Congregazione per la dottrina della fede e quali ad altri tribunali vaticani o diocesani. La lettera De delictis gravioribus, firmata dal cardinale Joseph Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il 18 maggio 2001 – quella presentata dalla BBC come un documento segreto, mentre fu subito pubblicata sul bollettino ufficiale della Santa Sede e figura sul sito Internet del Vaticano – costituisce il regolamento di esecuzione delle norme fissate da Giovanni Paolo II. Il documentario al riguardo afferma tre volte il falso:
(a) presenta come segreto un documento del tutto pubblico e palese:
(b) dal momento che il “cattivo” del documentario dev’essere l’attuale Pontefice, Benedetto XVI (per i laicisti il Papa “buono” è sempre quello morto), non spiega che la De delictis gravioribus firmata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il 18 maggio 2001 ha l’unico scopo di dare esecuzione pratica alle norme promulgate con la lettera apostolica Sacramentorum sanctitatis tutela, del precedente 30 aprile, che è di Giovanni Paolo II;
(c) lascia intendere al telespettatore sprovveduto che quando la Chiesa afferma che i processi relativi a certi delicta graviora (“crimini più gravi”), tra cui alcuni di natura sessuale, sono riservati alla giurisdizione della Congregazione per la Dottrina della Fede, intende con questo dare istruzione ai vescovi di sottrarli alla giurisdizione dello Stato e tenerli nascosti. Al contrario, è del tutto evidente che questi documenti si occupano del problema, una volta instaurato un giudizio ecclesiastico, a norma del diritto canonico, a chi spetti la competenza fra Congregazione per la Dottrina della Fede, che in questi casi agisce “in qualità di tribunale apostolico” (così la Sacramentorum sanctitatis tutela), e altri tribunali ecclesiastici. Questi documenti, invece, non si occupano affatto – né potrebbero, vista la loro natura, farlo – delle denunzie e dei provvedimenti dei tribunali civili degli Stati. A chiunque conosca, anche minimamente, il funzionamento della Chiesa cattolica è evidente che quando i due documenti scrivono che “questi delitti sono riservati alla competenza esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede” la parola “esclusiva” significa “che esclude la competenza di altri tribunali ecclesiastici” e non – come vuole far credere il documentario – “che esclude la competenza dei tribunali degli Stati, a cui terremo nascoste queste vicende anche qualora si tratti di delitti previsti e puniti delle leggi dello Stato”. Non è in questione questo o quell’episodio concreto di conflitti fra Chiesa e Stati. Le due lettere dichiarano fin dall’inizio la loro portata e il loro ambito, che è quello di regolare questioni di competenza all’interno dell’ordinamento giuridico canonico. L’ordinamento giuridico degli Stati, semplicemente, non c’entra.
Nella nota 3 della lettera della Congregazione per la dottrina della fede – ma per la verità anche nel testo della precedente lettera di Giovanni Paolo II – si cita l’istruzione
Crimen sollicitationis emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede, che allora si chiamava Sant’Uffizio, il 16 marzo 1962, durante il pontificato del Beato Giovanni XXIII (1881-1963) ben prima che alla Congregazione arrivasse lo stesso Ratzinger (che quindi, com’è ovvio, con l’istruzione non c’entra nulla: all’epoca faceva il professore di teologia in Germania). Questa istruzione dimenticata, “scoperta” nel 2001 solo in grazia dei nuovi documenti, non si occupa affatto di pedofilia ma del vecchio problema dei sacerdoti che abusano del sacramento della confessione per intessere relazioni sessuali con le loro penitenti. L’istruzione del 1962 non nasconde questi abusi, anzi al contrario impone a chiunque ne venga a conoscenza di denunciarli sotto pena di scomunica. Dispone che i relativi processi si svolgano a porte chiuse, a tutela della riservatezza delle vittime, dei testimoni e anche degli imputati, tanto più se eventualmente innocenti. Non si tratta evidentemente dell’unico caso di processi a porte chiuse, né nell’ordinamento ecclesiastico né in quelli statuali. Quanto al carattere “segreto” del documento, menzionato nel testo, si tratta di un “segreto” giustificato dalla delicatezza della materia ma molto relativo, dal momento che fu trasmesso ai vescovi di tutto il mondo. Comunque sia, anche l’istruzione Crimen sollicitationis non riguarda in alcun modo la questione se eventuali attività illecite messe in atto da sacerdoti tramite l’abuso del sacramento della confessione debbano essere segnalate da chi ne venga a conoscenza alle autorità civili. Riguarda solo le questioni di procedura per il perseguimento di questi delitti all’interno dell’ordinamento canonico, e al fine di irrogare sanzioni canoniche ai sacerdoti colpevoli.
La lettera del 2001, al contrario di quanto fa credere il documentario, crea semmai una disciplina più severa per il caso di abuso di minori, rendendolo perseguibile oltre i normali termini di prescrizione, fino a quando chi dichiara di avere subito abusi quando era minorenne abbia compiuto i ventotto anni. Questo significa – per fare un esempio molto concreto – che se un bambino di quattro anni è vittima di abusi nel 2007, la prescrizione non scatterà fino al 2031, il che mostra bene la volontà della Chiesa di perseguire questi delitti anche molti anni dopo che si sono verificati e ben al di là dei termini di prescrizione consueti. Con questa nuova disciplina la durezza della Chiesa verso i sacerdoti accusati di pedofilia è molto cresciuta con Benedetto XVI, come dimostrano casi dove, nel dubbio, Roma ha preferito prendere provvedimenti cautelativi anche dove non c’erano prove di presunti abusi che si asserivano avvenuti molti anni fa, e la stessa nomina del cardinale americano William Joseph Levada, noto per la sua severità nei confronti dei preti pedofili, a prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.
Tutte queste norme riguardano, ancora una volta, il diritto canonico, cioè le sospensioni e le scomuniche per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali. Non c’entrano nulla con il diritto civile, o con il principio generale secondo cui – fatto salvo il solo segreto della confessione – chi nella Chiesa venga a conoscenza di un reato giustamente punito dalle leggi dello Stato ha il dovere di denunciarlo alle autorità competenti. Certo, in passato questo non è sempre avvenuto. Il legittimo desiderio di proteggere sacerdoti innocenti ingiustamente calunniati (ce ne sono stati, e ce ne sono, molti) qualche volta è stato confuso con un “buonismo” che ha ostacolato indagini legittime degli Stati. Benedetto XVI ha più volte stigmatizzato ogni forma di buonismo sul tema (si veda per esempio il
discorso ai vescovi dell’Irlanda in visita ad Limina Apostolorum, del 28 ottobre 2006): e in realtà il trasferimento della competenza dalle diocesi, dove i giudici spesso possono avere rapporti di amicizia con gli accusati, a Roma mirava fin dall’inizio a garantire maggiore rigore e severità. In ogni caso, le misure prese nell’ambito del diritto canonico per perseguire i crimini di natura sessuale commessi dal clero, e la denuncia dei responsabili alle autorità dello Stato, costituiscono due vicende del tutto diverse. La confusione, intrattenuta ad arte per gettare fango sul Papa, è solo frutto del pregiudizio e dell’ignoranza.

