giovedì 18 settembre 2008

Trattativa Alitalia

L’irresponsabilità di molti lavoratori, l’arroccamento dei privilegiati, l’ideologia dei sindacati...Speriamo che la vicenda almeno insegni dove conduce quell’economia in cui le aziende sono dello Stato: immani sprechi, schiere di intoccabili, posto assicurato, nessuna produttività.Ma prima o poi...

Lavoro o sindacato?
"Gli effetti economici del potere sindacale erano già penosamente chiari. I salari aumentavano eccessivamente mentre le prospettive aziendali precipitavano con l'inizio della recessione" (diario di Margaret Thatcher nei primi giorni del suo governo, 1979).
Work or trade-union?
"The economic results of trade-union power were already painfully clear. The salaries increased excessively whilst the corporate perspectives fell over with the beginning of the recession" (Margaret Thatcher's diary in the first days of her government, 1979).

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Giangiacomo

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Geminello ALVI
Sarkozy. E lui rivoluziona la legge sul lavoro
tratto da: Il Giornale, 15.1.2008.

Sarkozy [...] ce l'ha fatta un'altra volta. Venerdì a tarda sera gli è riuscito, dopo quattro mesi d'incerti negoziati, e contro le previsioni, di ottenere la sua flex-sécurité. I sindacati hanno detto sì agli imprenditori per facilitare assunzioni, ma anche licenziamenti. In cambio hanno ottenuto dal governo di Parigi di elevare la protezione dei lavoratori nei periodi di disoccupazione. Un'altra vittoria della tenacia del nostro, virtù che non richiede saltatori in alto, ma passi decisi e continui. Così mentre ancora qui in Italia si spettegolava ecco Sarkozy t'infila un altro successo. Con abilità già aveva aggirato le 35 ore, smontandole, ottenendo che si pagassero anche il doppio le ore lavorate in più. Adesso aggira i veti dei sindacati, spendendosi per il modello danese, tradotto in francese con un nome che certo a noi sembra quello di un materasso. Comunque sia, anche da questo suo badare solo alla sostanza avremo da imparare.

L'accordo ottiene quella «rottura convenzionale», che farebbe bene pure a noi italiani, vinti dalla mania delle liti tribunalizie e delle ripicche più inutili. L'accordo francese infatti introduce un'altra possibilità nei rapporti di lavoro oltre al licenziamento e alle dimissioni. Permette la separazione del lavoratore, e del suo datore di lavoro, per reciproco consenso, al quale basta la sanzione del direttore provinciale dell'ufficio del lavoro. Dopo quindici giorni diventa valido, senza giudici, trafile in tribunale. Altro conforto: quelle collaborazioni in Italia tormentate dalle furie dei nostalgici comunisti, quindi dalle tasse del povero Prodi, sono estese, per tecnici e dirigenti, alla durata di 18 e 36 mesi. E, ad aggravare l'ulcera dei dilettanti che ci governano e rimpiangono il lavoro coatto sovietico, l'accordo allunga pure il periodo di prova. Insomma al di là delle Alpi c'è un mondo altro dal nostro, che il Primo ministro Fillon compensa per la maggiore flessibilità con ben 25 miliardi di euro per sostenere il potere d'acquisto.

Insomma, altro che il gioco di prestigio dei nostri tesoretti, il governo francese fa un suo accordo vero. Certo la Francia non darà ai disoccupati quelle indennità così generose che si danno in Danimarca. Dove però si perdono, se non si accetta, dopo un anno, un nuovo lavoro. Ma neppure la pressione fiscale è così alta come quella danese. E con questo accordo la Francia si avvicina al principio nordico di responsabilità, per cui si lascia assumere e licenziare con meno turbamenti. Quanto a noi, non ci resta da sperare che la Francia ci annetta, o ci invada.

Anonimo ha detto...

Dal rischio all'azzardo. L'eliminazione del futuro, «Rinascita», 18 settembre 2008, p. 12

