lunedì 29 gennaio 2007

Libertà religiosa e laicità dello Stato

Non è possibile trattare il tema della “laicità dello Stato” senza aver prima compreso il concetto di “libertà religiosa”.
Le civiltà dell’antichità (basti pensare agli Assiri e agli Egizi), pur nella iniziale opera di codificazione legislativa, non conoscevano l’esigenza di una distinzione tra la sfera civile e quella religiosa. Il sovrano, in esse, coincideva con la divinità, venendo a costituire il punto di convergenza del sacro e del profano, del civile e del religioso.
In Grecia, terra in cui sorge per la prima volta la repubblica oligarchica intellettuale, il culto agli dèi costituiva un precetto legislativo.
Tale concezione filosofico-religiosa permarrà anche nella giuridicamente evoluta civiltà romana, nella quale la rivendicazione imperiale della divinità rappresenterà un vero e proprio obbligo legale-morale per il popolo, rivelativo della lealtà verso lo stato.
Tra le culture antiche è quella ebraica ad introdurre una prima distinzione tra l’obbedienza ad un potere costituito che rivendica prerogative divine e l’obbedienza alla propria coscienza ed a quanto da essa domandato. Appare in questo caso fin troppo evidente come la maturazione di una tale consapevolezza sia legata e proporzionale alla presa di coscienza, a livello storico e filosofico, della verità del monoteismo (nella consapevolezza dei reciproci influssi tra concezione monarchica della società e monoteismo religioso). Se Dio è uno ed unico la coscienza del soggetto è indisponibile ad «altri dei» e rivendica, come costitutiva della propria natura, la libertà della fede.
Vera novità nel panorama storico, filosofico e giuridico dell’antichità è costituita dal cristianesimo, che, in un contesto quale quello greco-romano in cui sfera civile e sfera religiosa praticamente coincidevano, rivendica la libertà di non bruciare l’incenso all’imperatore e di professare la fede in Gesù Cristo.
A ben guardare, in maniera ancora più radicale, il principio di distinzione tra sfera civile e sfera religiosa è introdotto nella storia dell’umanità dalle parole di Gesù Cristo: «ἀπόδοτε οὖν τὰ Καίσαρος Καίσαρι χαὶ τὰ τοῦ Θεοῦ τῷ Θεῷ» (Traduzione: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”).
A questa posizione corrispose una dura reazione dell’ordinamento giuridico romano che vide nel Cristianesimo un delitto di ateismo e un grave attentato all’istituzione.
La testimonianza del martirio dei cristiani nei primi tre secoli della nostra era è una delle più significative pagine della storia della libertà religiosa, che sempre deve essere difesa e rivendicata a qualunque prezzo. Una storia nella quale libertà religiosa e libertà di coscienza, pur distinte filosoficamente, si intrecciano storicamente, mostrando come i due concetti siano assolutamente inseparabili ed anzi si relazionino in una chiara circolarità di reciproca giustificazione.
In tale contesto, l’editto di Milano del 313 d.C., promulgato dall’imperatore Costantino, nel quale si dichiarava il cristianesimo religio licita, può essere considerato come il primo testo giuridico in cui i temi della Laicità dello Stato e della libertà religiosa acquistano una decisiva rilevanza.
Il grande tema della libertà religiosa riemerse in tutta la sua pregnanza e radicalità alle origini dell’epoca moderna, quando, con lo scardinamento dell’unità religiosa delle popolazioni europee determinato dalla riforma protestante, si palesò in tutta la sua forza la richiesta di «professare liberamente la propria fede con esclusione di qualsiasi impedimento proveniente dall’esterno» e di distinzione tra appartenenza geografica ed appartenenza religiosa.
Tentarono di risolvere la tensione con quella drammatica violazione della libertà religiosa perpetrata dalla pace di Augusta (1555) e rappresentata dall’applicazione del principio cuius regio eius religio, secondo il quale i sudditi avrebbero dovuto identificarsi nell’appartenenza confessionale del sovrano. Se apparentemente tale principio pacificò i confini territoriali, esso si rivelerà, proprio per la mancanza di riconoscimento prestato al principio della libertà religiosa del singolo uomo, foriero di più gravi contrasti e scontri.
Fu un atto che mirava a ricostituire, con la forza della legge, comunità politiche a struttura religiosa monista, legittimandola penetrazione dello stato nelle coscienze, con la relativa attribuzione del potere di decidere, con una sovranità infondata, ciò che fosse o non fosse da credere.