see u,
Giangiacomo

giovedì 17 maggio 2007

Famiglia: DAI!

Il Family Day svoltosi il 12 maggio in piazza San Giovanni in Laterano ha rappresentato un fatto di importanza straordinaria per la società italiana tutta intera. Le implicazioni politiche costituiranno il succo dei dibattiti che faranno da corona all’abbandono, si spera definitivo, della legge sui Dico che la maggioranza degli italiani non vuole. Occorre tuttavia che non sfugga anche la storica portata culturale della manifestazione romana. “La famiglia – ha detto Giancarlo Cesana, responsabile di Comunione e Liberazione, intervistato sul palco del Family Day – è un atto di fecondità, in quanto diventare adulti significa diventare capaci di dare la vita. I giovani hanno bisogno della famiglia perché in essa imparano il senso del dono della vita. La famiglia viene prima di ogni altra realtà, in quanto l’uomo è fatto per la compagnia e non per la solitudine”. A sua volta Savino Pezzotta, portavoce del Family Day, ha affermato nel suo intervento finale: “Sostenere che la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio e non solo sul rapporto affettivo o d’interessi tra un uomo e una donna o tra persone omosessuali, non è una questione confessionale”. Pezzotta ha auspicato “normative organiche per la famiglia che affrontino il tema della protezione del diritto alla vita d’ogni essere umano: dal concepimento alla morte naturale; che assumano la famiglia come soggetto sociale da sostenere con politiche specifiche attraverso criteri che la promuovano fin dal suo sorgere e che accompagnino il processo di generatività dal concepimento alla nascita e alla crescita dei bambini, degli adolescenti, dei giovani, del lavoro dei coniugi. Si tratta in definitiva – ha concluso – di riformare in profondità il nostro welfare e ricentrarlo sulle esigenze della famiglia. Questa è la sfida che ci poniamo per il bene del Paese e della società italiana”. Accogliamo questa sfida anzitutto con alcune brevi riflessioni. La famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna è luogo originario di umanità e di socialità: questo è il centro della questione, da qui bisogna ripartire per capire e andare avanti. Contrariamente a quanto si dice e si scrive da parte dei cultori di una presunta laicità che si rivela menzognera e ultimamente poco favorevole alla causa dell’uomo integrale, la famiglia fondata sul matrimonio non rappresenta un interesse privato (tanto meno quello che per Marx, ricordiamolo, era una atto di prostituzione legalizzata), bensì il luogo di costruzione e di proposta della unità come scopo della vita. La famiglia fondata sul matrimonio è anzitutto il segno di un unità riconosciuta, a cui ci si apre perché da solo l’uomo non è capace di darsela. Poi la famiglia è ambito di trasmissione ai figli di una prima ipotesi di vita (orientamento ideale) sulla quale si costruisce l’unità antropologica dell’io. Quindi la famiglia è la prima cellula della comunità, nella quale si assumono delle responsabilità pubbliche che sono ordinate ad uno scopo. Ne rileviamo due: il lavoro e l’educazione. Il luogo comune che tanto piace a chi accusa gli italiani di familismo (“tengo famiglia”: sinonimo di acquiescenza allo Stato assistenziale) è nei fatti travolto dalle nuove prospettive del lavoro nel contesto di una economia di mercato globale. In questa situazione la famiglia, se sostenuta da adeguate politiche, può garantire la tutela della persona dalla disumanizzazione del lavoro (“tengo se ho famiglia”, si potrebbe controbattere). A proposito dell’educazione, bisogna ribadire che la famiglia è il primo ambiente nel quale ai figli vengono proposte posizioni ideali ed esistenziali che poi nel corso della vita verranno inverate o criticate. La famiglia per questo ha un posto basilare in campo educativo, quindi un ruolo sostanziale nella scuola. Dal Family Day deriva un chiaro messaggio a che la scuola italiana si sviluppi nella direzione della sussidiarietà: si dia alle famiglie la possibilità di essere partecipi degli orientamenti di fondo che la scuola autonoma decide di avere; si dia però anche alle famiglie la possibilità di scegliere la scuola che ritengono più opportuna per i loro figli.

