sabato 3 novembre 2007

Senza la libertà di religione non c'è democrazia

Come ha ricordato la coraggiosa manifestazione “Salviamo i cristiani” dello scorso 4 luglio, promossa da Magdi Allam e da numerosi intellettuali e uomini politici, il rapimento di padre Bossi ripropone in modo drammatico il tema dell’intolleranza religiosa, in particolare verso i cristiani. Lo dice il documento di presentazione della manifestazione firmato, tra gli altri, oltre che da Magdi Allam, da Claudio Morpurgo vicepresidente Unione Comunità Ebraiche Italiane: “Come accaduto agli ebrei dei paesi arabi, oggi sono i cristiani ad essere minacciati nel loro diritto di esistere, nella loro volontà di rimanere fedeli alla propria tradizione”.
La difesa della libertà religiosa, in particolare dei cristiani che più di ogni altro difendono l’inviolabilità della persona, non è solo una questione umanitaria, bensì un criterio cruciale per interpretare tutta la politica internazionale. Alcuni recenti esempi riguardanti il Medio Oriente e il mondo musulmano lo dimostrano. Chi ha appoggiato gruppi fondamentalisti perché funzionali al suo disegno politico, infischiandosene della loro intolleranza in materia religiosa, nel lungo periodo, si è trovato di fronte ad amare sorprese. Basti pensare all’appoggio degli americani ai talebani afghani e a Bin Laden: l’intolleranza religiosa era il prodromo di una violenza a 360 gradi. E si ricordi anche l’irrisione dell’amministrazione Bush agli appelli di Giovanni Paolo II contro l’inizio del conflitto in Iraq, Paese in cui esisteva una pur non completa libertà religiosa e della Chiesa. Dopo pochi anni nel Paese mediorientale, non solo la comunità cristiana è a rischio di estinzione, ma vige una guerra civile di tutti contro tutti. Pretendere di esportare la democrazia occidentale senza far di tutto per garantire la libertà religiosa, si è rivelato totalmente astratto e ideologico. Si pensi ancora a cosa ha voluto dire, per la pace di tutti, consentire la distruzione e l’invasione di stati, come il Libano, in cui esisteva una convivenza pacifica, addirittura sancita dalla costituzione, tra cristiani e musulmani.
Ancora più deprecabile sul piano morale e più foriera di esiti disastrosi è però la posizione di chi, in nome di un multiculturalismo nichilista, continua ad abbracciare imam terroristi, a sostenere e finanziare gruppi integralisti come Hamas, Hezbollah o i governi sudanese ed iraniano, a equiparare gruppi terroristi a gruppi che vogliono la liberazione, senza tener conto della reale apertura di queste entità verso chi vive una diversa fede religiosa. Chi prende queste posizioni, di fatto diventa acquiescente verso il terrorismo e sostiene gruppi e regimi che calpestano la dignità di qualunque uomo. Perché chi si batte per la libertà religiosa e il diritto all’esistenza della Chiesa, come faceva Giovanni Paolo II, come continua a fare Benedetto XVI e come fanno i laici delle diverse religioni e posizioni culturali e politiche che hanno promosso la manifestazione del 4 luglio, non si impegna per difendere solo i “suoi”. Piuttosto è consapevole che “proprio dalla libertà di professare un’appartenenza religiosa, derivino la pace e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo, primo fra tutti quello della sacralità della vita umana”.


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Giangiacomo

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