La libertà religiosa si presenta così come elemento costitutivo della persona umana, suo diritto nativo e naturale, indisponibile a qualsivoglia impedimento esterno sia di carattere statale e pubblico sia di tipo relazionale interpersonale. L’unico «condizionamento» tollerato dalla libertà religiosa è quello dell’obbedienza e della coerenza con la propria coscienza, in armonia con il retto uso della ragione che cerca la verità e vive secondo la verità trovata.
Fino a questa epoca, la libertà religiosa sarà riconosciuta nella forma giuridica della «tolleranza», che, nel migliore dei casi, rinuncerà ad una concezione religioso-monista e tollererà, appunto, professioni religiose distinte da quelle del potere politico.
Solo alla fine del XVIII secolo, con la Rivoluzione Francese e l’affermarsi delle moderne costituzioni e delle dichiarazioni dei diritti fondamentali dell’uomo, la libertà religiosa diverrà un vero e proprio diritto positivo, contemplato e garantito dall’ordinamento giuridico statale. Avanguardia di tale elaborazione giuridica è stata, senza dubbio, la comunità politica nord-americana, che, proprio per il fenomeno delle migrazioni forzate per ragioni religiose, ha elaborato per prima quel pluralismo culturale e religioso che è il contesto indispensabile per l’affermazione della libertà religiosa come diritto positivo.
La positivizzazione giuridica di tale diritto vede, nell’età contemporanea, un fiorire di dichiarazioni, documenti internazionali, costituzioni statali nelle quali è ormai definitivamente affermata come diritto inalienabile. Questo processo ha un’imprescindibile tappa nella «Dichiarazione per l’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sui convincimenti personali» approvata il 25 novembre 1981 dalla Organizzazione delle Nazioni Unite.
Rimane la realistica e amara constatazione di come, ancora oggi, al riconoscimento giuridico della libertà religiosa non corrisponda nella prassi la realizzazione delle condizioni per il pieno esercizio, sempre e dovunque, di tale libertà.
Le ideologie antireligiose del XX secolo, il rinascere degli integralismi religiosi ed una certa diffusa mentalità ideologicamente abbarbicata su posizioni laiciste, incapaci di dialogo, costituiscono la cornice in cui, anche nel cuore della post-modernità, è possibile fare esperienza di gravi violazioni della libertà religiosa, mostrando come essa rappresenti sempre e comunque un principio da difendere con indomita vigilanza.
Nonostante non pochi insigni giuristi, tra essi Giuseppe Dalla Torre, mettano in evidenza la totale inutilità giuridica della stessa nozione di laicità dello Stato, essa è tuttavia sostenibile a condizione che la si interpreti come la rinuncia allo «stato etico», l’affermazione da parte dell’ordinamento giuridico della propria inabilità a formulare opzioni religiose vincolanti e il riconoscimento della supremazia della libertà religiosa rispetto alla stessa laicità dello stato. Infatti, la prima appartiene ai diritti inalienabili della persona, mentre la seconda non è che una specificazione dell’ordinamento giuridico e pertanto trae dai diritti inalienabili stessi il proprio significato e la rilevanza della propria valenza obbligante.
Compito di un vero stato laico sarà pertanto fornire la massima garanzia all’esercizio personale e sociale della libertà religiosa, non limitando in nulla un tale diritto naturale se non in ciò che è proprio di un ordinamento sociale e che coincide con il mantenimento dell’ordine pubblico.
La positività della laicità come non identificazione con nessuna specifica opzione religiosa emerge, infine, in tutta la propria forza nel confronto con quelle situazioni che in Oriente vedono l’applicazione del diritto islamico ad ogni ambito del vivere sociale. Là dove non si mantiene la dovuta distinzione tra «Dio e Cesare» e dove non è riconosciuta la legittima autonomia delle realtà temporali, hanno luogo le più gravi violazioni delle libertà individuali, dei diritti civili, dello stesso diritto naturale.
In maniera simmetrica ed opposta, hanno violato e continuano a violare gli inalienabili diritti della persona umana tutti quei regimi che hanno inteso estirpare dall’uomo il senso religioso, identificandosi, a loro volta, anch’essi, con una «professione di fede»: quella dell’ateismo. In definitiva del laicismo dello stato.
È ora possibile dunque fornire alcune definizioni del concetto di laicità dello Stato:
1. Il riconoscimento da parte dello Stato della propria incompetenza nei confronti di determinati ambiti della vita dei suoi cittadini.
2. La non identificazione dello Stato con un determinato credo religioso e quindi il rifiuto dell’istituzione di uno stato confessionale.
3. La rinuncia da parte dello Stato ad essere uno Stato etico, cioè legittimato a dichiarare i maniera vincolante cosa sia “bene” e cosa invece non lo sia.

