giovedì 1 marzo 2007

Patto generazionale: lasciare il potere a 60 anni

Da Cuperlo a Meloni, da Floris a Profumo, il lungo elenco di coloro che hanno sottoscritto l'appello

Uscire di scena a sessant'anni, lasciando "da vincitori, senza che l'incedere del tempo, le dinamiche della societa' o la salute" ti costringano a farlo. Lasciare a altri il proprio posto direttivo, decidendolo ora, per dedicarsi alla formazione professionale dei giovani e favorendo un ricambio generazione, tanto auspicato, quanto puntualmente rimandato. E' l'obiettivo a cui punta l'appello promosso da Luca Josi, quarantenne, ex dirigente politico socialista e oggi manager in un grande gruppo editoriale scientifico che, dopo aver sentito per due decenni invocare la necessita' del 'ricambio', dello svecchiamento dell'establishmet pubblico e privato, ha deciso di rompere gli indugi e passare all'azione. Per un anno e mezzo ha lavorato intorno a un progetto: fare spazio ai giovani, eliminando la gerontocrazia nelle classi dirigenti. ''Mi pare un segnale formidabile per i gerontocrati ed ex sessantottini che tengono in ostaggio la vita politica italiana:un modo di far sapere, alle prossime generazioni, che almeno loro non saranno ne' un problema ne' un tappo sul loro futuro'', ha commentato oggi Filippo Facci in prima pagina sul 'Giornale' diretto da Maurizio Belpietro.
"Da una parte - scrive Josi nella premessa dell'appello- e' vero che una classe dirigente il potere se lo conquista, e che e' difficile che gli anziani lascino il posto spontaneamente ai cosiddetti giovani. Ma ho anche pensato che dietro questa fisiologica esigenza di ricambio, da parte mia o nostra, possa nascondersi un atteggiamento molto italiano per cui si chiedono cose che poi non domanderemo a noi stessi; chiedere ricambio generazionale, ossia, ma senza garantire che un domani, quando tocchera' a me, sapro' comportarmi di conseguenza".
Ora si cerca di passare dalle parole ai fatti. "Il 15 marzo faremo un'iniziativa pubblica a Roma -ha aggiunto Josi- per spiegare cosa vogliamo fare e come intendiamo attuarlo". Si parte da una certezza: "Non credo all'obbligo imposto da una legge. Mi piacerebbe che partisse un 'movimento generazionale', di gente convinta che, ad un certo punto, e' giusto lasciare il passo per dedicarsi ad altro. Parliamo di una scelta privata, di una convinzione intima e personale che non puo' essere forzata dalla legge dello Stato".
"L'appello -aggiunge Josi- non pretende di impegnare le generazioni che ci precedono e che oggi figurerebbero gia' fuori quota, perche' e' giusto o normale che la loro uscita di scena sia fisiologica. In molti casi si tratta di una gerontocrazia che ha contribuito all'esistenza di generazioni come le nostre, che talvolta hanno rimosso ogni avventura di responsabilizzazione e che sono cresciute nell'idea di essere ancora giovani a quarant'anni. E noi non possiamo sapere se tra dieci o venti anni cadremo nello stesso inganno, ma un segno possiamo darlo subito. E potrebbe essere un segno importante".
"Sentirsi insostituibili -prosegue Josi- e' una debolezza umana. Noi non possiamo sapere se tra dieci o venti anni cadremo nello stesso inganno, ma abbiamo la possibilita' di pensare, sin da oggi, a uno strumento che ci impedisca di interpretare a nostra volta un ruolo civilmente malsano. Sappiamo che un'indubbia gerontocrazia ha dato vita a generazioni che hanno rimosso e allontanato ogni avventura di responsabilizzazione, e che sono cresciute nell'idea di essere ancora giovani, ancora protette e inadeguate, magari all'eta' di quarant'anni".
"Chi di noi -domanda Josi- quindi, coerentemente a quando chiede ricambio e competitivita', e' disposto, oggi, a sottoscrivere un patto che lo impegni, raggiunta l'eta' dei 60 anni, a lasciare o non accettare un ruolo di leadership (cariche primarie della politica e dell'economia) continuando ad offrire il suo impegno nei ruoli di vice, di numero due, di saggio, di consulente o di qualsiasi altra posizione che consenta alla societa' di avvantaggiarsi e non disperdere la sua esperienza?".
Al 'patto' promosso da Luca Josi hanno gia' aderito: Federico Berruti (Sindaco di Savona, DS), Sandro Bicocchi (Compagnia delle Opere), Riccardo Bocca (L'Espresso), Italo Bocchino (Alleanza Nazionale), Francesco Bonami (gia' direttore Biennale di Venezia, museo arte contemporanea Chicago, Vanity Fair), Laura Castelletti (Presidente Consiglio Comunale Brescia), Fabio Corsico (Gruppo Caltagirone), Angelo Crespi (Il Domenicale), Edoardo Caovilla (Caovilla) Daniele Capezzone (Radicali), Gianni Cuperlo (DS, gia' segretario giovani comunisti), Giuliano Da Empoli (Marsilio e Zero), Federico De Rosa (Corriere della Sera) Filippo Facci (Mediaset, Il Giornale).
E poi Giovanni Floris (RAI), Marco Follini (Italia di Mezzo), Giorgio Gori (Magnolia), Simone Guerrini (Finmeccanica, gia' segretario Giovani Democristiani), Rula Jebreal (RAI, La7), Maria Latella (Anna), Gad Lerner (La7), Matteo Marzotto (Marzotto), Giorgia Meloni (Azione Giovani), Paolo Messa (Formiche), Chiara Moroni (Forza Italia), Alessandro Profumo (UniCredit), Riccardo Pugnalin (British American Tobacco), Sabina Ratti (Fondazione Mattei), Patrizia Ravaioli (Lega Italiana Lotta Tumori), Giuseppe Recchi (General Electric), Matteo Renzi (Presidente Provincia Firenze), Antonio Romano (Area), Ivan Scalfarotto (Citigroup), Luisa Todini (Todini), Silvia Vaccarezza (RAI), Francesco Valli (British American Tobacco), Alberto Versace (Ministero del Tesoro).
adnkronosUn Patto generazionale La notizia potrebbe sembrare che personaggi come Alessandro Profumo, Matteo Marzotto, Giovanni Floris, Marco Follini, Italo Bocchino, Gianni Cuperlo e Giorgio Gori hanno deciso che entro i 60 anni si dimetteranno da eventuali cariche istituzionali. Ma è qualcosa di meglio: un gruppo trasversale di persone di varia estrazione politica e professionale, su idea dell'imprenditore ex-politico Luca Josi, ha deciso di siglare un Patto generazionale nel quale sottoscrivere l'impegno a lasciare o non accettare ruoli di leadership istituzionale una volta raggiunti i 60 anni. Non si tratta di andare all'ospizio, ma di continuare a offrire il proprio apporto in qualità magari di vice, consulente, numero due, qualsiasi posizione che consenta alla società di avvantaggiarsi di un'esperienza senza disperderla.
Si parla ovviamente di politica o economia pubblica, e mi pare un segnale formidabile per i gerontocrati ed ex sessantottini che tengono in ostaggio la vita politica italiana: un modo di far sapere, alle prossime generazioni, che almeno loro non saranno né un problema né un tappo sul loro futuro. Ci hanno messo la firma in tanti, e trasversalmente: non avrei mai pensato di ritrovarmi in un Patto assieme a Gad Lerner, per dire. Ma chissà, forse anche così, un giorno, avremo un governo guidato da un quarantenne con vent'anni di responsabilità davanti a sé. Come Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti. giornale.itL'APPELLO DI LUCA JOSIMi chiamo Luca Josi.
Ho quarant'anni, ho due figlie da due matrimoni, ho due vite professionali ormai distanti tra loro ma sono ormai ventun anni che ricevo inviti per partecipare a convegni sul ricambio generazionale. Forse è per questo che quando parlo con uno straniero, e mi scappa imperdonabilmente un "noi giovani", rischio di passare per dislessico.
Da una parte è vero che una classe dirigente il potere se lo conquista, è che è difficile che gli anziani lascino il posto spontaneamente ai cosiddetti giovani. Ma ho anche pensato che dietro questa fisiologica esigenza di ricambio, da parte mia o nostra, possa nascondersi un atteggiamento molto italiano per cui si chiedono cose che poi non domanderemo a noi stessi; chiedere ricambio generazionale, ossia, ma senza garantire che un domani, quando toccherà a me, saprò comportarmi di conseguenza.
Perciò ho scritto l'appello che vi chiedo di leggere, e che è appunto sconta il linguaggio giocoforza ampolloso e un po' aulico di tutti gli appelli. Molti l'hanno già firmato così com'è, dunque lo lascio intatto nella sua sostanza. Il tema non è ideologico ma appunto generazionale, e sto provando a coinvolgere persone dalle esperienze e dagli orientamenti più diversi. E' un modo di far sapere, alle generazioni successive, che il problema del loro futuro, la coperta o il tappo, non saremo noi.
L'appello non ha la velleità di voler pregiudicare a un'intera generazione tutti gli scranni dell'universo mondo, ma impegna circa una manciata di incarichi istituzionali perlopiù pubblici. Riguarda, in pratica, la decina o quindicina di incarichi posti ai vertici della politica di un Paese. Difatti il privato, il mondo dell'impresa soprattutto multinazionale, non ha bisogno di appelli come questo: si è già regolato di conseguenza e già sa quanto il ricambio generazionale sia semplicemente una necessità e un investimento. L'appello, pure, non pretende di impegnare le generazioni che ci precedono, e che oggi figurerebbero già fuori quota, perchè è giusto o normale che la loro uscita di scena sia fisiologica. In molti casi si tratta di una gerontocrazia che ha contribuito all'esistenza di generazioni appunto come le nostre, che talvolta hanno rimosso ogni avventura di responsabilizzazione e che sono cresciute nell'idea di essere ancora giovani a quarant'anni. E noi non possiamo sapere se tra dieci o venti anni cadremo nello stesso inganno, ma un segno possiamo darlo subito. E potrebbe essere un segno importante.Ciò che desidero è ovviamente che tu possa sottoscrivere e firmare l'appello che qui segue, ma in qualsiasi caso mi piacerebbe avere la tua opinione.Grazie.
Un Patto
Una comunità è viva quando condivide un sentimento, una missione, quando si riconosce in una chiamata. Una comunità, assieme al piacere di ritrovarsi, può condividere una responsabilità che tuttavia la obbliga ad un impegno, ad un programma per chi verrà: non per decidere del destino altrui, ma per offrire il proprio.
Sentirsi insostituibili è una debolezza umana che col passare degli anni confonde molti uomini, e si tenta invariabilmente di allungare l'esistenza e di negarne le età. Noi non possiamo sapere se tra dieci o venti anni cadremo nello stesso inganno, ma abbiamo la possibilità di pensare, sin da oggi, a uno strumento che ci impedisca di interpretare a nostra volta un ruolo civilmente malsano.
Sappiamo che un'indubbia gerontocrazia ha dato vita a generazioni che hanno rimosso e allontanato ogni avventura di responsabilizzazione, e che sono cresciute nell'idea di essere ancora giovani, ancora protette e inadeguate, magari all'età di quaranta anni. E' in questo modo che una società, come figlia di genitori morbosamente protettivi, non si sviluppa e ritarda il suo confronto con la realtà al pari di un adulto privo di adolescenza.
Per questo, forse, può servire accendere nel nostro Paese un comportamento, un'attitudine e obbligare una generazione a svegliarsi. Darle un segno per spiegare che il problema del suo futuro, la coperta o il tappo, non saremo noi.
Per poter cambiare, dunque, serve il tuo e nostro esempio che trasformi in realtà una necessità. Se tu non sarai il primo a farlo, non potrai pretendere che altri lo facciano per te. Non potrai chiedere ad altri un impegno che per te non vale. Perciò serve un gesto, uno strappo, forse una rinuncia.
Chi di noi, quindi, coerentemente a quando chiede ricambio e competitività, è disposto, oggi, a sottoscrivere un patto che lo impegni, raggiunta l'età dei 60 anni, a lasciare o non accettare un ruolo di leadership (cariche primarie della politica e dell'economia) continuando ad offrire il suo impegno nei ruoli di vice, di numero due, di saggio, di consulente o di qualsiasi altra posizione che consenta alla società di avvantaggiarsi e non disperdere la sua esperienza?
Guerre e tragedie, ad altre generazioni, hanno rapito il domani. Noi abbiamo avuto molto, e, se anzichè chiedere saremo pronti a dare, ad autolimitare a soli altri vent'anni la finestra del nostro potenziale primato, tutto ciò richiamerà all'obbligo di crescere chi giovane lo è ancora davvero.
Una comunità che diventa leader anticipa il cambiamento, anticipa un futuro passo indietro per obbligare altri a farne in avanti. Così vivono le nazioni che emergono, che esplorano: dove l'errore è lecito perchè si cresce provando, mettendo alla prova nuovi talenti.
Forse così, senza stupore, un giorno avremo un governo guidato da un quarantenne come Stati Uniti, Gran Bretagna o Spagna. Un quarantenne con vent'anni di responsabilità avanti a sè.
ADERISCI AL PATTO GENERAZIONALE