di Carmelo Ferlito

Lehman Brothers e Merrill Lynch scompaiono dal panorama finanziario internazionale. La prima, nata a metà Ottocento come società di intermediazione del cotone per volontà del figlio di un mercante di bestiame ebreo, affonda tra i debiti. La seconda, invece, viene acquisita da quella Banca d'America che vede alle sue origini l'italiano Amedeo Giannini.
Ad andarsene, dunque, non sono semplicemente due istituti finanziari, ma un pezzo importante della storia del capitalismo d'Occidente. Quanto possono essere gravi tali avvenimenti, che altro non sono che la punta di un iceberg che si trascina da anni? Quali le ripercussioni sull'economia reale? Ne usciremo tutti con le ossa rotte?
Ebbene, il punto fondamentale è che la storia non è maestra di vita. Contrariamente all'antico adagio, alcuni atteggiamenti tornano con andamento ciclico. Ci riferiamo in particolare all'alternarsi di euforie e pessimismi degli operatori economico-finanziari. Le fasi ascendenti del ciclo economico sono generate solitamente da un atteggiamento positivo degli imprenditori (non della finanza), che colgono opportunità di investimento in una situazione combinata di fattori incoraggianti: nuovi mercati, nuova tecnologia, bassi tassi di interesse, ecc… Fin qui nulla di grave. Le cose si complicano quando il meccanismo espansivo viene innescato. L'esempio dei pionieri è di solito seguito da imitatori avventati, che si gettano in imprese economiche senza l'attrezzatura adeguata (conoscenza, risorse finanziarie, progettualità). Gli avventurieri sono mossi dal solo interesse di un guadagno sicuro e veloce. Il loro gioco è talvolta misurato, altre volte invece sospinto da ebbra euforia.
Quando però la ruota gira le cose complicate rischiano di diventare drammatiche. Le espansioni non possono durare in eterno. Arriva il momento in cui il mercato assorbe, incamera, strutturalizza gli effetti benefici generati dagli imprenditori innovatori. Ciò avviene però con qualche scossa, che spazza via gli operatori azzardati. Come insegna il Vangelo, reggono solo le case costruite sulla roccia, mentre il vento spazza via le fragili edificazioni sulla sabbia.
La gravità del momento finanziario cui stiamo assistendo va ricercata nell'intensità del fenomeno speculativo che lo ha preceduto. L'azzardo, fisiologico in ogni fase espansiva, si è fatto sistema. A rischiare fuori misura, durante la fase crescente del boom edilizio, non sono stati costruttori o finanziatori marginali al sistema, ma i protagonisti. La speculazione avventata è divenuta sistema con i mutui subprime, ovvero quelli concessi a chi sarebbe stato chiaramente incapace di saldare i debiti, e del complesso mercato creatosi attorno ad essi. I colossi della finanza internazionale, sospinti da irrazionali euforie, si sono messi a giocare con il denaro proprio e altrui.
Ora, una crisi limitata al settore finanziario potrebbe avere ripercussioni meno gravi nell'economia reale, soprattutto in quei Paesi, come l'Italia, dove la finanziarizzazione dell'economia è piuttosto scarsa. Peraltro, le relazioni che legano i colossi della finanza internazionale agli altri istituti di credito, e questi ultimi alle imprese, impediscono di dire che supereremo indenni il momento. Chiunque conosca la situazione attuale del mondo industriale si accorge delle gravi crisi di liquidità che lo attanagliano. Le realtà produttive soffrono della difficoltà di incassare e pagare, anche laddove l'equilibrio economico non sia alterato.
E non parliamo poi dei licenziamenti che a partire da Lehaman (50mila unità) possono prendere il via. Le difficoltà che il settore finanziario genererà sull'economia reale sono aggravate da elementi ulteriori: l'inflazione e gli elevati tassi di interesse. L'avvento di una crisi economica è stato di solito accompagnato da una diminuzione dei prezzi e dei saggi di sconto, il che generava nel sistema la capacità di trovare al suo interno le forze per riemergere, ricreando fiducia e possibilità di rischio.
Oggi non assistiamo a nulla di tutto ciò. Mentre il piccolo mondo economico-produttivo cerca di tirare avanti tra mille difficoltà e alla ricerca di un valido perché, nelle alte sfere si gioca a carte, mettendo in palio la pelle della gente. Si badi, il problema non sta nella mentalità del rischio, necessaria e fisiologica ad ogni iniziativa economica. Il sistema attuale ha permesso al rischio di degenare in azzardo. La difficoltà è tutta qui. Una sottile, quasi impercettibile, ma gravissima mutazione genetica. Dal rischio all'azzardo.
Tale mutamento può essere ancora più grave di quanto appaia. Infatti, non si tratta più semplicemente di un problema economico, ma diviene una questione di struttura mentale. La prevalenza dell'azzardo sul rischio denota una mancanza di volontà di edificazione di un futuro. Chi vuol esser lieto sia, del diman non v'è certezza. Questo il motto della finanza che crolla.
Il deficit di voglia di futuro è la grossa sfida che dovrà affrontare l'Occidente. Ciò che accade nella finanza è lo specchio di una nuova visione della vita che impera negli individui e nel sistema socio-politico. Il nostro mondo, di cui il capitalismo è un'espressione, nell'incapacità di vivere e morire allo stesso tempo, si abbandona all'euforia del gioco, alla ricerca di ebbrezze pericolose.
La vera risposta alla crisi sarà il sorgere, il rinnovarsi di un senso di comunità che appare smarrito. È necessario che riemerga una nuova speranza. Qualcosa per cui valga la pena immaginare un futuro.


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Carmelo Ferlito, Ph.D.
www.carmeloferlito.it