see u,
Giangiacomo

lunedì 14 maggio 2007

12 Maggio: la grande festa della Famiglia

da una mia amica...

"abbiamo più volte ringraziato Marco Pannella & C. perchè con il referendum sulla legge 40 ha contribuito a farci capire cosa stava succedendo nel mondo. Da oggi in poi saremo anche molti grati a Rosi Bindi & Barbara Pollastrini, perchè senza i DICO non avremmo mai avuto la splendida giornata di Sabato 12 Maggio a Piazza San Giovanni.
Eravamo più di un milione, scrivono i giornali. Il colpo d'occhio era strepitoso: la piazza era gremita, e pure le vie intorno.
E' stata una giornata veramente indimenticabile, per tutti noi: nata dalla polemica sui DICO, la manifestazione si è trasformata nella più grande festa per la famiglia (rimanendo chiara la contrarietà a quella proposta di legge). In piazza c'era veramente aria di festa: abbiamo cantato, ascoltato, applaudito, chiacchierato insieme ai figli ed agli amici. C'eravamo. Vecchia e stantìa la contrapposizione con Piazza Navona, non certo voluta da noi: è stata organizzata dopo la nostra, proprio per cercare di non lasciarci tutta la scena mediatica, ma si è rivelata un boomerang per gli organizzatori. Poca la gente - penoso il tentativo delle tv e dei fotografi di fare solo riprese a campo stretto, per non far vedere i vuoti - e soprattutto nessuna novità, continui riferimenti a "l'altra piazza", "la piazza clericale" (la nostra), come l'ha definita Boselli, e poi slogan fritti e rifritti, prevedibili e inutili, invettive contro la Chiesa su cui non vale la pena neanche perdere tempo a polemizzare. Una sola osservazione: dalle foto sul sito di Repubblica si vede qualche bambino. Pochi - due o tre quelli mostrati - ma i fotografi li hanno ripresi, per far vedere che ce n'erano anche in quella piazza. Sono stati costretti, in un certo senso, visto che la cosa più bella di San Giovanni era la quantità impressionante di bambini, di tutte le età. Poche le tonache, a San Giovanni, e non lo dico per contrapporre le "gerarchie" - fa ridere la sola idea di gerarchia, se si pensa ai nostri parroci - al "popolo": la prima grande manifestazione dei cattolici italiani, dei laici, nel senso di non consacrati. Una novità assoluta, e se Emma Bonino ancora ripete ossessivamente che a San Giovanni c'era gente mobilitata da ventiseimila parrocchie, pazienza, si rassegni: si sono mobilitate essenzialmente - e giustamente - le associazioni e i movimenti che hanno voluto la manifestazione e firmato il manifesto "Più famiglia" - che hanno anche pagato le spese di pullman e treni - mentre le parrocchie, in generale, hanno permesso di dare l'avviso della giornata, ma sono stati pochissimi i parroci che hanno promosso personalmente la trasferta a Roma (e ancora di meno quelli che sono venuti).
Un popolo nuovo, a San Giovanni, di cattolici ma anche di tanti laici, un popolo con cui bisogna cominciare a fare i conti. Il referendum sulla legge 40 qualcosa aveva fatto vedere, ma "nun ce vonno sta'", hanno girato la testa dall'altra parte, hanno scritto che il popolo bue non era andato a votare perchè non aveva capito niente, perchè si erano messe di mezzo le famigerate gerarchie vaticane, e perchè l'astensione era stata un imbroglio. E adesso, che non si è astenuto nessuno, ma si è scesi in piazza in centinaia di migliaia con carrozzini e carrozzelle, che si fa? Popolo bue? Nessuno ha capito niente? Una grande allucinazione collettiva, per cui tutti contemporaneamente siamo andati a San Giovanni? O una cammellata generale con le gerarchie vaticane a spingere dietro? La verità è che in questi anni è cresciuto fra i cattolici un popolo nuovo, soprattutto dall'esperienza dei movimenti, e questo a San Giovanni si è visto. Non se ne erano accorti i media, ossessionati a ripetere che le chiese sono vuote. E questa piazza, invece, si è riempita perchè tante chiese, all'insaputa dei più, in questi anni si sono di nuovo riempite. E questi cattolici (cioè noi) hanno incontrato tanti laici, proprio quando le nuove sfide della tecnoscienza hanno cominciato a farsi sentire. Laici che rimangono non credenti, e che comunque ascoltano e stimano Papa Benedetto XVI, che sono diventati nostri compagni di strada, e anche amici".

