martedì 15 aprile 2008

I cattolici e le elezioni del 13-14 aprile 2008

Un giudizio profondo di Massimo Introvigne


Le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 hanno determinato un’autentica rivoluzione nel panorama parlamentare italiano. Sono scomparse sigle storiche come i socialisti, i comunisti e i verdi. I gruppi parlamentari si sono ridotti da una ventina a tre al Senato (se PD e IDV faranno gruppo insieme) e quattro alla Camera (altri partiti, pure rappresentati, non potranno costituire un gruppo perché non raggiungono il numero minimo di deputati, venti, o senatori, dieci, necessari per tale costituzione, salvo deroghe degli Uffici di Presidenza che tuttavia al Senato possono essere concesse solo a gruppi di almeno cinque senatori eletti in almeno tre regioni diverse: quindi, per esempio, non all’UDC che di senatori ne ha tre tutti eletti in Sicilia).
Molto di più di quanto non fosse avvenuto nel 2006, la maggioranza degli elettori ha compreso i meccanismi della legge elettorale, e ha evitato il voto inutile. Molti italiani si sono resi conto che al Senato la montagna dell’otto per cento era difficilissima da scalare per i piccoli partiti e si sono comportati di conseguenza. Se il mio “vademecum” sulla legge elettorale – che moltissimi mi hanno chiesto di riprodurre e una diocesi della Calabria ha stampato come opuscolo a cura della Consulta diocesana per l’apostolato dei laici e diffuso ampiamente – ha avuto un ruolo in questo processo, non posso che esserne soddisfatto.
L’astensionismo, contrariamente a un vecchio luogo comune, ha danneggiato soprattutto l’estrema sinistra, ed è del resto in quell’area che militano i più convinti teorici dell’astensione.
Le prime rilevazioni – che confermano quelle dei sondaggi, e che dovranno essere peraltro verificate tramite analisi più sistematiche – ci dicono che i cattolici praticanti non si sono distribuiti uniformemente tra tutti i partiti, come prevedeva qualche sociologo. Hanno privilegiato il Popolo della Libertà e la Lega, e in misura assai minore l’UDC. Il popolo che va a Messa non ha dunque seguito quella stampa cattolica che faceva il tifo, spesso neppure troppo velatamente, per il PD e l’UDC. Significativo il commento di Rosy Bindi: “Una parte del voto cattolico è finito alla Lega e non si capisce perché” (cfr. Fabio Martini, “Walter, la grande delusione”, La Stampa, 15-4-2008).
Contrariamente a quanto pensa Rosy Bindi, si capisce benissimo. A parte una minoranza sempre più ridotta – ancorché ben rappresentata nei centri di potere della cultura e dell’economia – di “cattolici adulti”, il mondo cattolico italiano è stato sistematicamente educato da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e dai cardinali Ruini e Bagnasco a privilegiare i “valori non negoziabili” – vita, famiglia e libertà di educazione – e a mettere le altre questioni, pure importanti, in secondo piano rispetto a questi tre valori fondamentali. Nelle parrocchie, nei movimenti e su Internet per la prima volta circolavano ampiamente studi – simili a quelli che i cattolici e i protestanti evangelical diffondono negli Stati Uniti a ogni elezione – dove, con dovizia di dettagli e con analisi che si spingevano fino al singolo parlamentare, si mostrava come su applicazione della legge sull’aborto, eutanasia, riconoscimento delle unioni omosessuali, tentativi di modificare la legge sulla fecondazione assistita, scuole non statali l’unico modo di bloccare proposte di legge incompatibili con i valori non negoziabili fosse un saldo successo della coalizione Berlusconi (all’interno della quale i parlamentari della Lega avevano votato e promettevano di votare “bene”, su questi problemi, in modo talora ancor più omogeneo di quelli del PDL). Vi è stata, sul punto, un’illusione ottica. La scelta (che si può certo discutere) dell’onorevole Silvio Berlusconi di non mettere all’ordine del giorno nella campagna elettorale i temi