sabato 14 luglio 2007

Il rinvio del rinvio

Non rimandare a domani quel che potresti fare oggi. L’aforisma di Benjamin Franklin non dev’essere popolare nei palazzi romani.
Come sembra dalle ultime notizie dei quotidiani, l’interminabile trattativa sulle pensioni starebbe per concludersi con un colpo ad effetto: il rinvio del rinvio.
Cerchiamo di ricostruire in cosa consiste questo nuovo record nell’arte del procrastinare.
Nel 2004, pressato dall’Europa per i conti pubblici in disordine e incapace di completare la riforma delle pensioni come anche previsto dalla legge approvata nel 1996, il governo Berlusconi lasciò in eredità ai posteri un incremento radicale e improvviso dei requisiti anagrafici per andare in pensione, il cosiddetto scalone. Si passava da 57 a 60 anni in una sola notte, quella del 31 dicembre 2007. Il Capodanno con scalone veniva collocato nella legislatura successiva, per non dovere difendere questo provvedimento draconiano di fronte alle piazze. Sarebbe stato un problema del governo futuro. Ora si sta facendo ancora peggio: arrivati ormai a ridosso dello scalone, si intende sostituirlo con uno scalino di un anno per poi attendere fino al 2010 e decidere cosa fare riguardo agli altri scalini. Insomma lo scalone è stato trasformato in scalini differiti. Come nei film di Walt Disney, questi scalini appariranno d’incanto al momento propizio. Tornando coi piedi per terra, questo rinvio del rinvio può costare fino a 9 miliardi di euro all'anno, che dovranno essere pagati tutti dai lavoratori, più a lungo da quelli più giovani. Non ci sono ragioni tecniche che giustifichino il nuovo rinvio. Non è vero che si avrà tempo di testare i premi che si vorrebbero concedere a chi andrà in pensione più tardi. Questi incentivi (pagati ovviamente anch’essi dai lavoratori più giovani) sono già stati introdotti nella passata legislatura e, a fronte di regali consistenti concessi soprattutto ai lavoratori più ricchi, hanno solo fatto ulteriormente lievitare la spesa previdenziale. La verità è che c'è solo una logica in queste scelte, come nel Dpef varato venerdì scorso, che rimanda ogni aggiustamento dei conti pubblici al 2009: si vuole guadagnare tempo, facendo fare le scelte impopolari a qualche altro politico o sindacalista (che spesso hanno ambizioni di carriera politica). Abbiamo sperimentato ampiamente questa prassi. La riforma previdenziale del 1996 comincerà ad entrare in vigore nel 2012 e si sta facendo di tutto per farla deragliare. I cosiddetti coefficienti di trasformazione (regole di calcolo della pensione sotto il nuovo metodo contributivo) dovevano essere aggiornati nel 2005. Altra patata bollente lasciata a questo governo che la sta «rimbalzando» al prossimo. Il fatto è che c’è un problema di incoerenza temporale in ogni legge o accordo ad attuazione differita. Se si offre domani la possibilità di rinegoziare un accordo sottoscritto oggi, chi rappresenta gli interessi dei lavoratori vicini alla pensione finirà per rinnegare gli impegni già presi, anche quando questi impegni hanno la forza cogente di una legge dello Stato. Leggi o accordi di questo tipo sono pura ipocrisia. Al tavolo il sindacato non ha voluto che si sedessero i giovani. O noi o loro hanno detto i leader sindacali. Capiamo bene perché. Non facendo oggi quel che si può fare domani saranno solo loro, i giovani, a pagare. Come avviene ormai da troppo tempo in questo Paese in cui si è maestri nel disinvestire sul futuro.

see u,
Giangiacomo

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