see u,
Giangiacomo

mercoledì 25 aprile 2007

“Una tragedia senza senso”

Volantino degli Universitari di Comunione e Liberazione sulla strage nel campus USA della scorsa settimana

Quello che è successo nel campus di Virginia Tech, a Blacksburg negli USA, non può non colpire anche noi. Non sappiamo se Cho Seung Hui fosse psicopatico. Sappiamo che era arrabbiato, deluso della vita.

Ma come può un ragazzo di ventitre anni – come noi pieno di aspettative – percepire la realtà in modo così negativo, da prendere una pistola e uccidere trentadue suoi compagni?

È innegabile che tra noi studenti esista un disagio, una insoddisfazione: tentiamo di perseguire i nostri desideri più veri (di un senso del vivere, di un amore gratuito, di amicizia, di giustizia…), ma ciò che vogliamo è sempre sproporzionato rispetto a quello che possiamo fare o immaginare.

Di fronte a questo, spesso si sceglie di lasciar perdere e ci si inizia a rassegnare a qualcosa che è meno di quello che desideriamo realmente: il successo, il campus migliore, una certa immagine di sé, quello cioè che la società di oggi ci indica come il massimo.

Quando si scopre l’inadeguatezza di questi falsi ideali, si è delusi e svuotati. Sparare a chi ti sta intorno, ai tuoi compagni, è come affermare che questo disagio è l’ultima parola sulla nostra vita, un ostacolo impossibile da superare.

Anche noi, pur sperimentando tutti i giorni lo stesso dramma, non vogliamo rinunciare alla sete di soddisfazione che ci costituisce, non vogliamo mettere a tacere il grido del nostro cuore.

Abbiamo incontrato qualcuno che condivide questo dramma con noi e che offre una ipotesi di risposta alla domanda che ci urge; una risposta capace di abbracciare l’esistenza intera, senza lasciar fuori niente. Ci sono persone in università che studiano, ridono, piangono, amano come noi, ma certe di un senso, di una Presenza che unisce la vita. Sono segno di una speranza per tutti, inizio di una risposta anche alla “tragedia senza senso” – come l’ha definita Benedetto XVI – di Blacksburg.

Comunione e Liberazione Universitari
Milano, 19.04.07


see u,
Giangiacomo

domenica 1 aprile 2007

A Torino Buttiglione e Napoli parlano di famiglia

suggerisco un'interessante incontro...

ALL'OFFICINA SI PARLA DI FAMIGLIA - LUNEDI' 2 APRILE A SANT'ANTONINO

La Costituzione italiana, art. 29, I comma, afferma che: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”
La dottrina della Chiesa, fedele agli insegnamenti evangelici, considera la famiglia come una comunità di amore e di solidarietà in grado di trasmettere valori essenziali per lo sviluppo dei suoi membri e della società.
Alcune proposte di legge attualmente in discussione rendono importante un approfondimento ed una discussione su questo tema.