relativi ai valori non negoziabili è stata scambiata da alcuni per una “equivalenza” delle coalizioni Berlusconi e Veltroni su questi temi. Mentre la coalizione Veltroni aveva nelle sue liste candidati simbolo dell’opposizione ai valori non negoziabili come il professor Umberto Veronesi e l’onorevole Emma Bonino e dichiarava programmaticamente di volere fare approvare il testamento biologico e le leggi sulle unioni di fatto, gli studi su come avevano votato i parlamentari confluiti nel PDL e quelli della Lega nella precedente legislatura mostravano che, con eccezioni individuali, questo blocco – ove avesse chiaramente prevalso – sarebbe stato in grado di respingere le proposte di legge inaccettabili per i cattolici. Rosy Bindi se ne faccia una ragione: i cattolici italiani hanno ormai interiorizzato il tema dei “valori non negoziabili” e non considerano sullo stesso piano le questioni sindacali o socio-economiche (su cui peraltro la presunta maggiore vicinanza alla dottrina della Chiesa del PD rimane tutta da dimostrare) rispetto alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione.
Il voto alla Lega non è soltanto né principalmente un voto di protesta contro gli sprechi dello statalismo e del centralismo, né un voto per le infrastrutture al Nord, per quanto questi temi entrino nel successo del partito di Umberto Bossi. Chi ha seguito la campagna della Lega – l’unica tra quelle dei partiti approdati in Parlamento affidata più agli strumenti tradizionali del contatto personale, delle riunioni e dei comizi che a Internet o alla televisione – si è reso conto del costante appello a valori che si possono riassumere – correndo il centenario della nascita del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), che peraltro non presumo sia specificamente noto al leghista medio – nel suo motto “tradizione, famiglia, proprietà”, con una speciale attenzione all’identità, alle radici e alla consapevolezza del pericolo rappresentato dall’islam. I cattolici possono soltanto augurarsi che nella Lega si affermi una classe dirigente capace di difendere questi valori in modo non solo istintivo ma consapevole e meditato. Ma questo non avverrà senza un dialogo più serrato e continuo fra chi, quanto a consapevolezza e meditazione di questi valori, nel mondo cattolico ha qualche cosa da offrire e il popolo della Lega.
L’UDC è sparita dal Senato. L’eccezione siciliana conferma la regola, ed è un voto più all’onorevole Salvatore Cuffaro (che molti siciliani considerano, a torto o a ragione, sia vittima di accuse ingiuste sia protagonista di una stagione di governo regionale non priva di aspetti positivi) che all’onorevole Pier Ferdinando Casini. Se in Sicilia si fosse presentata una “Lista Cuffaro” nulla sarebbe cambiato se non, forse, in meglio per l’esito della medesima. La scommessa politica dell’UDC, fondata sulla sua possibilità di condizionare la formazione di qualunque futuro governo con una significativa presenza al Senato, è dunque fallita. All’UDC restano due milioni di elettori, che certamente non coincidono con i cattolici praticanti italiani (che, per quanto le statistiche sul punto siano oggetto di controversie senza fine, considerando chi va a Messa almeno una volta al mese sono un terzo degli italiani, sei volte di più del 5,5% raccolto dall’onorevole Casini) ma non sono irrilevanti. Un certo numero di questi voti proviene da sinistra, cioè da quei cattolici che non apprezzano l’onorevole Berlusconi ma che non se la sono sentita di votare un PD che presentava l’onorevole Bonino e il professor Veronesi. Altri hanno dato credito a una campagna elettorale molto centrata sull’identità cristiana e sulla difesa della famiglia, che alcuni parlamentari uscenti dell’UDC (come l’onorevole Luca Volontè o il senatore Luca Marconi) avevano rappresentato nella precedente legislatura in modo coerente e continuo. Dopo il sostanziale insuccesso del suo progetto politico, il