domenica 10 giugno 2007

Lo sfregio di Prodi

Cacciare il comandante della Gdf per evitare un voto, brutto precedente

Romano Prodi ha chiesto al vertice dei segretari dei partiti della maggioranza il mandato per chiudere la vicenda che ha al centro le polemiche sulle pressioni che il viceministro Vincenzo Visco avrebbe esercitato l’anno scorso per far trasferire alcuni ufficiali della Guardia di finanza dalla sede milanese.
Il modo che ha seguito per sciogliere, o per cercare di sciogliere, il nodo è un esempio da manuale di come non si deve comportare un uomo di stato. L’interesse pubblico in questa vicenda è evidentemente quello di fare chiarezza, in modo da fugare la sensazione che un importante membro del governo abbia usato di delicatissimi poteri per una meschina vendetta di partito, oppure che il massimo esponente di un corpo dello stato, il comandante generale delle Fiamme gialle, Roberto Speciale, abbia mentito ai magistrati per danneggiare il suo superiore politico.
L’interesse di Prodi, invece, era solo quello di evitare il rischio di una sconfitta nella votazione delle mozioni sulla vicenda nella seduta del Senato di mercoledì prossimo.
Naturalmente l’interesse politico del presidente del Consiglio ha prevalso sull’interesse pubblico, e così si è imposto a Visco di rinunciare “spontaneamente” e soprattutto temporaneamente alla delega sulla Guardia di finanza, dandogli “in cambio” la destituzione, ovviamente del tutto immotivata, del comandante generale delle Fiamme gialle.
Così con un atto di prepotenza senza precedenti (e che non è escluso che faccia la stessa fine della destituzione del rappresentante del Tesoro nel consiglio Rai, sospeso da una delibera del Tar) che suona oltraggio a un corpo dello stato, si è bilanciata una rinuncia richiesta a Visco che, se ingiustificata, è altrettanto arrogante.
Che cosa ha guadagnato Prodi da questo blitz? Forse la sicurezza di non andare in minoranza tra dieci giorni. Ma nella maggioranza oggi tutti sanno che basta che mezza dozzina di senatori minaccino la dissidenza perché Prodi sia costretto a operazioni al limite dell’incredibile.
E’ un esempio che, è facile prevederlo, troverà molti imitatori. Quello che bisognerebbe evitare è che per evitare di cadere nelle numerosissime trappole che si stanno apprestando sul suo percorso finale, Prodi produca altri danni istituzionali.
Destituire il comandante generale della Guardia di finanza per recuperare due o tre voti al Senato è un esempio di questi sfregi alle istituzioni che potrebbero, anch’essi, ripetersi.

da Il Foglio, 2 Giugno 2007

see u,
Giangiacomo

1 commento:

G. ha detto...

Il Foglio 7.6.2007

Miseria politica di un tecnico

La requisitoria stizzita di Tps è pessima panna montata su una torta marcia

Il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, è andato ieri in Senato a leggere una stizzita requisitoria durissima contro un generale della Repubblica, accusato di quanto di peggio può essere accusato un militare che il governo voleva nientemeno mandare alla Corte dei conti. Doveva spiegare perché, per le pressioni della stampa e di parte della stessa maggioranza, il generale Speciale è stato rimosso dall’incarico e la delega sulle Fiamme gialle è stata temporaneamente sottratta al viceministro Vincenzo Visco. Doveva spiegare i fatti, se ci sono state o no pressioni per nomine e spostamenti di ufficiali. Padoa-Schioppa, invece, smettendo i panni del borghese mite e indossando quelli del vice del suo vice, ha praticamente denunciato un agglomerato oscuro, opaco: Speciale “ha tenuto un comportamento inqualificabile, ha mostrato una gestione personalistica del Corpo, con gravi manchevolezze di trasparenza e comunicazione al punto tale che le Fiamme gialle sono arrivate a diventare un corpo separato”, ha detto il ministro. Per questo lo stesso Speciale meritava la Corte dei conti? No, professor Padoa-Schioppa, gettare lì parole come “opacità”, “scarsa lealtà”, scomodare Eraclito e MacArthur, per poi portare come prova regina i troppi encomi del generale Speciale al suo attendente di campo su cui peraltro pende “un procedimento per falso” è panna montata su una torta marcia, è robaccia buona per qualche campagna di stampa del circo mediatico-giudiziario, è la presunta autorità di un tecnico prestata alla politica del proprio Botteghino. Sono i muscoli arroganti mostrati da una maggioranza senza idee, equilibrio e serietà; è la voce urlata di un bravo economo che di solito sussurra in qualche board di istituti finanziari.
In un paese più o meno normale ci vuole lo spessore politico e l’equilibrio istituzionale per spiegare le scelte più controverse. In un paese più o meno normale non si accusa con slogan in Parlamento un generale per ottenere il plauso di qualche corsivista giustizialista e per tentare di placare i malumori dei pezzi più barricadieri della stessa maggioranza di governo. In un paese più o meno normale non si rimuove un generale offrendogli un posto, magari in cambio di qualche problema di comunicazione in meno, per poi squalificarlo se non sta al gioco. Ma la serietà, presidente Prodi, non è andata al governo e il paese, ministro D’Alema, non sta certo diventando normale.

see u,
Giangiacomo