sabato 26 maggio 2007

I musulmani sorpassano i cattolici? "Paragoni impossibili"

Per anni annunciato, il traguardo sarebbe stato ora raggiunto. I musulmani sostengono di avere superato i cattolici: sarebbero oltre un miliardo e trecento milioni, contro un miliardo e centoquindici milioni di fedeli di Roma. Alla domanda se queste cifre siano vere si può rispondere in tre modi diversi.
Anzitutto, è arbitrario paragonare i musulmani ai cattolici. Infatti sia l’islam sia il cristianesimo sono generi, al cui interno convivono specie diverse. Tra i musulmani, almeno sciiti e sunniti sono altrettanto diversi tra loro di cattolici, ortodossi e protestanti; le scuole sunnite più rigorose non considerano gli sciiti, a rigore, neppure musulmani. Pertanto il paragone proposto da grandi statistici come David Barrett non è, normalmente, fra i musulmani e i cattolici, ma o fra l'islam sunnita e il cattolicesimo (un miliardo di fedeli contro un miliardo e cento milioni), oppure fra l'islam e tutto il cristianesimo: quest’ultimo, sommando ai cattolici gli ortodossi e i protestanti, sfiora la cifra di un miliardo e settecento milioni di persone, da cui l’islam è ancora lontano.
In secondo luogo, come ha già risposto qualche esperto cattolico, si diventa cristiani con il battesimo e il numero di battesimi è misurabile con una certa precisione. L’islam invece ritiene che sia musulmano chiunque sia nato in un Paese a maggioranza islamica e non appartenga esplicitamente a una minoranza religiosa, le cui cifre tra l'altro sono spesso sottostimate per motivi politici. Le cifre fornite per l’islam rischiano quindi di comprendere molte persone che vivono nei Paesi musulmani ma di fatto non hanno alcun contatto con la religione islamica.
Il terzo aspetto - forse il più interessante - chiama in causa le varie dimensioni dell'esperienza religiosa. I sociologi di lingua inglese parlano delle tre B: believing (credere), belonging (appartenere) e behaving (comportarsi). Le statistiche di cui si parla in questo caso non riguardano né le credenze né i comportamenti - non si chiedono cioè «in che cosa» crede chi dichiara di seguire una religione, né se si comporta in pratica da buon cattolico o da buon musulmano - ma le appartenenze. Tuttavia, le appartenenze possono essere misurate in modi diversi. Nel cattolicesimo c'è una cerchia più ampia di battezzati e una più ristretta di praticanti, cioè di persone - secondo un parametro diffuso anche se non unanime - che dichiarano di andare a messa almeno due volte al mese. In Italia, per esempio, oltre il novanta per cento della popolazione è battezzato, mentre, utilizzando il criterio citato, le cifre dei praticanti oscillano dal trenta al quaranta per cento. Dei musulmani che vivono in Italia sappiamo che meno del dieci per cento va in moschea con qualche regolarità. Ma, in assenza di un precetto settimanale simile all'obbligo cattolico della messa, la frequenza in moschea non può essere l'unico criterio per stabilire quanti musulmani sono praticanti. La preghiera quotidiana e il digiuno del Ramadan sono altrettanto, se non più importanti. Non è impossibile che nel mondo ci siano più musulmani che cattolici - anche se non più musulmani che cristiani in genere - «praticanti», ma la raccolta di statistiche sulla pratica musulmana è difficile e i criteri controversi.
Parlare di sorpasso appare dunque prematuro e propagandistico. Anche se in molte zone del mondo l'islam ha dalla sua la forza della demografia e delle nascite, e - con tutti i loro limiti - le statistiche sono le benvenute se sono occasione per cominciare a preoccuparsi.

di Massimo Introvigne (il Giornale, 20 maggio 2007)

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Giangiacomo

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