see u,
Giangiacomo

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Quarantenni e leader. Giurano di togliersi dai piedi entro i sessanta
Il Foglio 2 febbraio 2007

Milano. Stanno studiando anche il logo,
ma su questo sembrano un po’ in altomare.
Per il resto sono decisi. Hanno preso coscienza
del fatto che “un’indubbia gerontocrazia
ha dato vita a generazioni che hanno
rimosso e allontanato ogni avventura di responsabilizzazione”,
vogliono un mondo in
cui nessuno si senta più insostituibile, perché
“sentirsi insostituibili è una debolezza
umana che col passare degli anni confonde
molti uomini”. Così hanno fatto una promessa:
noi a sessant’anni ce ne andremo. Si
chiama “Patto generazionale”, al momento
è un appello che gira informalmente da
qualche settimana tra quarantenni dotati di
ragionevole aspettativa di successo, e intenzionati
a dare il buon esempio preventivo in
tema di ricambio generazionale.
A promuovere l’iniziativa un quarantenne
che della sua aspettativa di successo ha
già cominciato a fare raccolto, Luca Josi, imprenditore
televisivo: “Ho quarant’anni, ho
due figlie da due matrimoni, ho due vite professionali
ormai distanti tra loro ma sono ormai
ventun anni che ricevo inviti per partecipare
a convegni sul ricambio generazionale”,
spiega. Ma il ricambio generazionale
non l’ha visto nessuno. Allora ha buttato giù
un appello: “Chi di noi, coerentemente a
quando chiede, ricambio e competitività, è
disposto, oggi, a sottoscrivere un patto che lo
impegni, raggiunta l’età dei 60 anni, a lasciare
o non accettare un ruolo di leadership
(cariche primarie della politica e dell’economia)
continuando a offrire il suo impegno
nei ruoli di vice, di numero due, di
saggio, di consulente o di qualsiasi altra posizione
che consenta alla società di avvantaggiarsi
e non disperdere la sua esperienza?”.
Per ora ha raccolto una cinquantina di
adesioni: alcuni quaranta-cinquantenni che
“ruoli di leadership” occupano già, parecchi
che per quei “ruoli” vantano una discreta
aspettativa, più un fiero manipolo di “volenterosi”
che, in nome del principio e dell’altruismo,
ha messo la firma su un appello che
potrebbe anche non riguardarli tra un paio
di decenni. Protagonisti del mondo economico
come Alessandro Profumo, Matteo
Marzotto, Giorgio Gori; intellettuali come
Francesco Bonami e Andrea Romano; politici
“freshmen” o già consumati come Daniele
Capezzone, Marco Follini, Chiara Moroni,
Gianni Cuperlo. E un manipolo di giornalisti,
da Maria Latella a Gad Lerner, da
Giovanni Floris a Rula Jebreal, da Filippo
Facci a Daniele Bellasio.
L’importante è il concetto che i promotori
del patto generazionale intendono far
passare: stimolare i giovani a prendersi le
proprie responsabilità: “Noi abbiamo avuto
molto, e, se anziché chiedere saremo pronti
a dare, ad autolimitare a soli altri vent’anni
la finestra del nostro potenziale primato,
tutto ciò richiamerà all’obbligo di crescere
chi giovane lo è ancora davvero”. Un patto,
esattamente. Come quelli che in altri paesi
impegnano i candidati a qualsiasi carica
pubblica fin nelle minuzie. E che vengono
poi fatti puntualmente rispettare. Può funzionare?
Fra i “candidati” che sono stati finora
contattati, si sono raccolti anche rifiuti
di principio, con motivazioni metodologiche:
quale senso ha impegnarsi ora su
un’opzione non verificabile per il futuro? A
rigor di logica, potrebbero aderire a un tale
patto soltanto coloro che già oggi occupano
posizioni di leadership.
Evidente che l’idea di Luca Josi contenga
un aspetto di provocazione intellettuale. Che
non sfugge di certo a uno studioso appassionato
dei processi di mobilità sociale come
Maurizio Sacconi, già sottosegretario al Lavoro
e autore, con Michele Tiraboschi, del libro
“Un futuro da precari?” in cui poneva,
seppure in altra prospettiva, lo stesso problema
della mobilità e dell’accesso alla responsabilità
dei giovani. Ma proprio per
prendere sul serio la provocazione intellettuale
del Patto, Sacconi preferisce ribaltarlo:
“Di mobilità sociale abbiamo disperatamente
bisogno, proprio per non condannare
un’altra generazione alla non-maturazione.
Ma non credo minimamente che questo si
possa ottenere imponendo dei ‘tetti’, per
quanto volontari siano: all’età di pensione, a
lasciare la carica, eccetera. Non è il metodo”.
Sacconi concorda sulla necessità di non
perpetuare la gerontocrazia, anche se – la
butta in politica – “bisognerebbe saltarne
due di generazioni, quella che sta arrivando,
quella dei 50enni cresciuti negli anni 70, è la
peggiore”. Il punto da battere è però il “nichilismo
del prepensionamento, il posticipo
continuo della responsabilità. Ma l’ascensore
sociale va azionato dal basso, dall’alto
non funziona. Nemmeno Tony Blair, giunto
al dunque, ha voglia di lasciare”. (m.c.)

G. ha detto...

è di pochi giorni fa una dichiarazione, ipocrita, di Prodi...

"Non siamo noi adulti il problema, la colpa è dei giovani che non si
fanno largo..."

see u,
Giangiacomo