“La Famiglia: amore terreno, espressione dell’amore di Dio; è ancora orientata al bene comune?”
Lunedì 2 aprile alle ore 21.00
salone parrocchiale in Piazza Libertà – Sant’Antonino di Susa

Parteciperanno alla serata:
Prof. Sen. Rocco Buttiglione
On. Osvaldo Napoli

Officina.Valsusa
Il portavoce Roberto Giuglard

Un gruppo di ragazzi sta facendo un forum su questa tematica via internet al sito www.stranicristiani.ilcannocchiale.it . Da qui scaturiranno le domande che verranno poste nella serata. Se ti interessa puoi parteciparvi anche tu.

see u,
Giangiacomo

sabato 31 marzo 2007

Questa è la sconfitta dei cattolici «adulti»

La nota della Conferenza Episcopale sui DICO
Commento di Massimo Introvigne: "Questa è la sconfitta dei cattolici 'adulti'"
di Massimo Introvigne (il Giornale, 29 marzo 2007)

Tutte panzane. Molti giornali ci avevano raccontato che nella Conferenza Episcopale Italiana era in atto uno scontro fra amici di Prodi e di Berlusconi, che come in un telefilm di serie B in Vaticano c'erano il poliziotto cattivo, impersonato dal Papa, e il poliziotto buono, interpretato dal cardinale Bertone che avrebbe consigliato ai vescovi italiani mano leggera sui Dico. Sciocchezze, spazzate via dal testo ufficiale della nota dei vescovi italiani sui Dico, dove non c’è traccia né di sconti né di scappatoie.

Il documento giudica la legge Bindi-Pollastrini sui Dico «inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo». Né bastano le proclamate buone intenzioni: «Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume». Come è ovvio, è giudicato «un problema ancor più grave» quello «rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile». Ma il «più» davanti a «grave» significa che restano gravi anche i Dico eterosessuali. Eventuali problemi concreti e casi pietosi possono essere risolti «nell'ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare».


La battaglia decisiva che i «cattolici adulti» hanno combattuto sui media amici cercando qualche sponda fra i vescovi - soprattutto in pensione, però - e permettendo a qualche giornale di riferire i fatti della Chiesa in due colonne, dove all'insegnamento del Papa si contrapponeva il «magistero parallelo» del cardinale Martini, di qualche professore di teologia e giù giù fino a Rosy Bindi, non riguardava però il giudizio della Conferenza Episcopale sui Dico. Dopo una raffica di interventi chiarissimi del Papa, nessuno poteva immaginare che i vescovi si pronunciassero diversamente. La vera questione era quella del margine di manovra delle varie Bindi, pronte ad appellarsi alla libertà di coscienza e all’autonomia della politica, che è il cuore del progetto dei «cattolici adulti».

Su questo punto, dove avevano voluto portare la battaglia, i «cattolici adulti» incassano la più sonora delle sconfitte. Certamente, spiega la nota, i cattolici impegnati in politica devono decidere secondo coscienza, ma questa dev'essere «rettamente formata». Diversamente, l'appello alla coscienza potrebbe giustificare qualunque cosa. «Il fedele cristiano - spiega la nota - è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l'insegnamento del Magistero, e pertanto non può appellarsi al principio del pluralismo e dell'autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società». Per chi non avesse capito, o non volesse capire, questo significa che «il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge». Se non lo fa, è un «cristiano incoerente»: e dovrebbero trarne conseguenze precise sia il suo parroco sia gli elettori cattolici.


"Cattolici adulti" o "cattolici adulteri"?
se ci pensate bene...

see u,
Giangiacomo

sabato 10 marzo 2007

Cosa succede negli ospedali italiani?

Da Assuntina Morresi...

dobbiamo chiarire bene la questione del bimbo sopravvissuto all'aborto all'ospedale di Careggi, a Firenze, e spiegare perchè ci sono gli estremi per un'azione penale.

