martedì 1 maggio 2007

L'Italia è sotto un regime comunista. Ora è provato!!

E' negata ogni libertà e autonomia!
Oltre all'economia, come abbiamo visto, persino alle cariche e organi indipendenti dello Stato!!

Romano Vaccarella si dimette dalla Corte Costituzionale e nei Palazzi della politica scoppia il caos. L'avvocato civilista, eletto nel 2002 alla Consulta come candidato della Cdl al posto di Filippo Mancuso, spiega di aver preso questa decisione dopo aver letto un articolo sul 'Corriere della Sera' di giovedì nel quale si parlava del 'tifo' che starebbero facendo i partiti più piccoli affinché l'Alta Corte bocci il referendum sulla legge elettorale. "La stampa - scrive nella lettera di dimissioni - ha dato recentemente notizia di dichiarazioni rese da taluni ministri e da un sottosegretario dalle quali si evince la considerazione in cui costoro tengono 'quale serva del potere esecutivo' la Corte Costituzionale".
Ma la cosa che lo avrebbe indignato di più, spiega ancora nella sua lettera al presidente Franco Bilé, è che da parte di governo e istituzioni non sarebbe arrivata alcuna smentita.
La notizia delle dimissioni di Vaccarella ha l'effetto di una bomba in mezzo al 'ponte' per il Primo maggio. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano interviene subito con una nota per dire che lui si appella a tutte le forze politiche affinché "rispettino l'autonomia" della Consulta e la sua funzione di "garanzia". Il presidente del Consiglio Romano Prodi assicura da Bologna (lo aveva già fatto ieri, evidentemente avvisato dell'ipotesi di dimissioni) che il governo ha sempre rispettato l'indipendenza della Corte.
Mentre i presidenti delle Camere Fausto Bertinotti e Franco Marini esprimono "piena fiducia nella totale indipendenza della Consulta" invitando Vaccarella a ripensarci. I capigruppo di Forza Italia Elio Vito e Renato Schifani, infine, chiedono al governo di venire a riferire in Parlamento sulla vicenda. Richiesta alla quale si associa anche il presidente dei senatori di An Altero Matteoli. In particolare, a far andare su tutte le furie l'avvocato, considerato dal centrosinistra vicino allo studio di Cesare Previti, sarebbero alcuni virgolettati riportati nell'articolo 'incriminato' dai quali emergerebbe che il ministro delle Riforme Vannino Chiti spera nella Consulta come ultimo argine al referendum. Così come il sottosegretario Paolo Naccarato che definisce ormai la consultazione referendaria "una pistola semi-scarica".
Gli ingredienti per far scoppiare il caso ci sono tutti. Chiti preferisce non commentare, anche se spiega ai suoi collaboratori di non aver voluto dire nulla sul pezzo del "Corriere" perché "destituito di ogni fondamento". Quindi ribadisce che il lavoro della Consulta è "autonomo e prezioso" e che il governo "non ha mai interferito e mai interferirà". Grida invece al complotto il leghista Roberto Calderoli, secondo il quale la vicenda delle dimissioni di Vaccarella "va inserita nella pinza con cui i poteri forti stanno stringendo il governo Prodi".
Perché loro, aggiunge, "sanno che fin quando c'é Prodi a Palazzo Chigi non c'é spazio per le loro manovre. Per questo puntano a indebolirlo. C'é chi vuole subito un governo tecnico per raggiungere i propri obiettivi". E mentre il radicale Daniele Capezzone dichiara che l'alto magistrato con il suo gesto "ha posto una questione serissima", il coordinatore di Fi Sandro Bondi non ha dubbi: se sono vere le voci di interferenze sulla Corte "saremmo di fronte ad un radicale imbarbarimento e lesione dei principi fondamentali della democrazia". Vaccarella intanto tiene il punto e interrogato dai cronisti sulle sue dimissioni dichiara: "Se sono irrevocabili? Di irrevocabili - risponde - c'é solo la morte, ma questo non è uno scherzo...". Sulla sua decisione, assicura, sarà solo "la Corte a decidere". Nella riunione del 2 maggio convocata d'urgenza da Bile.

see u,
Giangiacomo

1 commento:

Anonimo ha detto...