La libertà religiosa, secondo una posizione che fa da mediana tra la concezione della realtà religiosa come fattore totalizzante della persona (intesa come individuo in relazione con l’alterità – Emmanuel Mounier) e la concezione che invece la degrada ad esperienza privata e individualista poiché altrimenti deviante per la persona nella società, deriva dalla libertà di coscienza e di pensiero, il quale diritto civile affonda le proprie radici nella suprema fonte di diritto che è la persona stessa. Questa posizione è stata adottata dal Concordato del 1929 tra Chiesa Cattolica e Stato.
Il caso giuridicamente più rilevante per l’applicazione concreta della libertà religiosa è l’obiezione di coscienza, cioè la rivendicazione da parte del cittadino della propria libertà e supremazia rispetto ad una norma positiva promulgata dallo Stato che sia in contrasto con le proprie convinzioni.
La soluzione è il riconoscimento da parte dello Stato dell’obiezione di coscienza per evitare che il singolo si ponga al di sopra dell’ordinamento giudicandolo.
Gli unici due limiti imposti all’obiezioni di coscienza sono il rispetto dell’ordine pubblico e della salute pubblica, nonostante molti provvedimenti sulla vita (come l’obbligo di sterilizzazione delle coppie cinesi dopo il primo concepimento) soprattutto in sede ONU e UE, vengano inseriti all’interno della rubrica “Salute pubblica”.
Un ulteriore espressione del limite alla libertà religiosa oltre alla rilevazione della necessità di tutela dell’ordine pubblico, sta nel riconoscere la priorità segnalata dalla Chiesa Cattolica nella nozione di bene comune, concetto più ampio di quello di ordine pubblico ma che lo ingloba.
Al numero 2209 del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa Giovanni Paolo II dichiara che la libertà religiosa è limitabile solo se in contrasto con altri diritti della persona umana.
Il potere pubblico e la libertà religiosa devono rispettare i limiti reciprocamente imposti e il fondamento di questa necessaria reciproca limitazione è il rapporto sano tra fede e ragione poiché una fede non accettasse la sfida della ragione sfocerebbe nel fideismo fondamentalista e una ragione che non si lasciasse guidare dalla libertà religiosa diverrebbe un razionalismo tecnicistico misura di tutte le cose.

Le vicende storiche hanno determinato anche, come ovvio, grandi differenze tra i diversi stati nazionali europei ed i loro rispettivi ordinamenti giuridici. Valga come esempio la totale assenza nella Costituzione italiana di una norma che espressamente enunci il carattere laico dello stato, cui fa da parallelo, per esempio, l’Articolo 1 della Costituzione francese del 1958, che afferma: «La Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale».
L’introduzione o meno del carattere di laicità all’interno dell’ordinamento giuridico costituzionale che, in certo modo, definisce l’identità stessa di una nazione, non è irrilevante e, dal momento che la legge, che è norma, non solo traccia dei limiti, ma propone dei modelli, l’aver inserito la laicità dello stato nella costituzione ha, nei fatti, prodotto un modello culturale laicista tendente a marginalizzare il fattore religioso e a limitare l’esercizio stesso della libertà religiosa nella sua dimensione sociale.
La cultura contemporanea vede, perlomeno in Occidente, situazioni molto differenti, sia dal punto di vista filosofico, sia dal punto di vista giuridico. Se ad esempio negli Stati Uniti d’America vige una radicale separazione tra sfera socio-politica e sfera religiosa (e quindi si potrebbe pensare ad una società tendenzialmente laicista), il supremo valore attribuito in quell’ordinamento alla libertà e la stessa storia della Costituzione americana che per prima ha sancito positivamente la libertà religiosa come diritto, fanno di quella società un luogo aperto e positivamente accogliente rispetto al fenomeno religioso e ai valori fondamentali che esso porta.
Per contro, gli effetti del laicismo francese e della sua vena anticlericale hanno finito, in nome della laicità, per limitare pesantemente la libertà religiosa, sia nella recente legge sull’esposizione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici (dando perfino disposizioni sull’abbigliamento personale e vietando l’ostentazione di simboli religiosi da parte degli studenti nelle scuole e lo stesso indossarli per i preposti all’insegnamento), sia molto più gravemente nel processo di elaborazione del testo del Trattato costituzionale europeo, la cui commissione preparatoria è stata presediuta da un noto accademico di Francia.

