domenica 10 ottobre 2010

La contraddizione non risolta tra autonomia e “personalismi”

Il vero nodo resta quello tra economia e politica. La contraddizione non risolta tra autonomia e “personalismi”

L’articolo è stato pubblicato sul “Liberal” del 30 settembre 2010

Le dimissioni al buio di Alessandro Profumo da AD di Unicredit sono oggetto di analisi da parte di economisti e di opinionisti di tutto il mondo. Il casus belli – quanto meno quello esplicito – è noto a tutti: il disaccordo sulla presenza dei libici nel comparto azionario del colosso bancario di Piazza Cordusio. A questo punto, coloro che hanno tentato di ricostruire la vicenda nei minimi particolari avanzano sospetti, individuano collegamenti politico-affaristi, disegnano scenari fantapolitici, fantafinanziari e comunque si adoperano nell’antica arte retroscenista, condita della migliore salsa al sapor di complotto.

Non che le ricostruzioni non ci interessino e che non presentino forti elementi di plausibilità, ma crediamo che si possa cogliere questa occasione per tentare una riflessione sui limiti e sui presupposti del mercato. In fondo, coloro che difendono la strategia di Profumo argomentano le loro ragioni sostenendo la superiorità del mercato rispetto agli interessi della politica; e, a maggior ragione, degli interessi di alcune roccaforti partitiche locali (vedi F. Giavazzi). D’altra parte, coloro che hanno denunciato i pericoli derivanti dalla strategia accentratrice perseguita da Profumo e dalla crescente presenza di fondi libici, non possono neppure essere liquidati sic et simpliciter come miopi profittatori di clientele locali; a conti fatti, il mercato è un intreccio di istituzioni che nascono dal basso, esso mal tollera soluzioni centralistiche, nonché l’inserimento di elementi che per ragioni di ordine politico e culturale si mostrano inesorabilmente ostili alla libertà e non conformi alla stessa struttura del mercato.

In definitiva, riteniamo che il mercato affinché possa svolgere la sua funzione di sistema ottimale delle risorse è necessario che riconosca alcuni limiti e presupposti. In questo caso, a partire dalla prospettiva dell’economia sociale di mercato che incontra la Dottrina sociale della Chiesa, la domanda che ci poniamo non è tanto se debba essere il mercato ovvero la politica ad orientare le scelte nel campo finanziario, invero – come ci ha ricordato Benedetto XVI – non spetterebbe né all’una né all’altra, in quanto tale compito spetterebbe all’etica. La domanda che ci poniamo è la seguente: quali istituzioni appaiono necessarie affinché il mercato possa continuare a svolgere il suo ruolo?

In altre parole, la presenza di un fondo sovrano (fuori dalla logica del mercato) libico (fuori dalla logica democratica e liberale) è conforme ai principi che stanno alla base del libero mercato ovvero lo minano alle fondamenta? Ed ancora, l’irritazione palese di alcuni ambienti politici del Nord è autenticamente giustificata sulla base del principio che le realtà locali detengono una quota naturale (stakeholder) nel novero degli interessi di un gruppo bancario come Unicredit? Ovvero si tratterebbe di un’indebita ingerenza della politica? In breve, tali domande evidenziano due ordini di problemi. In primo luogo, può il mercato sopravvivere in qualsiasi contesto etico, politico e culturale ovvero è funzione di determinate istituzioni che lo presuppongono e lo pongono in essere? Ed in secondo luogo, è corretto identificare il sistema partitico con la società civile ovvero si tratta di un processo attraverso il quale il centralismo del primo intende fagocitare il pluralismo della seconda? È nostra sommessa opinione che il mercato necessiti di istituzioni economiche, politiche e culturali che lo presuppongano e che la presenza di un fondo sovrano che non risponda alle logiche del mercato, per di più riferibile ad un’autorità politica dispotica come quella libica, rappresenti una grave minaccia al buon funzionamento del mercato. Così come la pretesa di rappresentare gli interessi locali non può essere appaltata in modo esclusivo ad alcun partito politico.

Le dimissioni di Profumo sono la dimostrazione di quanto gli operatori del sistema finanziario e del sistema politico nel nostro Paese siano preda di una pericolosa schizofrenia in forza della quale libertà, democrazia e partecipazione sono rivendicate in nome di un particolarismo settario e clientelare e, nel contempo, da altri, le ragioni del mercato vengono difese come elementi metafisici che si danno da sé e non come il prodotto di una complessa rete istituzionale i cui presupposti sono di ordine etico e cultuale.

Flavio Felice – Presidente Centro Studi Tocqueville-Acton e Adjunct Fellow Amercian Enterprise Institute

see u,
Giangiacomo

1 commento:

Anonimo ha detto...

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