Due fatti recenti hanno messo in luce le capacità di iniziativa del mondo sociale italiano. Uno è il Family Day, di cui si è già molto parlato. L’altro è riportato dal Centro ricerche e documentazione economica e finanziaria. E’ stato rilevato che la netta maggioranza dei contribuenti italiani (15.854.201 su un totale di 26.391.595 dichiarazioni) ha devoluto il 5 per mille. In contesto le Onlus hanno fatto la parte del leone: le preferenze a loro favore sono state 9.418.595. Si può affermare che è stato un plebiscito a favore di una welfare society, e quindi di una sussidiarietà in atto, contro i rigurgiti e i pregiudizi ideologici a favore dello statalismo che permangono in molti editorialisti, politici, intellettuali.
Eppure, altri dati ci mostrano che i due fatti citati possono essere una sorta di fioritura senza radici, segno di una tensione verso una positività che non poggia spesso su una solidità umana speciale. Per esempio, i risultati di un’indagine presentata dalla Rete europea dell’Istituto di Politica familiare il 9 maggio scorso al Parlamento europeo, dicono che i matrimoni sono in enorme calo: il loro numero tra il 1980 e il 2005 nei 27 Paesi europei, è sceso del 22,3%. I divorzi e le separazioni sono cresciute del 55% fino a una media di uno ogni 30 secondi.
Dal 1980 al 2005 si contano 13.753.000 fallimenti matrimoniali con il coinvolgimento di 21 milioni di figli. Ancora, nel 2004 ci sono stati 1.235.517 aborti (uno ogni 25 secondi): l’aborto è diventato la principale causa di mortalità, ben al di là di incidenti stradali, infarti, tumori.
E l’Italia in queste graduatorie purtroppo spesso compare ai primi posti. Si potrebbe obiettare che questo riguarda gli “altri”. E’ una pura illusione: sia perché i dati sulla famiglia riguardano anche parte del popolo del Family day o del 5 per mille, sia soprattutto perché la storia e l’esperienza personali ci hanno insegnato a diffidare di quel manicheismo che fa sentire a posto perché attribuisce il male sempre e solo agli altri.
Non ci si può accontentare di motivazioni sociologiche, economiche, tanto meno politiche: c'è bisogno di una quotidiana "educazione del popolo", di esperienze vissute in maniera creativa in cui si riscopra il significato di rapporti tra persone e cose, dettato dal desiderio di dare risposte al bisogno di verità, bellezza, giustizia che alberga nel cuore dell'uomo.
C'è bisogno di opere che esprimano questo desiderio, di corpi sociali dove nascano forme di vita nuova per l'uomo.
Illudersi che possa esserci una consistenza che non si basi su questo lavoro educativo significa rifare gli errori commessi da chi, nella Prima Repubblica, ha pensato che l'impegno dei cattolici si esaurisse in forma partitiche, smettendo di educarsi e di costruire alla base della società.
L'appello "al più società meno stato", lanciato da don Giussani a partire dal discorso della Dc lombarda 20 anni fa, è oltre modo attuale.
see u,
Giangiacomo
Eppure, altri dati ci mostrano che i due fatti citati possono essere una sorta di fioritura senza radici, segno di una tensione verso una positività che non poggia spesso su una solidità umana speciale. Per esempio, i risultati di un’indagine presentata dalla Rete europea dell’Istituto di Politica familiare il 9 maggio scorso al Parlamento europeo, dicono che i matrimoni sono in enorme calo: il loro numero tra il 1980 e il 2005 nei 27 Paesi europei, è sceso del 22,3%. I divorzi e le separazioni sono cresciute del 55% fino a una media di uno ogni 30 secondi.
Dal 1980 al 2005 si contano 13.753.000 fallimenti matrimoniali con il coinvolgimento di 21 milioni di figli. Ancora, nel 2004 ci sono stati 1.235.517 aborti (uno ogni 25 secondi): l’aborto è diventato la principale causa di mortalità, ben al di là di incidenti stradali, infarti, tumori.
E l’Italia in queste graduatorie purtroppo spesso compare ai primi posti. Si potrebbe obiettare che questo riguarda gli “altri”. E’ una pura illusione: sia perché i dati sulla famiglia riguardano anche parte del popolo del Family day o del 5 per mille, sia soprattutto perché la storia e l’esperienza personali ci hanno insegnato a diffidare di quel manicheismo che fa sentire a posto perché attribuisce il male sempre e solo agli altri.
Non ci si può accontentare di motivazioni sociologiche, economiche, tanto meno politiche: c'è bisogno di una quotidiana "educazione del popolo", di esperienze vissute in maniera creativa in cui si riscopra il significato di rapporti tra persone e cose, dettato dal desiderio di dare risposte al bisogno di verità, bellezza, giustizia che alberga nel cuore dell'uomo.
C'è bisogno di opere che esprimano questo desiderio, di corpi sociali dove nascano forme di vita nuova per l'uomo.
Illudersi che possa esserci una consistenza che non si basi su questo lavoro educativo significa rifare gli errori commessi da chi, nella Prima Repubblica, ha pensato che l'impegno dei cattolici si esaurisse in forma partitiche, smettendo di educarsi e di costruire alla base della società.
L'appello "al più società meno stato", lanciato da don Giussani a partire dal discorso della Dc lombarda 20 anni fa, è oltre modo attuale.
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Giangiacomo
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