1. Leggiamo sui giornali che il piccolo è stato assistito solo dopo venti minuti dalla nascita. E' omissione di soccorso? Spieghiamo.
Come avviene un aborto dopo i primi 90 giorni? Come un parto indotto. Vengono provocate le contrazioni, c'è il travaglio e la donna partorisce. Il feto, immaturo, non sopravvive al parto, e nasce morto, oppure muore subito dopo la nascita. Sì, perchè se viene espulso vivo, non si può più parlare di aborto, ma di nascita. Di grande prematuro.
Cosa succede quando nasce un grande prematuro? Succede che il medico non può perdere tempo a cercare il battito o a vedere se respira. Quando i grandi prematuri nascono sono ovviamente piccolissimi, i loro polmoni sono chiusi, il battito cardiaco può essere molto lento e difficile da trovare. Si potrebbero perdere minuti preziosi: intanto che cerchi il battito, il cervello non si ossigena e si danneggiano irreparabilmente centinaia di migliaia di neuroni. Allora il neonatologo dovrebbe rianimare di prassi, in questi casi. Se la rianimazione non dà effetti, allora non c'è niente da fare, e si lascia che muoia, o si verifica che sia già morto.
Nel caso del Careggi, invece il piccolo non solo non è stato rianimato, ma non ha avuto assistenza per venti, lunghissimi e decisivi minuti dopo la nascita: se lo avessero assistito, visto che si è dimostrato tanto forte da sopravvivere per altri sei giorni, sarebbe sopravvissuto?"Siamo stati chiamati dall'ostetrica 20 minuti dopo la nascita del bambino e solo allora siamo intervenuti. Il piccolo fino a quel momento è rimasto senza assistenza. Forse se non avessimo tardato sarebbe potuto sopravvivere". Lo dichiara Firmino Rubaltelli, che dirige il reparto di terapia intensiva neonatale del Careggi, lo ha detto al Corriere e al Foglio. "Fino a quando il piccolo è rimasto fra noi, prima del trasporto al Meyer dovuto alla mancanza di posto nel nostro reparto, ha ricevuto cure normali, non straordinarie. Solo farmaci per aprire i polmoni e facilitare la respirazione. Non so per quale motivo hanno aspettato prima di chiamarci". (dal Corriere di ieri).
Si dice che non si vuole che nascano bambini handicappati. Cioè noi abbiamo deciso che gli handicappati è meglio che non ci siano, che non vivano. Allora decidiamo di non rianimare più chiunque abbia un ictus, un'ischemia o un infarto. Ma anche i sopravvissuti ad incidenti stradali, per esempio. Lasciamo crepare tutti quelli che stanno in coma (chissà come staranno quando si risveglieranno), e via dicendo.
Noi vogliamo sapere cosa succede nei reparti di neonatologia degli ospedali italiani. E vogliamo sapere come viene applicata la 194. Perchè da tempo si dice che i sopravvissuti agli aborti tardivi (non chiamiamoli terapeutici, per favore) vengono lasciati morire senza assistenza. Sono voci, racconti, che nessuno si è preso la briga di andare a verificare. Ma che sono trapelati anche dagli articoli di questi giorni, per esempio dall'iniziativa del San Camillo a Roma, in cui la ginecologa Scassellati ha dichiarato che nel suo reparto chi fa un aborto tardivo firma un "consenso informato" per non far rianimare il piccolo, qualora sopravvivesse. Sia chiaro: qua non c'entra l'autodeterminazione della donna o la 194. Questa è storia da codice penale.
In questo modo, con un "consenso informato" di questo tipo, si scarica tutto il peso sulla donna, senza darle il tempo di essere informata come potrebbe. E infatti leggiamo ieri sul Corriere che l'iniziativa della Scassellati non era stata approvata da nessun comitato etico dell'ospedale, e che "E' un infanticidio. Staccare la spina a un neonato malformato che sopravvive a un aborto terapeutico non è altro: un infanticidio.", lo dichiara Claudio Donadio, direttore del dipartimento materno-infantile del San Camillo. Leggiamo sul Corriere che la direzione dell'ospedale definisce l'iniziativa della Scassellati "di particolare gravità" e annuncia l'apertura di un'inchiesta interna.

2. Bisogna verificare se c'è stata una violazione della 194. Vediamo perchè.
Per la legge nei primi 90 giorni di gravidanza non è reato abortire se lo si fa per motivi di salute della donna, motivi economici, sociali, etc. Dopo i primi 90 giorni lo si può fare in caso di pericolo per la vita della madre, oppure se il feto ha malformazioni tali da mettere in pericolo la salute fisica o psichica della madre (non si fa se il feto è malformato, ma se la malformazione del feto mette in pericolo la salute della madre. Può sembrare un giro di parole, ma non lo è. La legge non è eugenetica). Ma se il feto ha possibilità di vita autonoma, allora la donna può abortire solo se c'è pericolo per la sua vita, e non per la sua salute. Ad esempio: se la donna ha un'ipertensione che le fa rischiare la vita (pericolo di vita) , allora può abortire, ma se scopre che il figlio è handicappato e va in depressione (pericolo per la salute) non può abortire. Non solo: in questi casi si ha il dovere di rianimare il feto, se sopravvive. Nel caso del bambino del Careggi c'era possibilità di vita autonoma (22 settimane di gravidanza, la possibilità c'è, lo si sa a priori) e secondo la 194 si poteva procedere con l'aborto solo se fosse stata in pericolo di vita la madre.
Quando il feto ha possibilità di vita autonoma? Questo la legge non lo dice. Perchè non c'è un termine che si possa stabilire per legge, anche se è ovvio che a tredici settimane non sopravvive, mentre a 30 si. Di fatto, adesso il 40% dei nati a 23 settimane sopravvive. E sopravvivono anche a 22, chiaramente in percentuale minore.
Possibilità di vita autonoma significa che la gravidanza è a un punto tale che il feto può nascere vivo. La 194, in pratica, dice che a una donna che rischia la vita si può indurre il parto a qualsiasi settimana di gestazione, per salvarla, e si deve far di tutto per salvare anche il bambino.
Vogliamo che siano rispettate le leggi dello stato (la 194 in particolare e il codice penale in genere), e vogliamo sapere cosa succede negli ospedali italiani.

