lunedì 16 aprile 2007

L'autoisolamento di una comunità

Samuel Huntington si è sempre molto stupito che del suo libro del 1996 Lo scontro delle civiltà si parli sempre e soltanto a proposito di islam. In realtà, scrivendo diversi anni prima dell'11 settembre 2001 Huntington pensava che, per quanto grave sia il problema islam, il maggiore scontro di civiltà del XXI secolo sarebbe stato fra l'Occidente e il mondo cinese. I fatti di Milano gli danno ragione?
Cinesi e musulmani, pure così diversi, hanno in comune un complesso di superiorità. Ai musulmani il Corano assicura che sono la migliore nazione che sia mai apparsa sulla scena della storia. Tra i cinesi è radicata la convinzione che la parola «cultura» abbia veramente senso solo se applicata alla cultura cinese.
Le somiglianze, tuttavia, si fermano qui. Molti musulmani esprimono l'idea della superiorità religiosa attraverso una forte visibilità, attiva e politica, che talora degenera in violenza. Per i cinesi la superiorità è culturale ed economica, e si traduce non in presenza ma in assenza dalla comunità che li ospita, nei cui confronti è elevata la barriera della separatezza.
I cinesi in Italia sono presenti fin dal 1920, quando vennero a Milano alcuni fra coloro che la Francia aveva reclutato in Cina per sminare i campi della Prima guerra mondiale. Ma solo dal 1980 il fenomeno è diventato di massa, come conferma una ricerca in corso di cui chi scrive è condirettore e che coinvolge diversi sociologi dell'Università di Torino.
Anche senza contare i clandestini (difficili da trovare: nell'ultimo anno su 5.000 espulsioni solo 71 hanno riguardato cinesi), gli immigrati regolari cinesi in Italia (114.000) rappresentano un record nell'Unione Europea. La Gran Bretagna ne ha 70.000, la Francia - dove contro i cinesi, i cui negozi sono accusati di concorrenza sleale, sono spesso scoppiati tumulti - solo 30.000. Un quarto degli immigrati cinesi nell'Unione Europea si concentra in Italia: e di questi il 23,4% vive in Lombardia e il 23,3% in Toscana, anche se comunità come Torino e Napoli sono in forte crescita. È una presenza coesa, perché la maggior parte degli immigrati viene da due regioni, lo Zhejiang e il Fujian. Con l'immigrazione di massa sono aumentati anche il traffico di clandestini e la presenza della criminalità organizzata cinese in Italia, già confermata da sentenze definitive.
I cinesi sono gli immigrati con il maggiore reddito medio e la più alta percentuale di proprietari di immobili e di imprenditori (anche se alcuni hanno solo un banchetto al mercato). Dati che farebbero pensare a un'alta integrazione: ma non è così. La comunità, come ha detto un intervistato nella nostra ricerca sociologica, mette in atto «meccanismi di autoisolamento»: per ragioni culturali ma anche a protezione di reti economiche di cui non si vuole che gli estranei si occupino troppo. La speranza d'integrazione sta nei giovani che vanno a scuola, e arrivano anche all'università: anche qui riescono meglio degli altri immigrati, ma spesso sono ostacolati dalle famiglie che preferiscono richiamare in negozio un prezioso lavorante. L'integrazione degli immigrati cinesi non è impossibile. Occorre tuttavia una politica intelligente e ferma, che - come ha detto a Milano il sindaco Moratti - non tolleri le Chinatown come «zone franche», di cui s'impadronirebbe subito la criminalità organizzata, governi i numeri dell'immigrazione senza aperture indiscriminate, e convinca i cinesi che chi reclama diritti deve fare lo sforzo culturale di capire e accettare anche i relativi doveri.


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Giangiacomo

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