futuro dell’UDC è molto incerto. I suoi due milioni di elettori rappresentano però, insieme al successo della Lega, un monito al partito di maggioranza relativa quanto all’esistenza non di poche migliaia ma di milioni di italiani sensibili al tema dell’identità cristiana, a prescindere dalla stessa credibilità e coerenza del personale politico che lo agita. Mutatis mutandis, vanno a comporre questo promemoria per il PDL vittorioso anche gli oltre ottocentomila elettori de La Destra, un partito che aveva peraltro coltivato illusioni quanto all’effettiva possibilità di approdare in Parlamento con il sistema delineato dalla legge elettorale vigente.
Un cenno merita infine la “catastrofe”, come l’ha definita il suo promotore Giuliano Ferrara, della lista “Aborto? No grazie” che puntava al quattro per cento e che si è fermata esattamente allo 0,4. Purtroppo la catastrofe, figlia – come altri insuccessi – di un’incomprensione del sistema elettorale vigente e del fatto che l’Italia non ha una tradizione di “liste di scopo”, era facilmente prevedibile ed era stata da molti (compreso chi scrive) prevista. Era anche prevedibile che all’indomani delle elezioni si sarebbe diffuso nei media, come sta puntualmente avvenendo, il giudizio secondo cui la problematica dell’aborto interessa solo allo 0,4% degli italiani: giudizio falso, ma che l’errore di presentare la lista Ferrara alle elezioni riveste di una certa ingannevole parvenza di credibilità. Come si temeva, la lista ha compromesso la sacrosanta e meritevole battaglia di Giuliano Ferrara per la moratoria. Con grande difficoltà, si tratta ora di ripartire da prima della campagna elettorale e riprendere la parola d’ordine della moratoria. Se i 135.000 italiani che hanno votato per una causa politicamente persa in partenza, superata la delusione, si trasformeranno in militanti per i valori non negoziabili forse non tutto sarà perduto.
Tra i problemi che dovrà affrontare il nuovo governo ci sarà quello del passaggio alla dimensione extraparlamentare di una sinistra radicale che, fuori dei Parlamenti, è spesso stata brodo di cultura della violenza di piazza e del terrorismo. Naturalmente l’eredità comunista non è scomparsa dal Parlamento italiano: l’onorevole Massimo D’Alema, tanto per fare un nome non casuale, può vantare una militanza nel vecchio Partito Comunista Italiano – del cui Comitato centrale ha fatto parte a suo tempo anche lo stesso onorevole Walter Veltroni – non meno distinta e convinta di quella dell’onorevole Fausto Bertinotti. Ma queste metamorfosi del comunismo non sono sempre facilmente comprensibili per il militante di base, che rischia dunque seriamente di farsi attrarre dalle sirene della violenza extraparlamentare. Alla soddisfazione per non vedere più in Parlamento gli onorevoli Alfonso Pecorario Scanio o Wladimiro Guadagno detto Vladimir Luxuria non può non accompagnarsi la consapevolezza dei rischi per l’ordine pubblico, soprattutto in caso di saldatura di progetti eversivi comunisti con altri di matrice ultra-fondamentalista islamica secondo la “dottrina Carlos”, incessantemente elaborata dal suo carcere francese dal terrorista marxista venezuelano convertito all’islam Ilich Ramírez Sánchez, “Carlos”, con l’appoggio esplicito del presidente della Repubblica del Venezuela Hugo Chávez. Una corretta valutazione di questo rischio implica una vigilanza – in base a criteri di prudenza, e senza criminalizzare preventivamente nessuno – non solo sugli ambienti dell’ultra-sinistra più tentati dall’eversione ma anche su chi ha contatti politici ambigui e inquietanti con i governi di Paesi come Cuba, la Corea del Nord e lo stesso Venezuela (o ancora con movimenti che hanno insieme una dimensione politica e una terroristica, come gli Hezbollah o Hamas), sulle “moschee inquiete” e su tutto il mondo dell’immigrazione clandestina. Un compito cui il prossimo Ministro dell’Interno farà bene a dedicarsi seriamente.

