lunedì 1 ottobre 2007

Benedetta ingerenza in Birmania

Suore e monaci buddisti capeggiano la rivolta contro la giunta militare

Migliaia di monaci buddisti, ora seguiti dalle loro consorelle, stanno mettendo il regime militare birmano davanti alla prova più severa che abbia mai dovuto superare.
Dando corpo e visibilità alla protesta diffusa nel paese per la negazione delle principali libertà, a cominciare da quella politica e d’espressione, i monaci rendono evidente l’intrinseca debolezza di un sistema tecnocratico che puntava a far prevalere i successi economici come metro su cui valutare l’idoneità del governo ad affrontare i problemi della Birmania.
Nonostante un richiamo, per la verità piuttosto flebile e formale delle massime autorità religiose buddiste, inefficace anche perché privo di qualsiasi minaccia di sanzioni, gli uomini e le donne che sono usciti dai conventi per mettersi in marcia con il loro popolo svolgono un’attività politica coraggiosa e profondamente coinvolgente. Nessuno può dire, ora, se da qui prenderà l’avvio il percorso che porta alla caduta del regime oppure se si aprirà una nuova fase di repressione ancora più dura.
E’ comunque indiscutibile che la pretesa dei militari di esercitare un mandato della popolazione d’ora in poi non sarà più sostenibile, che le pressioni internazionali, a cominciare da quelle sempre più esplicite degli Stati Uniti, diventeranno più corpose, che la delegittimazione di un governo che si regge esclusivamente sul monopolio della forza è ormai completa.
Nessuno mette in discussione, nel mondo democratico, il valore della rivolta dei monaci birmani per la libertà, nessuno li richiama all’esigenza di non interferire con le scelte politiche che non dovrebbero mai essere confuse con la religione. Questo, naturalmente, dipende dal fatto che l’assenza di libertà giustifica ogni iniziativa tesa a instaurarla.
Pone però una domanda, soprattutto ai censori di professione delle “ingerenze” religiose: dov’è il confine al di là del quale agli uomini di fede è lecito far pesare la loro opinione nel discorso pubblico? Solo nelle dittature militari?


see u,
Giangiacomo

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