La concezione della libertà religiosa si articola in due dimensioni, una negativa e cioè il diritto a non essere ostacolati da nessuno nel suo esercizio, e una positiva e cioè l’esercizio stesso di tale libertà per aderire alla proposta di amore di Dio verso ogni uomo e implicarsi responsabilmente in questa esperienza.
Dal momento che l’uomo è un essere naturalmente relazionale, devono sussistere le garanzie che permettano di esprimere tale diritto in pubblico.
In merito non si può non riconoscere come delitto la blasfemia, in quanto azione che mira ad ingiuriare l’oggetto di questo diritto civile. Con una dilatazione arbitraria ed irragionevole della dimensione negativa della libertà, in particolare come libertà dalla religione, ad opera del processo illuministico e giusnaturalistico, si è giunti sempre più storicamente a non condannare la blasfemia ma a ledere il diritto stesso alla libertà religiosa attraverso la distruzione dei simboli e della religione in se stessa.
Attingendo sostanzialmente al pensiero di Rousseau si è giunti a teorizzare che è necessario che ogni uomo, per essere veramente libero e giungere al bene comune, si alieni alla società dall’influsso della famiglia e della relativa educazione, della storia della patria, della religione e dell’insegnamento della Chiesa. Concretamente la circolare ministeriale francese del 18 Maggio 2004 sancisce il dovere della scuola di trasmettere ai propri allievi i valori della Repubblica (senza specificare a cosa corrispondano tali valori) preservando i giovani dalle pressioni risultanti dalle manifestazioni evidenti della fede religiosa personale, sanzionando queste ultime con l’espulsione dalla scuola stessa.

Storicamente e teoreticamente sono tre i modelli di approccio dell’ordinamento giuridico alla libertà religiosa e in particolare alla confessione religiosa:
1) Il modello dello stato confessionale (mantenuto tuttora in Grecia, Portogallo e Danimarca; in Finlandia invece si assiste al duopolio delle chiese luterana e ortodossa).
2) Il modello dello stato secolarista (Olanda, Francia, USA).
3) Il modello dello stato pluralista, che si basa sul riconoscimento plurimo delle religione pur non ponendole sullo stesso piano (Germania, Spagna, Austria, Belgio, Italia).

Generalmente i vari stati sono disponibili al riconoscimento in via concordataria delle minoranze religiose, sulla scia del concordato italiano tra Stato e Chiesa Cattolica (strumento di diritto internazionale). Per riconoscere altre religioni di minor rilevanza sociale si adopera l’istituto dell’intesa, atto di discrezione del Governo, di cui è necessaria la successiva ratifica da parte del Parlamento. Le intese di fatto più invise in Italia sono quelle con l’Islam poiché nel nostro Stato è prevalentemente un Islam sunnita e in quanto tale caratterizzato dall’assenza di gerarchia e da una certa frammentazione che impedisce di avere un riferimento unificatore.
Allo stesso modo riscontriamo tre modelli di secolarismo e cioè il s. passivo e benevolo degli Stati Uniti d’America, il secolarismo passivo e indifferente che caratterizza l’Olanda e il secolarismo attivo vigente in Francia, la quale, come abbiamo visto, affida allo Stato la promozione pedagogica del laicismo.