see u,
Giangiacomo

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ratzinger «l’americano» in piena sintonia con Bush


Il Time l’ha definito un «Papa americano», ed è vero che tra Benedetto XVI e gli Stati Uniti c’è feeling evidente.

Alcuni anni fa ci fu chi parlò di una «santa alleanza» tra Giovanni Paolo II e l’amministrazione Reagan, finalizzata alla lotta al comunismo. Oggi qualcosa del genere si ripete tra il suo successore, che festeggia il suo 81° compleanno alla Casa Bianca, e il presidente George Bush, che lo accoglie dicendo che c’è bisogno del suo messaggio per salvare il mondo dal fanatismo e dal terrorismo. A suggellare l’intesa anche un gesto simbolico di grande valore: il Papa e Bush uniti in preghiera per il bene della famiglia.

Ci sono quasi diecimila invitati sul prato davanti al «south lawn». Ci sono i vescovi degli Stati Uniti, i reduci, il reparto della Guardia presidenziale in costume rosso e parrucca bianca. Ci sono le ragazze scout, che non reggono a mezz’ora sotto il sole e crollano, una dopo l’altra, come birilli, prontamente soccorse da un aitante guardiamarina. Ci sono Dick Cheney, la segretaria di Stato Condoleezza Rice. La regia è perfetta, all’arrivo di Benedetto XVI vengono suonati gli inni, poi una cantante intona il Padre Nostro accompagnata da una cetra. Dalla folla parte un primo «Happy Birthday» per il compleanno del Pontefice.

Poi prende la parola Bush, con un discorso breve, zeppo di citazioni ratzingeriane. «Abbiamo bisogno del suo messaggio che la vita è sacra, in un un mondo in cui qualcuno evoca il nome di Dio per giustificare atti di terrore, assassinio e odio, abbiamo bisogno del suo messaggio che Dio è amore – afferma il presidente – e abbracciare questo amore è il modo più sicuro per salvare l’uomo dal cadere preda dell’insegnamento del fanatismo e del terrorismo». «In un mondo dove alcuni non credono più che si possa distinguere tra ciò che è semplicemente giusto e sbagliato – aggiunge Bush – abbiamo bisogno del suo messaggio per rigettare questa dittatura del relativismo, e abbracciare una cultura della giustizia e della verità». Il presidente ringrazia il Papa per essere venuto a festeggiare il compleanno alla Casa Bianca e gli garantisce che «milioni di americani» pregano per lui, nel Paese dove «fede e ragione possono convivere in armonia».

Sorridente, disteso, commosso per il calore dell’accoglienza, il Papa afferma di venire «come amico e annunciatore del Vangelo, come uno che rispetta grandemente questa vasta società pluralistica». Ricorda che sin dall’inizio gli Usa sono stati guidati «dal convincimento che i principi che governano la vita politica sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio creatore» e che le religioni sono state «un’ispirazione costante e una forza orientatrice», in un Paese dove tutti i credenti «hanno qui trovato la libertà di adorare Dio secondo i dettami della loro coscienza». Ratzinger si augura che gli americani «possano trovare nelle loro credenze religiose» l’ispirazione per affrontare «le sempre più complesse questioni politiche ed etiche» del tempo presente. Ricorda che la libertà non è «solo un dono, ma anche un appello alla responsabilità personale» e che la democrazia può fiorire solo quando i leader politici «sono guidati dalla verità». Infine, cita il ruolo degli Usa sulla scena internazionale, nel promuovere gli aiuti umanitari, fiducioso che l’America «continuerà a sostenere gli sforzi pazienti della diplomazia internazionale volti a risolvere i conflitti».