see u,
Giangiacomo

domenica 4 marzo 2007

Manifesto per il coraggio di vivere

Segnalo un importante documento che merita appoggio.
E' il Manifesto per il coraggio di vivere e di far vivere, promosso da dieci personalità del mondo
accademico e scientifico, tra le quali Adriano Pessina, direttore del Centro di bioetica dell'Univ. Cattolica,
dall'oncologo Mario Melazzini, presid. dell'Ass. sulla sclerosi laterale amiotrofica, dai presidenti di Scienza e Vita
Maria Luisa di Pietro e Bruno Dallapiccola.
L'iniziativa è partita il 18 gennaio; al manifesto hanno già aderito più di 6000 persone - incluso il sottoscritto.
Si può trovare presso
www.scienzaevita.org o www.unicatt.it/centriricerca/bioetica_mi/manifesto/
Chi lo desidera, può sottoscriverlo online, e farlo conoscere ad altri.

see u,
Giangiacomo

giovedì 1 marzo 2007

Alla statale di Milano, la guerra delle staminali

alla Statale di Milano è successo un fatto interessante.Il 31 gennaio scorso si è svolto un congresso scientifico, su "Le cellule staminali embrionali umane", promosso da Unistem, il centro di ricerca interdipartimentale sulle cellule staminali dell'Università degli studi di Milano. Il programma della giornata: http://users.unimi.it/unistem/assets/UniStem-2_Giornata%20di%20Studio%20sulle%20Staminali.pdf

Alcuni ragazzi hanno partecipato ai lavori, e ne sono usciti sconcertati. Dopo qualche giorno hanno scritto una lettera aperta ad Elena Cattaneo, docente universitaria organizzatrice del convegno e fra i principali ricercatori in Italia proprio nel settore delle cellule staminali embrionali. Da pochi mesi è anche Vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetica. Nella lettera gli studenti esprimevano tutte le loro perplessità sul modo in cui la ricerca sugli embrioni era stata presentata, e formulavano alcune domande alla prof. Cattaneo. Per esempio : "È possibile fare ricerca, senza porsi la domanda principale: che cosa ho di fronte? Nella fattispecie: che cosa è l'embrione? È vita umana?".
Il testo completo lo potete trovare qua:http://www.clonline.org/articoli/ita/lettAperta_Cattaneo.pdf

I ragazzi hanno poi volantinato la lettera in università, ed è scoppiato un putiferio. Il Corriere della Sera se n'è uscito con "Staminali, in statale scontro fra CL e prof". Il fatto viene raccontato come uno scontro all'arma bianca fra studenti ciellini ed Elena Cattaneo: d'altra parte il Corriere è impareggiabile nel ridurre ogni discussione e ogni confronto come una lotta all'ultimo sangue fra progressisti e oscurantisti.Spicca il commento di un'immunologa, Maria Luisa Villa: "Più del 50% delle uova fecondate viene eliminata con il sangue mestruale. Mi è capitato di considerare la possibilità che buttando la biancheria sporca stessi gettando nella spazzatura anche uno zigote: dunque un bambino, dunque un uomo? Il disagio avrebbe dovuto bloccarmi la mano, ma non è accaduto. Mi fido molto delle emozioni profonde di cui l'evoluzione ha dotato la nostra specie. Se sono mute di fronte all'eliminazione di uno zigote con la spazzatura, allora la natura mi suggerisce che lo zigote non sia ancora un uomo".
Elena Cattaneo, invece, commenta: "Lo scritto degli studenti è così sommario, inaccurato e veicolato con metodi così impropri che non necessita commenti.[...]. Potevano chiedere, esprimersi, e magari studiare un po' di più la posizione delle persone che hanno parlato e i loro testi".Non siamo propriamente interessati alla biancheria della sig.ra Villa, e tanto meno alle sue emozioni profonde. La Prof. Cattaneo, dal canto suo, non risponde alle domande degli studenti, che evidentemente non ha apprezzato. Non pensa sia necessario commentare alcunchè.
www.clonline.org/articoli/ita/asCdS270207.pdf