Gaetano Quagliariello
Il Giornale
3 maggio 2007

Quando ho appreso delle dimissioni di Romano Vaccarella da giudice della Corte Costituzionale per la protesta contro le indebite pressioni esercitate da membri del governo, il primo riflesso è stato quello di pretendere da Prodi le scuse per tutti gli italiani che parcheggiano in doppia fila. A freddo, però, l'episodio mi sembra la spia di qualcosa di più serio e di più grave.

Un tempo - e neppure troppo tempo fa - i partiti pretendevano di esercitare in prima persona la sovranità, a dispetto dei poteri riservati alle istituzioni ufficiali dello Stato. Potevano farlo perché il loro ruolo - di maggioranza così come di opposizione - e la loro forza erano immodificabili. Al più cambiava qualche decimale. Era questa l'essenza di quella che si usava definire "partitocrazia". Poi i partiti sono entrati in crisi e, per di più, la loro presenza al governo è stata subordinata alla volubilità del giudizio degli elettori. Questo mutamento epocale, però, non ha annullato il loro antico vizio egemonico. L'ha semplicemente trasformato, fornendocene una versione post-partitocratica. E questa metamorfosi si è compiuta soprattutto a sinistra per una circostanza facile da intendere: sia per quanto concerne le esperienze personali sia per quel che riguarda le vicende collettive, è lì che ancora risiede il più alto tasso di continuità con l'ancien régime.

Si è così sviluppata una tendenza a depotenziare la responsabilità ufficiale del potere politico - quella, per intenderci, che si esercita allor quando si vincono le elezioni - per trasferirla in istituzioni sulla carta indipendenti ma che, nei fatti, sono condizionate da orientamenti politico-culturali difficili da modificare. Una cartina di tornasole di questa situazione la si rintraccia nella odierna realtà dei Senatori a vita di nomina presidenziale. Si è a lungo discusso sulla legittimità di un governo condizionato dal loro voto decisivo. Ma a mio parere, il vulnus più grave è altrove: essi, ad eccezione di uno che di norma non partecipa ai lavori, appartengono tutti alla sinistra. Quasi che per onorare la patria, e riceverne da questa onore, essere di sinistra risulti condizione necessaria.

Dall'altezza dei laticlavi si sta ora scendendo giù per li rami. A ogni piè sospinto viene alla luce una nuova authority o una agenzia (l'ultima nata è quella per la valutazione degli atenei) che sottraggono potere alla politica per trasferirlo a istituzioni indipendenti. In cosa si concreti la loro indipendenza si è avuto modo di apprezzarlo in questi ultimi tempi. Un primo esempio è stato fornito dalla vicenda Sircana. E oggi le dimissioni di Vaccarella giungono a ufficializzare che neppure la massima istituzione di garanzia della Repubblica è più immune da questa sorta di autonomia condizionata.

Al fondo di questi episodi c'è la sublimazione di una malattia che la sinistra italiana ha incubato sin dai tempi dell'inopinata vittoria del "Cavaliere nero" nel 1994: il sospetto nei confronti del suffragio universale. D'allora essa ha sviluppato un'attitudine difensiva: trovare il vaccino per mettersi comunque al riparo da imprevedibili esiti elettorali così come da altri contingenti imprevisti. Da qui la sottrazione di potere alla politica e il suo trasferimento a élite condizionabili. Non è un caso che, nelle analisi culturali della sinistra, sempre più spesso torna, quasi sempre a sproposito, il riferimento al populismo. Esso denunzia, in realtà, paura nei confronti del popolo. Allora non ci si può stupire se, mentre il Presidente della Camera definisce il referendum contrario alla democrazia, un giudice della Corte sia costretto a dimettersi per i tentativi preventivi di farlo fuori. Fare pressione, in fondo, non è altro che il modo concepito dalla sinistra per salvare la sua democrazia.