È noto che sull’Irak le posizioni della Santa Sede e dell’amministrazione Usa divergono. Ma - come si evince dal comunicato reso noto al termine del colloquio nello studio Ovale - le sottolineature sono su ciò che unisce: «il rispetto della dignità umana, la difesa e la promozione della vita e della famiglia, la libertà religiosa, lo sviluppo e la lotta alla povertà, soprattutto in Africa, il rigetto del terrorismo e della strumentalizzazione della religione per giustificare atti immorali e violenti contro gli innocenti». Una lotta, si legge ancora, «da affrontare con appropriati mezzi che rispettino la persona umana e i suoi diritti». L’Irak è citato, nel più ampio contesto del Medio Oriente, ma per sottolineare i timori per le difficoltà crescenti delle comunità cristiane. Sul conflitto israelo-palestinese, Ratzinger e Bush hanno parlato della necessità di far coesistere due Stati in pace e sicurezza.



Andrea Tornielli - Il Giornale

Anonimo ha detto...

18 aprile 2008

Grazie a te, grazie, Italia! - Contatto n.12/2008





Per le singolari coincidenze della storia, oggi ricorre il sessantesimo anniversario della vittoria elettorale del 1948, giorno in cui la DC di De Gasperi, con il concorso dei partiti laici, sconfisse la sinistra socialista e comunista.

Quella fu una vittoria clamorosa, l’inizio di un cammino di libertà e di progresso che portò l’Italia in pochi decenni a diventare uno dei paesi più importanti del mondo. Dopo la nostra altrettanto clamorosa vittoria di lunedì, ora tocca a noi la responsabilità di avviare un periodo di buon governo e di riforme che facciano ripartire l’Italia e la rimettano al posto che le spetta, in Europa e nel mondo.

Come il presidente Berlusconi ha ribadito più volte, siamo consapevoli del duro compito che ci aspetta. Lo svolgeremo mettendocela tutta, sapendo di poter continuare a contare sul supporto di persone come te. Questi sono ancora i giorni della soddisfazione per il risultato ottenuto insieme: per condividere on line il ringraziamento per il sostegno puoi usare la cartolina che trovi quì http://rialzatianchetu.forzaitalia.it/.

Anonimo ha detto...

Da un film molto popolare di qualche anno fa, Rocky 3, possiamo trarre un suggerimento. Il pugile protagonista del film, dopo aver conquistato il titolo mondiale per la sua eccezionale grinta e umanità, smette di allenarsi con serietà e viene così sonoramente sconfitto. Il suo primo rivale, che nel frattempo gli era divenuto amico, gli rivela il motivo della sua sconfitta: «Non hai più gli occhi di tigre!». Gli propone così di ricominciare da capo. Rocky, dapprima riluttante, lo segue, smette di rimpiangere i tempi che furono e inizia a sottoporsi di nuovo ad allenamenti massacranti. Così, lui, picchiatore, cambia completamente: diventa un pugile agile e, con rinnovati «occhi di tigre», vince l’avversario che l’aveva precedentemente battuto.
L’apologo tratto dal film ben si adatta all’Italia di oggi. Il nostro Paese, distrutto dalla guerra, seppe inserirsi tra i Paesi più sviluppati del mondo, grazie all’intraprendenza, alla creatività, allo spirito di sacrificio dei suoi cittadini. Oggi, dopo aver raggiunto il benessere, non sembra più in grado di affrontare la crisi perché non è disposto a rischiare ciò che ha conquistato per ricominciare da capo. Chi ha vissuto la campagna elettorale nelle piazze, ha visto che molta gente si dimostra delusa e rassegnata e riversa sulla politica tutte le colpe della situazione. Ben diversa appare la situazione degli extracomunitari che vivono in Italia. La voglia di costruire un futuro per loro e i loro famigliari, spesso lontani, li rende pieni di passione e disposti a qualunque sacrificio e voraci verso le occasioni di lavoro che italiani anche bisognosi rifiutano. La fame dà loro gli «occhi di tigre», simili a quelli che avevamo noi anni fa. E allora, da dove ricominciare? Nella nostra tradizione, anche prima del dopoguerra, c’è stato un motivo di impegno ben più forte della stessa fame, che ha reso il nostro popolo appassionato alla realtà e capace di affrontare anche la fame. È stata quella fede cristiana che aiuta a scoprire la bellezza del reale, pur in mezzo a tante difficoltà e contraddizioni, che spinge a valorizzare ogni piccola possibilità per migliorare la propria condizione di vita attraverso il lavoro, che considera unica e irripetibile ogni persona, che apre al sacrificio di se stessi a vantaggio di chi si ama e del proprio popolo. È stata, ancora, quella passione ideale per la giustizia e per il progresso, che ha permesso di costruire condizioni di vita più dignitose. Contrariamente a quanto ripetono gli intellettuali che invocano il definitivo sradicamento dalla nostra storia, solo riprendendo a vivere in modo critico e attuale questa fede o questa passione ideale, possono far rinascere in noi «occhi di tigre» capaci di farci iniziare di nuovo a lottare. Un’educazione a questa posizione umana è ciò che è più urgente: senza di essa poco potrà il desiderio di cambiamento che queste elezioni hanno messo in luce.