Intervengono i docenti, e anche il Rettore Decleva: "L'Università deve garantire la massima espressione a tutti: gli atenei sono per loro natura e vocazione luoghi di confronto, nel rispetto reciproco":
www.clonline.org/articoli/ita/vdAvv280207.pdf

In effetti, se i problemi della ricerca scientifica non sono dibattuti in università, liberamente, fra studenti e docenti, dove altro si potrà farlo? Solo nei convegni per specialisti e fra specialisti? Anche sul Foglio si racconta la bagarre, mettendo in evidenza l'espressione "volantinaggio abusivo": ma quando mai per volantinare in università gli studenti hanno dovuto chiedere il permesso? Ma l'Università non è sempre stato il luogo per eccellenza della libertà?www.clonline.org/articoli/ita/ntIlFog280207.pdf

Intanto Elena Cattaneo ed altri colleghi mandano una lettera a tutti, in cui viene ribadito che il convegno in questione era pubblico, aperto a tutti, e con spazi per il confronto reciproco, e si invitano i firmatari della lettera ad usufruire di questi spazi, per eventuali occasioni successive:
www.stranau.it/news/news_0703/da_Unistem1.pdf
E mentre l'Unità spara: "E cielle va alla crociata delle staminali": www.clonline.org/articoli/ita/Unita010307.pdf su Avvenire un editoriale in prima pagina "8 studenti spalancano la porta all'accademia" commenta il fatto: "Evidentemente non dovevano farlo: quelle domande era inopportuno porle, comunque certo non in quel modo pubblico, non sta bene mettere in piazza i propri dubbi: potevano prendere la parola al convegno - gli hanno suggerito -, dire lì cosa pensavano, nel chiuso dell'aula: poi tutti a casa, e nessuna enfasi a questioni che riguardano chiunque fa ricerca o ambisce un giorno a lavorare per la scienza [...] Invece quegli otto ragazzi - e gli altri duecento che sino a ieri sera avevano sottoscritto la lettera, con non pochi professori - hanno scelto da spalancare la porta e di far entrare aria nell'accademia"
www.clonline.org/articoli/ita/foAvv010307.pdf

Le valanghe, si sa, nascono dai sassolini. E mentre l'ateneo milanese è in subbuglio, e il contagio si estende: ww.clonline.org/articoli/ita/vdAvv010307.pdf, il Corriere pubblica due interviste a confronto, ad Angelo Vescovi, ed Elena Cattaneo. Entrambe ricercatori sulle staminali. Il primo, su quelle adulte. La seconda, sulle embrionali. Il primo si dichiara ateo, la seconda cattolica. Il primo dice che le domande degli studenti sono legittime e ben poste. La seconda, riferendosi agli studenti, parla di un "tentativo di protagonismo malcelato. Mi ricordano i colleghi che sono prossime le elezioni studentesche...". www.clonline.org/articoli/ita/asCdS010307.pdf
Gli studenti firmatari della lettera aperta, a ragione, sono esterrefatti. Si chiedono ad esempio se esista ancora libertà di espressione in università, o se vige il regime di libertà vigilata. E siccome alla libertà ci tengono, alla propria e quindi a quella di tutti, lanciano l'idea di un incontro pubblico con scienziati di orientamenti diversi, dal titolo "Se questo è un uomo. Riflessioni sull'uso di embrioni umani a scopo di ricerca scientifica".
Il testo intero di un secondo volantino:www.clonline.org/articoli/ita/replicaLett_Cattaneo.htm

Seguiremo la cosa. Potrebbe essere l'occasione preziosa per tornare a discutere di certi argomenti, al di là i campagne elettorali o referendarie, proprio nella sede in cui la discussione dovrebbe essere più accesa, il confronto quotidiano, con i protagonisti principali di queste faccende, cioè chi sta nei laboratori di ricerca. Probabilmente ne vedremo delle belle.
Sicuramente domani sera vediamo Otto e Mezzo: DOMANI A 'OTTO E MEZZO' DIBATTITO SU SCIENZA E VITA CON MONS. SGRECCIA PRESIDENTE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA Roma, 1 mar. (Adnkronos) - Il discorso del Pontefice sugli attacchi al diritto alla vita e i nuovi allarmi di rischio eugenetico dopo la proposta inglese di manipolazione degli embrioni, portano ancora in primo piano il tema dei confini della scienza su vita e salute. Se ne parla domani a "Otto e Mezzo", in onda su La7 alle 20.30, con monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, Demetrio Neri, docente di bioetica, Eugenia Roccella, giornalista e scrittrice e Claudia Mancina, docente di Etica dei diritti.

see u,
Giangiacomo