Un esempio di laicismo – il Preambolo del Trattato Costituzionale europeo.
Nonostante la reiterata individuazione di passaggi teoreticamente fragili, o addirittura ingiustificati storicamente, il Preambolo non sembra limitare né misconoscere, il principio fondamentale della libertà religiosa.
Il riconoscimento del valore universale della persona, della libertà e dell’uguaglianza non può non includere quello della libertà religiosa, qualunque sia l’elemento originante individuato (la persona o la libertà).
Un ordinamento che si proponesse di riconoscere il valore universale della persona e nel contempo rivelasse intenti tendenti a limitarne la libertà di espressione, individuale od associata, cadrebbe in evidente contraddizione, così come la libertà di espressione, meramente annunciata e non fattivamente sostenuta anche con specifici interventi di carattere sociale, rimane enunciazione di un principio che non trova riscontro nella realtà.
Lo stesso rifarsi all’«identità» dei popoli europei rinvia implicitamente all’assunzione piena del principio della libertà religiosa, che risulta essere inseparabile e quasi indistinguibile dalla concreta storia dell’Europa.
Il silenzio sulle “radici cristiane”, che rimane storicamente, filosoficamente e logicamente ingiustificato, non impedisce tuttavia a quegli elementi propri della cultura cristiana europea di emergere in tutto il loro significato, talora persino in modo eclatante.
Basti per tutti l’esempio sull’utilizzo di «unità nella diversità», per giungere fino all’attenzione agli ultimi che, come valore cristiano e profondamente umano, si è travasata nel testo costituzionale.
Più articolata sembra essere invece la valutazione che la scelta di generiche «eredità religiose» impone in ordine all’interpretazione della laicità dello Stato.
Dal momento che non è presumibile che il legislatore non fosse consapevole di tutte le implicazioni culturali del cristianesimo in Europa, se ne deduce ragionevolmente l’esistenza di una positiva volontà di esclusione dal testo del Preambolo di qualunque accenno al cristianesimo.
Se, come detto, l’operazione di neutralizzazione della cultura europea risulta nei fatti fallimentare, non di meno è preoccupante il tentativo di marginalizzare, fino all’eliminazione, quello che nella storia è stato il valore costitutivo e determinante la stessa identità europea.
Non si è soltanto di fronte ad una illegittima, perché infondata storicamente, opzione culturale, ma da essa è possibile dedurre quella determinata concezione della laicità dello Stato che si traduce nei fatti in un miope laicismo, tendente a marginalizzare il fenomeno religioso all’interno delle coscienze soggettive, collocandolo in quella insindacabile sfera del privato, che tuttavia non pretende né riconoscimento né giustificazione pubblica.
Senza entrare, in questa sede, in considerazioni di carattere politico, sembra di poter tuttavia affermare che l’opzione del legislatore risenta di una duplice miopia storica, sia rispetto al passato, sia rispetto al futuro.
Rispetto al passato rivela la propria “macro-amnesia” verso l’apporto di progresso e civiltà che il cristianesimo e la derivante cultura cristiana hanno dato all’Occidente.
Simmetricamente, in ordine alle prospettive future, è possibile evidenziare un’altrettanto grave “macro-miopia”, incapace di vedere il nesso tra la cultura cristiana ed i valori fondamentali della persona, della libertà, dell’uguaglianza e dei conseguenti strumenti della democrazia e dello Stato di diritto.
Se si vorrà preservare, in Europa, l’esistenza futura di detti valori, non si potrà prescindere dal riconoscimento e dalla riaffermazione della loro origine nella persona e, conseguentemente, in quel personalismo cristiano che è caratteristica ineludibile della cultura europea.
Non aver esplicitamente inserito nel Preambolo le “radici cristiane” significa non aver messo al riparo i valori fondamentali a cui il Preambolo stesso dice di ispirarsi e non aver tenuto nella giusta considerazione, rispetto alle prospettive future, l’impatto che tradizioni culturali e religiose differenti da quelle occidentali e non improntate ai medesimi valori possono avere (anche solo dal punto di vista demografico) sull’Unione europea.
In definitiva, si può affermare che il Preambolo accoglie e rispetta il principio della libertà religiosa, pur non fornendo ad esso sufficienti garanzie di intangibilità ed irriducibilità rispetto al futuro.
In ordine alla laicità dello Stato, emerge, per contro, la prevalenza di quella interpretazione laicista di cui sopra, che non riconosce il pieno ed autonomo valore del fenomeno religioso come elemento propulsivo nella società e costruttivo nel tempo di opere e di storia.

Un problema di laicità – i Patti Civili di Solidarietà – Aspetti giuridice e morali.