Anonimo ha detto...

Ecco come si distingue un cattolico in politica
di Giorgio Vittadini

C ontinua, praticamente senza soluzione di continuità, la discussione sul ruolo dei cattolici nella vita politica. Dopo le valutazioni sul loro peso nel nuovo governo, autorevoli esponenti dell’opposizione hanno più volte messo in guardia sul pericolo che la Chiesa si ponga come organizzazione in qualche modo al servizio del potere. Come spesso accade, il problema è un altro, non schematizzabile in questa rozza ottocentesca contrapposizione. A chi è preoccupato per la presenza - scarsa o eccessiva, a seconda che la si guardi da destra o da sinistra - dei cattolici al potere, va ricordato quanto rispondeva don Giussani in un'intervista del 1996 di Pierluigi Battista, sulla Stampa. Alla domanda: «Ma lei si sente più garantito da un cristiano al governo?», il sacerdote milanese rispondeva: «No. Il problema è la sincera dedizione al bene comune e una competenza reale e adeguata. Ci può essere un cristiano ingolfato nei problemi ecclesiastici la cui onestà naturale e la cui competenza possono lasciare dubbi». Molti esempi in questi sessanta anni di storia repubblicana lo dimostrano. Dagli anni ’50 in poi molti cattolici, paradossalmente alleati di coloro che oggi hanno paura degli interventi della Chiesa, sono divenuti i più feroci assertori, anche nell'ultimo periodo, di uno statalismo «buono», all’origine della gran parte dei mali attuali del nostro Paese. Ma allora, per evitare il rischio di un potere fine a se stesso, occorre rifugiarsi a uno spiritualismo disincarnato? Piuttosto, come ha detto il pontefice all’assemblea generale della Cei, di fronte alla sfida del relativismo e del nichilismo che riguarda tutti, servono «educatori che sappiano essere testimoni credibili di quelle realtà e di quei valori su cui è possibile costruire sia l'esistenza personale sia progetti di vita comuni e condivisi». Il cristianesimo ha una reale incidenza storica quando è vissuto non come una ideologia teorica, ma come un’esperienza personale in cui si guardi e si segua la Presenza misteriosa e amica che abita la realtà. Chi vive così diventa utile a tutta la compagnia umana - come dimostra la storia del nostro Paese -, perché prende coscienza del desiderio di bene che alberga nel suo cuore, diviene capace di cogliere i veri bisogni di qualunque uomo, comincia a costruire opere che sono forme di vita nuova, sa chiedere alla politica di salvaguardare l'affermazione di quei valori che rendono più umana la convivenza di tutti. E se fa politica la rinnova, con pazienza, dal di dentro, in qualunque posizione di potere sia o qualunque compito abbia.
Giorgio Vittadini*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà