mercoledì 2 gennaio 2008

La forza che viene dall'Interno

Quando Nicolas Sarkozy ha pensato di avere un progetto riformatore per il suo paese, e ha deciso la “rupture”, si è installato al ministero dell’Interno e non ne è più uscito fino a un mese prima delle elezioni presidenziali. Sarkozy ha fatto un uso apertamente politico, senza che alcuno se ne scandalizzasse, della decisiva funzione che svolgeva nel governo, anche in autonomia dall’Eliseo e da Matignon, la sede del debole primo ministro. Da place Beauvau ha parlato ai francesi, li ha guidati nella rivolta delle banlieue, li ha rassicurati, ha fissato i criteri che contano nella politica dell’immigrazione e del confronto con culture e religioni organizzate in comunità che assommano al 15 per cento dei cittadini della République, ha rischiato e ha vinto. Da noi il ministero dell’Interno è la casa di riposo degli anziani autorevoli della Repubblica, in Francia è l’incubatrice delle grandi carriere repubblicane. La differenza c’è e si vede.È inutile stare a precisare che Giuliano Amato è degno di rispetto e fa il suo lavoro con scrupolo, anche quando sbaglia. Inutile confermare che i suoi lontani predecessori come Giorgio Napolitano o Rosa Russo Iervolino, e anche quelli più recenti come Beppe Pisanu, hanno avuto il talento dell’impeccabilità. Niente di personale, quindi. Ma in Europa e in Italia il ministero dell’Interno, che in Spagna si chiama o si chiamava addirittura ministero della Gubernación, è cruciale, strategico.Una volta a Roma era il capo dell’esecutivo a essere ospite del Viminale, prima che la scrivania del presidente del Consiglio fosse traslocata a Palazzo Chigi. E ci sono stati casi celebri in cui la figura del capo dell’esecutivo coincise con quella del capo della sicurezza e dei prefetti. Dal Viminale si guida da sempre un apparato decisivo, l’essenza dello stato centrale, un apparato composto di prefetti, di dipartimento della pubblica sicurezza, di funzioni di coordinamento e controllo del territorio e di intelligence che sono di primaria importanza in tutti gli aspetti della vita pubblica, e di tanto in tanto perfino privata, dei cittadini. Il Viminale è il luogo dove le cose si sanno, dove si decide se farle circolare e come e quando farle circolare, è il luogo delle decisioni a tambur battente, della massima responsabilità verso le istituzioni e il patto di convivenza che le legittima, dalle operazioni di voto alla gestione degli enti locali, fino appunto alla tutela della vita civile di ogni giorno.Il modello europeo è centralista e ha negli affari interni il suo punto di virtù o di debolezza, anche a seconda di chi sia incaricato di esercitare quella delicatissima funzione.La vecchia, cara abitudine di mandare il politico esperto e anziano ma laterale, defilato rispetto alla battaglia del consenso, ha ovviamente una sua spiegazione. Vogliamo essere garantiti che non ci sarà un uso partigiano della forza, un abuso personale delle politiche pubbliche più importanti e delicate. Vogliamo che gli apparati vivano in relativa autonomia, che non diventino luogo di conflitto fazioso, che il processo decisionale elettorale sia messo in salvo rispetto a ogni possibile tentazione. Comprensibile. Ma si paga un prezzo. Un prezzo che sta diventando sempre meno sopportabile, soprattutto in una repubblica che ha dato ai sindaci e ai governatori di regione mandati esecutivi sempre più impegnativi, direttamente legittimati dal voto popolare.Un ministro dell’Interno dotato di energia e carisma politico, che abbia un progetto per il futuro del Paese e sia disposto a condividerlo in forme democratiche con la comunità nazionale, agendo con forza e lungimiranza sul terreno minato della sicurezza e del governo del territorio: ecco la soluzione dei problemi che angosciano tanti italiani, a cui (non per caso) nessuno ha ancora mai osato pensare.

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Giangiacomo

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