domenica 17 aprile 2011

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Giangiacomo

domenica 10 aprile 2011

Tunisia: con chi stiamo trattando?

di Massimo Introvigne (La Bussola Quotidiana, 6 aprile 2011) Chi sono gli interlocutori dell’Italia nel difficile negoziato con la Tunisia sull’immigrazione? E chi saranno domani? Il governo guidato dall’ottantaquattrenne Béji Caïd Essebsi è definito di solito, in Tunisia, «neo-bourguibista». Che cosa significa? Occorre sempre ricordare che nei Paesi a maggioranza islamica il processo di decolonizzazione ha visto contrapporsi due classi dirigenti alternative: una laica e secolarizzatrice, e una espressione dell’islam politico. La prima ha vinto inizialmente quasi ovunque ed è stata sostenuta sia dagli Stati Uniti e dall’Europa Occidentale – che la considerava più affidabile rispetto agli attivisti islamici – sia dall’Unione Sovietica, perché nei partiti laici dei Paesi islamici non mancava mai una componente socialista e un’ammirazione per l’URSS. In Tunisia la prima classe dirigente si è incarnata al momento dell’indipendenza dalla Francia (1956) nell’avvocato e giornalista Habib Bourguiba (1903-2000), primo presidente della Repubblica tunisina, al potere per trent’anni dal 1957 al 1987. L’azione di Bourguiba si caratterizza per posizioni fortemente laiciste, che portano alla spaccatura del partito indipendentista Destour in due fazioni, una legata all’islam politico che mantiene il nome originario Destour e una laica e bourguibista che prende il nome di Néo-Destour. Per dare un’idea del laicismo di Bourguiba sarà sufficiente ricordare che la Tunisia ha introdotto nelle sue leggi l’aborto prima della stessa Francia. Il diritto di famiglia, la scuola, i tribunali sono de-islamizzati secondo il modello della Turchia di Kemal Atatürk (1881-1938). L’unica concessione all’islam politico rimane la clausola costituzionale secondo cui un non musulmano non può diventare presidente della Repubblica. Negli anni 1980 Bourguiba perde il sostegno degli Stati Uniti per le sue posizioni filo-palestinesi e di radicale ostilità a Israele: l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) giunge perfino a porre la sua sede a Tunisi. Nello stesso tempo si moltiplicano le azioni terroristiche e di guerriglia dell’islam radicale, represse con pugno di ferro dalle forze speciali della Sicurezza Nazionale guidate dal generale Zine El-Abidine Ben Ali. Anche la salute di Bourguiba va declinando, e il 7 novembre 1987 Ben Ali organizza quello che è passato alla storia come il «colpo di Stato medico». Induce i medici di Bourguiba a dichiararlo incapace di governare il Paese, e s’insedia al suo posto senza sparare un colpo. Oggi vi sono elementi sufficienti per concludere che l’intera operazione fu condotta d’intesa con i servizi segreti italiani, molto interessati alla stabilità della Tunisia, e con l’avvallo di quelli francesi. Il governo di Ben Ali sia migliora le relazioni con gli Stati Uniti sia accentua la deriva repressiva, specie nei confronti dell’islam politico, e il regime del Néo-Destour – ribattezzato Raggruppamento Costituzionale Democratico (RCD) – raggiunge vertici di corruzione e potere familiare del clan del presidente inusuali perfino per il Nord Africa. La repressione funziona finché le condizioni economiche del Paese sono, se non brillanti, decorose per il contesto locale. La crisi economica internazionale del 2009 segna l’inizio della fine per il regime di Ben Ali. Il 17 dicembre 2010 un giovane venditore ambulante di frutta e verdura, Mohamed Bouazizi (1984-2011), si dà fuoco nella città di Sidi Bouzid per protestare contro la polizia che gli ha confiscato la merce e contro la politica economica di Ben Ali. È la scintilla per la «rivoluzione dei gelsomini» che si conclude il 14 gennaio 2011 con la fuga di Ben Ali, che va in esilio in Arabia Saudita dopo ventiquattro anni di presidenza della Tunisia. Se è certo che Ben Ali ha perso, la domanda è la solita di tutte le rivoluzioni del Medio Oriente: chi ha vinto? Contro ogni ipotesi complottista, la rivolta tunisina è nata dalla crisi economica e non è stata pianificata a tavolino da forze esterne: certamente non dalla Francia o dagli Stati Uniti, che avevano semmai interesse alla permanenza di Ben Ali, per non parlare dell’Italia, che aveva svolto un ruolo nel portare il generale al potere e aveva trovato con lui un modus vivendi in materia di controllo dell’immigrazione. L’islam politico ha certamente visto di buon occhio la caduta del suo arcinemico Ben Ali. Ma – molto indebolito dalla repressione – non avrebbe certo avuto la forza di organizzare la rivoluzione. All’immediato indomani della rivoluzione, la Tunisia vede il tentativo dei quadri superiori dell’esercito e della burocrazia, fino all’ultimo fedeli a Ben Ali, di cambiare tutto perché tutto rimanga come prima. Esponente e simbolo di questo ambiente è il primo ministro Mohammed Ghannouchi, che si dimette precipitosamente dal partito RCD di Ben Ali e costituisce due successivi governi, non rinunciando neppure a far sparare sulla folla che denuncia subito il tradimento della rivoluzione. Il 27 febbraio 2011 deve dimettersi anche lui, aprendo una fase confusa in cui sono dichiarati legali una quarantina di partiti, ma – se si crede a sondaggi che, nell’attuale situazione tunisina, potrebbero anche essere clamorosamente smentiti – due sole forze politiche contano qualcosa. La prima è quella neo-bourguibista che fa capo all’anziano primo ministro Béji Caïd Essebsi, che ha sostituito Mohammed Ghannouchi. Legatissimo a Bourguiba, al momento della sua destituzione nel 1987 Essebsi è stato nominato ambasciatore in Germania, e in seguito ha mantenuto un basso profilo fino a riemergere nel 2011. La sua ascesa al potere – accompagnata dall’annuncio di misure contro i quadri dirigenti del RCD – segnala come nell’establishment laico tunisino, militare e civile, sia in corso una grande operazione di rivalutazione di Bourguiba. Tutti i mali contro cui è insorta la «rivoluzione dei gelsomini» sono imputati a Ben Ali, il quale avrebbe tradito Bourguiba. Una pagina Facebook dedicata a Bourguiba ha radunato 130.000 fan, superando quelle dei partiti politici tunisini, del martire e iniziatore della rivoluzione Mohamed Bouazizi, e perfino delle stelle del calcio, sport popolarissimo in Tunisia. Si tratta di un vero e proprio ritorno al passato, con Essebsi che si circonda di settantenni e ottantenni, ribattezzati dalla stampa tunisina «il clan del 6 novembre», cioè del giorno precedente al 7 novembre 1987 e al «colpo di Stato medico» contro Bourguiba. Dal punto di vista storico, l’opera di ricostruzione del mito di Bourguiba – che molti, nella giovane popolazione tunisina, non hanno mai conosciuto – comporta più di una falsificazione, perché molti mali dell’epoca di Ben Ali risalgono precisamente a Bourguiba. Ideologicamente, dovrebbe trattarsi di una riaffermazione riveduta e corretta del laicismo che ha sempre caratterizzato la Tunisia indipendente. Ma il neo-bourguibismo di Essebsi appare molto pragmatico e poco ideologico. Si tratta principalmente del tentativo di una classe dirigente intermedia di rimanere al potere evitando le purghe che colpiranno fatalmente i vertici troppo legati a Ben Ali. La principale forza di opposizione al neo-bourguibismo – a credere, con le riserve citate, ai sondaggi, molto indietro rispetto a Essebsi in vista delle elezioni che dovrebbero svolgersi il 24 luglio – è costituita dal partito islamico al-Nahda («La Rinascita»), guidato da Rachid Ghannouchi, tornato dopo la rivoluzione da vent’anni di esilio a Londra. Ghannouchi, il cui partito è la versione tunisina dei Fratelli Musulmani egiziani, mantiene con tutto l’islam politico una durissima posizione anti-israeliana, ma è contestato da esponenti più radicali del suo stesso partito per la sua dichiarata simpatia per forme di democrazia aperta alla religione sul modello statunitense e dell’attuale Turchia del primo ministro Erdogan. Nel partito al-Nahda sembra in corso uno scontro fra correnti e generazionale – nel quale non è sempre chiaro da che parte stia Ghannouchi – fra chi s’ispira al modello egiziano dei Fratelli Musulmani e chi privilegia il modello turco dell’AKP di Erdogan. L’esito di questo scontro è importante per il futuro della Tunisia. I neo-bourguibisti sembrano al momento vincenti, ma l’islam politico ha certamente delle potenzialità di crescita. L’incertezza non aiuta l’Italia, perché governi precari e provvisori non possono prendere né rispettare quegli impegni in materia d’immigrazione che sarebbero cruciali per il nostro Paese. E nello stesso tempo l’incertezza spinge molti a tentare l’avventura migratoria salendo sui barconi. È importante per il nostro Paese continuare a seguire con attenzione l’evoluzione della situazione tunisina, senza legarsi a una sola forza politica e trattando con chiunque offra qualche prospettiva di governare in modo minimamente responsabile. see u, Giangiacomo