lunedì 8 settembre 2008

La rendita dei comuni

di Francesco Giavazzi

L'Italia è il Paese, dopo gli Stati Uniti e l'Australia, che consuma il maggior numero di litri d'acqua per abitante: quasi 600 litri al giorno negli Usa, 500 in Australia, 400 in Italia. In Gran Bretagna se ne consumano solo 150, in Germania 190. In parte ciò è dovuto al fatto che la nostra rete idrica è un colabrodo, con una perdita media del 30% e punte del 50%; ciononostante per migliorare i nostri acquedotti investiamo meno della metà di quanto investono gli inglesi (in realtà non tutta l'acqua persa è sprecata: una buona parte viene rubata, spesso per irrigare i campi con acqua potabile. Ad Agrigento, quando i carabinieri hanno sequestrato alcuni invasi illeciti, le cisterne in città quasi scoppiavano tanta acqua arrivava). L'elevato consumo dipende anche dal fatto che nelle nostre città il prezzo dell'acqua è fra i più bassi al mondo: circa 80 centesimi al metro cubo a Roma, contro 4,30 euro a Berlino, 3,50 euro a Copenaghen, 2 euro a Londra. La nostra acqua costa poco, ma illudendoci che sia pressoché gratuita ne consumiamo troppa e alla fine le nostre bollette non sono molto inferiori a quelle inglesi o tedesche. Ciò che accade per l'acqua accade per i rifiuti: oneri di smaltimento molto bassi e quindi, con rare eccezioni (Trento ad esempio), un eccesso di rifiuti. Un altro esempio è il trasporto pubblico locale. I biglietti coprono un terzo del costo: non c'è da stupirsi se i passeggeri, non conoscendo quanto costa davvero il servizio, trattino male gli autobus. Dovrebbero bastare questi esempi per convincerci che vi è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui sono gestiti i nostri servizi locali.
Essi dipendono, pressoché senza eccezioni, dalla politica e i politici, anche i meglio intenzionati, si illudono che il modo per aiutare i cittadini — e ottenere i loro voti — sia far pagare poco i servizi. In realtà così facendo contribuiscono al degrado dell'ambiente e, come abbiamo visto nel caso dell'acqua, alla fine non riescono neppure a mantenere basse le bollette. Solo il 5% dei nostri acquedotti è gestito da privati ai quali il servizio è stato affidato in seguito a un'asta competitiva. Gli altri sono gestiti direttamente dagli enti locali, o comunque da società controllate dagli enti locali a cui sono stati affidati senza mai chiedersi se esistesse qualcuno disposto a offrire il servizio a condizioni migliori. Nella scorsa legislatura il ministro Linda Lanzillotta cercò, invano, di condurre in porto una riforma. Per superare il veto di Rifondazione dovette accettare che gli acquedotti rimanessero pubblici. Ma per gli altri servizi quella legge aveva il merito di porre i Comuni di fronte a una scelta chiara: o gestivano il servizio direttamente, o lo affidavano tramite una gara a società terze. Deroghe alla procedura di assegnazione tramite gara dovevano essere approvate dall'Antitrust. La legge non passò non per l'opposizione di Rifondazione, che si accontentò dell'acqua pubblica, ma perché fu considerata un attentato alla tranquilla sopravvivenza del nuovo «capitalismo pubblico locale», le centinaia di aziende a partecipazione pubblica create negli ultimi anni per gestire i servizi locali.
Queste società sono diventate il fulcro del potere politico locale: non c'è fusione che non sia accompagnata dal passaggio al modello societario duale in modo che non un solo presidente, non un solo consigliere di amministrazione perda il suo posto. Oggi, grazie alla Lega hanno ottenuto ciò che volevano: l'art. 23-bis del decreto fiscale approvato l'1 agosto prevede che le deroghe alla procedura di gara siano solo comunicate all'Antitrust. Tolte di mezzo le gare, la sopravvivenza del capitalismo pubblico locale è assicurata. La Lega ha definito l'approvazione del 23-bis una vittoria del federalismo. In realtà anziché parte di un grande progetto di riforma delle istituzioni, sembra piuttosto la misera difesa di qualche poltrona alle spalle dei cittadini. All'interno della maggioranza l'opposizione al 23-bis è venuta soprattutto da Alleanza nazionale che ha inutilmente difeso le gare e ora annuncia la presentazione di un nuovo disegno di legge per rivedere in senso più rispettoso del mercato l'intero assetto dei servizi locali. Ma vi sarebbe un modo più concreto per segnalare la propria diversità: An gestisce Roma, una città dove i servizi pubblici sono tutti assegnati senza gara. Quale lezione ai propri colleghi, e anche all'opposizione, se il sindaco Alemanno annunciasse che d'ora in poi a Roma tutti gli affidamenti avverranno tramite gara.


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Giangiacomo

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