domenica 11 novembre 2007

Spagna: cronache da una battaglia in corso

Con la legge del governo Zapatero sull’“Educazione alla cittadinanza”, lo Stato si appropria di un ruolo che non gli spetta: formare le coscienze. Ma famiglie e insegnanti non ci stanno. Così nasce un confronto che sta animando aule, piazze e giornali di Madrid e dintorni. Ma che ci riguarda tutti
di Ignacio Santa María

Durante la primavera del 2006 fu approvato il grande progetto educativo del governo socialista di José Luis Zapatero: la Legge Organica di Educazione (Loe). La principale novità che comportava era la comparsa di una nuova materia obbligatoria chiamata Educación para la Ciudadanía (EpC,Educazione alla cittadinanza). Era stata proposta da persone che non avevano mai nascosto il loro obiettivo: la formazione dei valori morali degli studenti. Fino a quel momento nella scuola, tanto in quella pubblica quanto in quella di iniziativa civile, avevano convissuto la Religione e l’Etica come materie facoltative. Il nuovo sistema, in pratica, comportava una riduzione delle ore di insegnamento religioso e l’introduzione in tutte le classi primarie e secondarie della materia obbligatoria da poco istituita.Gli iniziali timori di molti genitori e docenti sono stati presto confermati dalla pubblicazione dei reali decreti che ponevano le basi del nuovo insegnamento, con il quale lo Stato si è appropriato di un ruolo che non gli spetta: quello di soggetto educatore e formatore delle coscienze. Inoltre, ciò avviene per mezzo di un repertorio per nulla neutrale, volendo imporre una visione ridotta dell’uomo, partendo da presupposti come il relativismo culturale, il laicismo o l’ideologia del “genere”.Soltanto pochi mesi prima dell’approvazione della legge, il 12 novembre 2005, nelle strade di Madrid si protestava contro i piani educativi del governo e contro la materia al centro della polemica. Tra la sorpresa generale, una piattaforma creata ad hoc da varie organizzazioni di genitori e insegnanti era riuscita a riunire un milione di persone nel centro della capitale per chiedere che il progetto fosse ritirato.In questo contesto alcune persone di Cl, ognuno nel suo ambiente e a titolo personale, hanno cominciato a prendere l’iniziativa. Dapprima molto semplicemente, stabilendo un dibattito nel proprio ambiente di lavoro. Diversi professori, ad esempio, non soddisfatti delle interpretazioni e delle risposte ottenute, si sono messi a studiare direttamente i testi dei decreti, cercando altri amici o colleghi e scambiandosi articoli e commenti per e-mail.L’inquietudine iniziale si stava trasformando in interesse concreto: da peso aggiunto alla propria vita, la nuova materia è diventata piuttosto un’occasione di giudizio personale e di lavoro comune.Così, ad esempio, nella scuola John Henry Newman di Madrid si sono organizzate riunioni partendo dalla lettura de Il rischio educativo. Il direttore, Juan Ramón de la Serna, spiega che il libro di don Giussani apre un «orizzonte che permette di abbordare adeguatamente tutte le preoccupazioni educative, tanto quelle personali come quelle della scuola o le sfide politiche e sociali come l’Educazione alla cittadinanza».
Prime manifestazioni pubbliche

Questo lavoro è sfociato in un incontro pubblico, organizzato in collaborazione con i genitori, la parrocchia e altre realtà educative del quartiere, per rispondere alle molteplici richieste di un giudizio chiaro sul caso concreto. All’inizio del corso, Ana Llano, docente di Diritto all’Università Computense, ne discusse con una collega di Diritto processuale, Maite Padura, che esprimeva tutta la sua preoccupazione per la nuova materia. Decisero insieme di occuparsene e di parlarne con altri amici. Organizzarono così due incontri nella Facoltà di Diritto, a cui invitarono importanti personalità dell’ambiente politico e giuridico.Nel frattempo l’Associazione culturale Charles Péguy, preparava un seminario sullo stesso argomento con alcune tra le personalità più significative della battaglia culturale sulla nuova materia, tra cui Ignacio Carbajosa, docente della Facoltà di Teologia di San Dámaso, intervenuto sui “Presupposti antropologici e culturali dell’Educazione alla cittadinanza”. Una posizione creativa che, partendo da una provocazione concreta, cerca di approfondire la concezione dell’uomo e della società che la muove, non poteva altro che esser salutare per tutti. Perfino per la Conferenza episcopale, che ha deciso di distribuire il testo a tutti i vescovi.
Tendere a un giudizio comune

