Il balletto dei politici di centro-sinistra intorno all'intervento del cardinale Bertone a Rimini - che ha definito un dovere «pagare le tasse», ma a condizione che corrispondano a «leggi giuste» - per cercare di dimostrare che in realtà il segretario di Stato vaticano voleva dare ragione a loro ha davvero raggiunto il colmo dell'ipocrisia con la dichiarazione vacanziera di Prodi, il quale si è detto «d'accordo su tutto» con il porporato. Come già a proposito delle uscite su Hamas e sui Rom, il gioco dell'estate è capire se il premier «ci è» o «ci fa». Ma siccome il cardinale Bertone ha fatto ampi riferimenti nel suo discorso alla dottrina sociale della Chiesa, che Prodi conosce, è difficile stavolta accordargli la buona fede.
Su quali leggi fiscali siano «giuste» il patrimonio di documenti pontifici noto come dottrina sociale della Chiesa non è avaro d'indicazioni, anzi è molto preciso. Fa riferimento a tre principi: solidarietà, moralità e sussidiarietà. Il principio di solidarietà è quello secondo cui tutti devono contribuire al bene comune, specie a vantaggio dei più deboli e dei più poveri, e non è lecito tirarsi indietro per ragioni egoistiche. Qui si situa la tradizionale critica cattolica dell'evasione fiscale, dove tra l'altro la parola «evasione» assume anche un significato analogo a quello che ha in espressioni come «letteratura di evasione» e simili. La Chiesa condanna una mentalità in cui non solo e non tanto si evadono le tasse, ma - nei casi di leggi ingiuste e di governi iniqui - si finge di poter evadere dalle tasse, rifugiandosi in una immaginaria dimensione «apolitica» dove l'evasione fiscale, come mentalità e come costume, è alternativa rispetto a una più consapevole ed efficace «protesta fiscale». Più che «evadere» individualmente, di fronte a forme di persecuzione fiscale il cittadino consapevole dovrebbe protestare collettivamente e operare per far cessare la persecuzione cambiando il governo.
La critica dell'evasione - nei due sensi del termine - si accompagna però alla condanna delle «leggi ingiuste». Qui entrano in gioco gli altri due principi. Per il principio di moralità il governo che chiede tasse elevate deve dimostrare di spendere il denaro pubblico secondo altrettanto elevati principi morali e criteri di oculatezza. Diversamente, il suo diritto alla solidarietà dei cittadini viene meno e, come insegnava Giovanni Paolo II, «il crollo della moralità porta con sé il crollo della società». Per il principio di sussidiarietà, cui i governi sono - sempre secondo Papa Wojtyla - «gravemente obbligati ad attenersi», lo Stato non deve assorbire attività e risorse che non gli competono e che una corretta valutazione del bene comune indurrebbe a lasciare ai privati. Se lo Stato non rispetta questo principio, nasce lo statalismo che - secondo la classica e ancora valida formula di Pio XII - è «l'estensione smisurata dell'attività dello Stato, dettata da ideologie false e malsane, che fa della politica finanziaria, particolarmente della politica fiscale, uno strumento al servizio di preoccupazioni di un ordine diverso».
Il governo Prodi rispetta il principio di moralità spendendo con giustizia e senza sprechi? Rispetta il principio di sussidiarietà ripudiando le politiche stataliste e illiberali tipiche dell'estrema sinistra? Prodi sa che la risposta è «no», e che questo «no» fa sì che le sue leggi fiscali non siano, dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa, le «leggi giuste» evocate dal cardinale Bertone.
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Giangiacomo
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