L’art. 25 cost. dichiara che la famiglia è fondata sul matrimonio.
Di fronte ad una norma costituzionale non è da ritenersi un problema di laicità il riconoscimento delle coppie di fatto.
Norberto Bobbio affermava che la laicità è il contrario dell’ideologia e dello stato religioso: tuttavia le religioni possono esercitare la propria influenza proporzionalmente al loro peso nella compagine sociale. Laicità non è antireligiosità, nè radicale ateismo di stato. Non si tratta quindi, anche se è così avvertito, di un problema di laicità.
Secondo il Cardinal Caffarra (in occasione della giornata mondiale per le famiglie del Luglio 2006 a Valencia) il bimorfismo sessuale in natura è universale; è la differenza che, unita, porta alla completezza, ed affermare il contrario vuol dire affermare che la persona non ha un fondamento suo proprio, ma che ogni orientamento sessuale è assiologicamente paritetico ed ognuno ha una sorta diritto di opzione in merito.
Il Consiglio d’Europa invita al riconoscimento dell’uguaglianza fra matrimonio ed altro tipo d’unioni. Questa visione si basa su un agnosticismo che nega la conoscibilità della realtà. Tuttavia l’equiparazione richiesta porterebbe allo sminuimento e alla compromissione della famiglia.
In Italia, nella scorsa legislatura, sono stati presentati ventuno progetti di legge al riguardo e tutti (tranne due) miranti più che a tutelare coppie di fatto eterosessuali, a parificare le unioni omosessuali a quelle eterosessuali. Tuttavia le prime non debbono essere confuse con le seconde: le coppie eterosessuali, per quanto non regolari, sono molto più simili alle coppie unite in matrimonio che a quelle omosessuali, per le quali lo stesso termine “coppie” è impreciso, poichè in esse manca la diversità e la fecondità, perciò è più appropriato parlare di “unione”.
La morale naturale serve più a un non credente che a un credente: la conoscenza stessa implica una morale per tendere al vero e al bello (se si rifiuta il radicalismo agnostico: rifiuto che è a monte di ogni volontà di conoscenza). Il credente aderisce già a una visione del mondo ordinata, mentre è il non credente a dover giudicare ragionevolmente il reale e aderire a tale giudizio, qualora ammetta una qualche possibilità di conoscenza. E’ quindi necessario un dibattito sulla morale, dibattito che esula però dalle problematiche della laicità dello stato.
Quindi il dibattito potrebbe essere limitato al risolvere i problemi pratici dei conviventi. Questi sorgono in particolare al momento dello scioglimento della convivenza dal momento che formalmente nessun diritto è esigibile per la parte debole. Il più delle volte è possibile risolvere questi problemi tramite il diritto pattizio, mentre per altri vi possono essere soluzioni ad hoc: ad es. già i conviventi dei parlamentari e dei giornalisti godono del diritto alla reversibilità della pensione.
In Europa le leggi che prevedono il riconoscimento delle convivenze, lo fanno in chiave opzionale: relativamente alla scelta conseguita si applicano automaticamente gli effetti giuridici corrispondenti che i conviventi non possono modificare. Solo in Germania invece il riconoscimento è aperto alle sole coppie omosessuali, mentre per gli eterosessuali è offerto il matrimonio civile, con possibilità di divorzio.
L’Italia è soggetta alle pressioni dell’UE e alcune convivenze devono essere già riconosciute a causa dei meccanismo dei diritto internazionale privato.
Bisogna tuttavia tener conto delle seguenti considerazioni: un interesse che sia rilevante pubblicamente deve essere protetto dallo stato. Ad un interesse meramente individuale deve essere garantita la libertà d’esercizio da parte dello stato. Il riconoscimento rimane pubblico anche se inserito nel codice civile. Solo il matrimonio però è quell’alleanza di tutta una vita per il bene dei coniugi e ordinata all’educazione dei figli: quindi solo da esse può essere richiesto il riconoscimento pubblico dello Stato, che può anche esigerlo (è il caso della normativa penale in caso di assistenza.)
È infine da ricordare che corrisponde al concetto di “uguaglianza” il trattamento in maniera uguale di situazioni uguali e in modo diverso di situazioni diverse. Non vi è quindi discriminazione a non riconoscere la stessa rilevanza e gli stessi diritto in capo all’istituto del matrimonio e alla realtà delle convivenze civili.


see u,
Giangiacomo

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