Contemporaneamente i vescovi spagnoli, molto attivi nel rifiutare la nuova materia, definivano la loro posizione in una nota e in seguito in una dichiarazione, due documenti che hanno offerto una indicazione chiara e la possibilità di un dialogo diretto sempre animato dalla tensione verso l’unità ecclesiale.Da parte loro, altre comunità di Cl in varie zone della Spagna hanno organizzato incontri a proposito dell’introduzione della EpC.Anche se le iniziative e i dibattiti si moltiplicavano, si avvertiva comunque che mancava ancora qualcosa. Tanti contributi non erano ancora espressione di un giudizio comune. «Volevamo formulare un giudizio comune più chiaro - ricorda Ana Llano - che offrisse pubblicamente il nostro contributo all’emergenza educativa attuale. Per questo ci siamo messi a lavorare insieme».Un gruppo di professori, docenti universitari ed esponenti del mondo politico e sociale sono stati la genesi del secondo manifesto della piattaforma Tiempo de educar presentato all’inizio dell’anno scolastico con un titolo provocatorio: “Il miglior modo di difendere la libertà è esercitarla”.Mari Carmen Carrón e Soledad de las Hazas, due insegnanti, da circa due anni stanno affrontando i contenuti concreti della materia e il problema dei nuovi libri di testo.Così commenta Soledad: «Questo dibattito mi ha messo a confronto con posizioni diverse, a partire dalla mia esperienza e arrivando a un giudizio comune con altre persone di formazione culturale diversa dalla mia, ma interessate al problema educativo. Leggendo la normativa, le dichiarazioni dei sostenitori della materia, quello che dicevano le associazioni a essa contrarie, osservando l’atteggiamento delle scuole… Tutto mi ha spinto a confrontare la mia esperienza con la proposta altrui e a imparare un sano realismo che tenga conto di tutti i fattori in gioco. È uno dei vantaggi di un giudizio comune».
Un volto che introduca una novità

Molto prima delle leggi di Zapatero era già evidente l’“emergenza educativa” nella società spagnola: il relativismo, la rinuncia di molti genitori a educare, l’annullamento del desiderio degli allievi, la noia, erano già sotto gli occhi di tutti. Comunque, è chiaro che non c’è niente che possa impedire una libertà in azione e una responsabilità che si gioca in prima persona, soprattutto là dove esistono esperienze educative vere, e quindi irriducibili. Per questo, in mezzo a una battaglia a volte dura e aspra, la gente cerca un volto che introduca una novità, un volto che si incarna in luoghi, opere, relazioni e persone che si mettono a disposizione di tutti.
Il manifesto di Tiempo de educar vuol dire a tutti che in ogni situazione è possibile costruire e creare opere che «educhino il cittadino» alla sua irrinunciabile libertà.

see u,
Giangiacomo

1 commento:

G. ha detto...

IL VOLANTINO DI TIEMPO DE EDUCAR

Il miglior modo di difendere
la libertà è esercitarla

1. Un nuovo corso scolastico. Il rientro a scuola e al lavoro risveglia, sebbene solo per un momento, il desiderio di una vita piena di significato. Per noi e per i nostri figli. È il pregio di tutto ciò che comincia: riappare quel desiderio che sembrava dimenticato. Questo desiderio è la principale risorsa di qualsiasi sforzo educativo, perché stimola la curiosità e le domande inerenti a tutte le questioni della vita.
La censura di questo desiderio e delle sue implicazioni educative - come se si trattasse di una questione irrilevante - è all’origine della situazione di “emergenza educativa” di cui soffre il nostro Paese. Le cifre del fallimento scolastico o la diminuzione dei livelli di conoscenza sono certamente preoccupanti. Ma altrettanto preoccupante è il fatto che nelle famiglie e nelle scuole, anche in quelle in cui si ottengono buoni risultati accademici e in cui si parla di valori, non si riesca a destare l’interesse dei giovani per le materie che studiano e, cosa ancor più grave, per il proprio destino. Essi finiscono così alla mercè di ogni sorta di potere e della noia. «Le crisi di insegnamento - scriveva Charles Péguy - non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita. Una società che non insegna è una società che non si ama, che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna» (Charles Péguy, Lui è qui, Bur, 2003, p. 39).

2. Di fronte all’evidenza di come l’educazione nelle nostre scuole non sia all’altezza del suo obiettivo, il governo ha cercato di dare una risposta introducendo la nuova materia di “Educazione alla cittadinanza”. Una materia che, nelle intenzioni dei suoi difensori, permetterà di plasmare la mentalità dei nostri giovani e, a lungo andare, di cambiare la società.

Migliaia di studenti della scuola secondaria hanno cominciato a seguire questa materia, mediante la quale lo Stato tenta di appropriarsi della formazione delle coscienze. La presunta neutralità della materia, tanto proclamata dal governo e dai suoi mentori ideologici, salta in aria nel momento in cui si constata come essa pretenda di rispondere alle questioni inerenti il senso della vita, il bene e il male, il cammino verso la felicità personale e la giustizia nelle relazioni umane. Gli stessi che teorizzano la separazione radicale fra l’ambito pubblico e quello privato, al fine di estromettere la religione dalla vita sociale, sembrano ora voler invadere, attraverso la sfera statale, la parte più profonda delle coscienze.

3. Per questo motivo, i genitori e gli stessi alunni difendono l’essenza delle loro libertà nel momento in cui si servono di ogni mezzo che lo Stato di diritto mette a loro disposizione per opporsi all’introduzione obbligatoria di questa materia. Chiediamo ai responsabili politici che cambino i decreti che stabiliscono i contenuti di questa materia e cerchino un accordo di base senza il quale nessuna riforma politica, e tanto meno in ambito educativo, sarà realizzabile. Nel frattempo ci associamo al movimento sociale di rifiuto nei confronti della materia “Educazione alla cittadinanza”, servendoci di tutti i mezzi legittimi contro la sua introduzione, inclusa l’obiezione di coscienza.

I poteri pubblici, per mandato costituzionale, devono garantire il diritto proprio dei genitori a che i loro figli ricevano una formazione morale e religiosa conforme ai loro principi, sia nell’ambito dell’istruzione statale sia in quello dell’iniziativa sociale. L’introduzione dell’“Educazione alla cittadinanza” danneggerebbe questo diritto e deve essere perciò respinta.

4. Nessuna ingerenza dello Stato può impedire che vi siano esperienze educative autentiche. Nell’attesa che si risolva la battaglia politica e giuridica riguardo a questa materia (che speriamo scompaia o venga profondamente ridefinita), la sua introduzione implica una sfida affinché giovani e adulti giudichino i suoi contenuti a partire dall’esigenza di verità che ci costituisce e che ha un carattere oggettivo. Esercitare questa facoltà di giudizio è la condizione necessaria sia per educare sia per stabilire un autentico dialogo.

Il modo migliore di difendere la libertà di educazione è esercitarla. Promuovere esperienze educative arricchisce la nostra democrazia. La laicità dello Stato si misura dalla considerazione che mostra verso le iniziative promosse da singoli individui o da determinati gruppi sociali, e soprattutto verso la libertà di educazione.

see u,
Giangiacomo