mercoledì 16 giugno 2010

Stato e mercato, tandem virtuoso

(L’articolo è stato pubblicato dal quotidiano “Avvenire” del 16 giugno 2010)

Dario Antiseri

«Come è possibile che un ignorante come Hitler possa governare la Germania?», chiedeva esterrefatto Karl Jaspers a Martin Heidegger nel corso del loro ultimo incontro nel giugno del 1933. E Heidegger rispose: «La cultura è del tutto indifferente […] Basta guardare le sue meravigliose mani!». Qualche mese dopo, il 3 novembre dello stesso anno, in occasione del referendum popolare per l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni, Heidegger – rettore dell’Università di Friburgo – concludeva il suo Appello agli studenti tedeschi con queste parole: «Non teoremi e 'idee' siano le regole del vostro essere. Il Führer stesso, e solo lui, è la realtà tedesca dell’oggi e del domani, e la sua legge». Tredici anni più tardi, il 23 luglio del 1945, nella Friburgo occupata, Heidegger è chiamato a rispondere per la prima volta davanti alla Commissione di epurazione istituita dall’Autorità militare francese. E in questa Commissione l’impegno maggiore nell’accusa contro Heidegger venne sostenuto da pensatori come Constantin von Dietze, Walter Eucken, Adolf Lampe e Franz Böhm – rappresentanti di quell’economia sociale di mercato, che è stata a fondamento della rinascita della Germania e di cui oggi, da più parti, sempre più si scorge la portata etica, la validità teorica e la praticabilità politica. E proprio sulla genesi, sui principi e sull’eredità dell’economia sociale di mercato verte la serie di saggi inclusi nel volume Il liberalismo delle regole, appena edito da Rubbettino e arricchito da due preziose introduzioni dei due curatori, Francesco Forte e Flavio Felice. Delineano l’opera dei fondatori e gli sviluppi della tradizione friburghese dagli anni Trenta ai nostri giorni le istruttive pagine di Nils Goldschmidt e Michael Wohlgemuth. E ben scelti sono gli scritti teorici di Walter Eucken, Adolf Lampe, Constantin von Dietze e Wilhelm Röpke, come anche il saggio di Alfred Müller-Armack sulla politica economica realizzata, in base ai principi dell’economia sociale di mercato, da Ludwig Erhard. Il volume, che si chiude con una lunga recensione di Luigi Einaudi sul libro Civitas humana di Röpke, si apre con l’importante Manifesto dell’ordoliberalismo (1936) dal titolo Il nostro compito – scritto in collaborazione da Böhm, Eucken e Grossmann-Dörth. L’idea centrale sostenuta dai friburghesi è che il sistema economico deve funzionare in conformità con una 'costituzione economica' posta in essere dallo Stato. Scrive Eucken: «Il problema dell’economia non si risolve da se stesso, semplicemente lasciando che il sistema economico si sviluppi spontaneamente […]. Il sistema economico deve essere pensato e deliberatamente costruito». Pensato e costruito nel senso di uno 'Stato forte' in grado di contrastare l’assalto contro il funzionamento del mercato da parte dei monopoli e dei cacciatori di rendite. Lo Stato, pertanto, viene ad assumere il compito di 'guardiano' dell’ordine concorrenziale che è un ordine costituzionale, «frutto di scelte tese a garantire al medesimo tempo il buon funzionamento del mercato e condizioni di vita decenti e umane». Dunque: uno 'Stato forte' che si situa all’opposto dello 'Stato totale'; un ordine economico costituzionale che è agli antipodi dell’ordine economico programmatico, cioè collettivistico.
La realtà è che statizzare l’uomo credendo di umanizzare lo Stato è un errore fatale. E se Viktor Vanberg – l’attuale direttore dell’Istituto Eucken – avvicina la tradizione di ricerca della Scuola di Friburgo al programma della Public Choice di James Buchanan, Flavio Felice fa notare come i tratti di fondo dell’economia sociale di mercato – soprattutto, ma non solo, con l’insistenza sul principio di sussidiarietà – rispondono alle istanze più classiche della Dottrina sociale della Chiesa. In effetti, «il liberalismo non è nella sua essenza un abbandono del Cristianesimo, bensì è il suo legittimo figlio spirituale». E ciò per la ragione che, «contrariamente alla concezione sociale dell’antichità pagana, il Cristianesimo pone al centro il singolo individuo […] Davanti allo Stato c’è ora la persona umana e sopra lo Stato il Dio universale, il suo amore e la sua giustizia».
Questo scrive Röpke, che, conseguentemente, si trova d’accordo con Guglielmo Ferrero allorché costui afferma che «l’azione rivoluzionaria del Cristianesimo fu di frantumare l’'esprit pharaonique de l’État'». Röpke, annota Francesco Forte, «aveva ricavato il principio di sussidiarietà dalla dottrina cattolica»; e aggiunge che questo principio, «che sfocia nell’intervento conforme al mercato», lega in modo strettissimo la teoria di Röpke a quella di Eucken, il quale nei suoi Grundsätze der irtschaftspolitik (Principi di politica economica) fa pure lui esplicito riferimento alla Rerum novarum di Leone XIII e alla Quadragesimo anno di Pio XI.

see u,
Giangiacomo

1 commento:

Anonimo ha detto...

Perche non:)