"Nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la Provvidenza allora si muove. Infinte cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute. Qualunque cosa tu possa fare o sognare di fare, incominciala!
L'audacia ha in sè genio, potere e magia".
"Conoscere non è mai abbastanza; bisogna mettere in pratica ciò che sappiamo.
Nemmeno volere è abbastanza; bisogna fare".
Johann Wolfgang Von Goethe
AUGURI!!
see u,
Giangiacomo
domenica 18 dicembre 2011
domenica 6 novembre 2011
Idee interessanti per la crisi italiana
Al di là di non essere d'accordo su un nuovo Governo, pubblico le indicazioni di Italia Futura...
L’Italia è entrata in una fase di emergenza, in cui sono in gioco i risparmi degli italiani, i posti di lavoro, la tenuta del paese e la sua permanenza nella zona Euro. Da maggioranza e opposizione non arrivano però risposte adeguate.
Lunedì Luca di Montezemolo, in una lettera pubblicata su Repubblica, ha elencato cinque punti che “se attuati simultaneamente e accompagnati da un grande piano di rilancio dell’immagine internazionale dell’Italia, rappresenterebbero un valido argine alla speculazione, ridarebbero una prospettiva di crescita al paese e opererebbero nella direzione di una maggiore equità sociale”:
1) La patrimoniale sullo Stato: prima di chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini, la politica e le istituzioni devono mettere mano ai loro stessi costi.
2) Tutti uguali davanti al lavoro, non solo libertà di licenziare: vanno aboliti i contratti a termine (mantenendo solo quelli fisiologici e stagionali), sostituendoli con un contratto unico, a tempo indeterminato, che consenta il licenziamento per motivi economici o organizzativi, ma che protegga il lavoratore dalle discriminazioni.
3) Un nuovo patto fiscale: abbattere le aliquote su lavoratori e imprese. Con l’introduzione di una imposta permanente sulle grandi fortune e l’abolizione degli incentivi alle imprese si potrebbe tagliare in maniera radicale l’Irap. Mentre, vincolando per legge i proventi della lotta all’evasione alla diminuzione dell’Irpef, ad iniziare dai redditi medi e bassi, si creerebbero le condizioni per un positivo conflitto di interessi tra chi paga e chi evade.
4) Pensioni: abolire quelle di anzianità e passare ad un sistema interamente contributivo. Una parte consistente dei proventi generati andranno utilizzati per investire in un welfare dedicato ai giovani e alle donne.
5) Liberalizzazioni: la lista dei settori in cui operare è lunghissima. È fondamentale che insieme ai provvedimenti di apertura alla concorrenza si rafforzino i poteri dell’Antitrust per dare agli investitori la garanzia del rispetto delle regole.
Questo Governo non è in grado di mettere in campo simili provvedimenti. L’opposizione ha una linea di politica economica confusa e non può ora garantire quanto richiesto dall’Europa. Le elezioni non rappresenterebbero dunque una soluzione e paralizzerebbero il paese.
L’urgenza della situazione richiede invece soluzioni immediate: l’unica strada per salvare il paese passa oggi attraverso un governo di salute pubblica, che metta immediatamente in atto le misure necessarie per restituire credibilità internazionale e rimettere in moto l’Italia.
Convinti che la voce della società civile - e di chi la rappresenta - debba oggi farsi sentire in maniera chiara e netta, abbiamo rivolto ieri un appello alle associazioni del mondo produttivo perché anche loro chiedano subito di voltare pagina. Non si tratta di sostituirsi alla politica ma di chiedere, con fermezza e rispetto, alla politica di ritrovare la forza e il coraggio per fare subito ciò che serve all'Italia.
see u,
Giangiacomo
L’Italia è entrata in una fase di emergenza, in cui sono in gioco i risparmi degli italiani, i posti di lavoro, la tenuta del paese e la sua permanenza nella zona Euro. Da maggioranza e opposizione non arrivano però risposte adeguate.
Lunedì Luca di Montezemolo, in una lettera pubblicata su Repubblica, ha elencato cinque punti che “se attuati simultaneamente e accompagnati da un grande piano di rilancio dell’immagine internazionale dell’Italia, rappresenterebbero un valido argine alla speculazione, ridarebbero una prospettiva di crescita al paese e opererebbero nella direzione di una maggiore equità sociale”:
1) La patrimoniale sullo Stato: prima di chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini, la politica e le istituzioni devono mettere mano ai loro stessi costi.
2) Tutti uguali davanti al lavoro, non solo libertà di licenziare: vanno aboliti i contratti a termine (mantenendo solo quelli fisiologici e stagionali), sostituendoli con un contratto unico, a tempo indeterminato, che consenta il licenziamento per motivi economici o organizzativi, ma che protegga il lavoratore dalle discriminazioni.
3) Un nuovo patto fiscale: abbattere le aliquote su lavoratori e imprese. Con l’introduzione di una imposta permanente sulle grandi fortune e l’abolizione degli incentivi alle imprese si potrebbe tagliare in maniera radicale l’Irap. Mentre, vincolando per legge i proventi della lotta all’evasione alla diminuzione dell’Irpef, ad iniziare dai redditi medi e bassi, si creerebbero le condizioni per un positivo conflitto di interessi tra chi paga e chi evade.
4) Pensioni: abolire quelle di anzianità e passare ad un sistema interamente contributivo. Una parte consistente dei proventi generati andranno utilizzati per investire in un welfare dedicato ai giovani e alle donne.
5) Liberalizzazioni: la lista dei settori in cui operare è lunghissima. È fondamentale che insieme ai provvedimenti di apertura alla concorrenza si rafforzino i poteri dell’Antitrust per dare agli investitori la garanzia del rispetto delle regole.
Questo Governo non è in grado di mettere in campo simili provvedimenti. L’opposizione ha una linea di politica economica confusa e non può ora garantire quanto richiesto dall’Europa. Le elezioni non rappresenterebbero dunque una soluzione e paralizzerebbero il paese.
L’urgenza della situazione richiede invece soluzioni immediate: l’unica strada per salvare il paese passa oggi attraverso un governo di salute pubblica, che metta immediatamente in atto le misure necessarie per restituire credibilità internazionale e rimettere in moto l’Italia.
Convinti che la voce della società civile - e di chi la rappresenta - debba oggi farsi sentire in maniera chiara e netta, abbiamo rivolto ieri un appello alle associazioni del mondo produttivo perché anche loro chiedano subito di voltare pagina. Non si tratta di sostituirsi alla politica ma di chiedere, con fermezza e rispetto, alla politica di ritrovare la forza e il coraggio per fare subito ciò che serve all'Italia.
see u,
Giangiacomo
domenica 16 ottobre 2011
Stay hungry. Stay foolish!
Un omaggio in ritardo e che può sembrare banale.
Ma da 2 anni ho sulla scrivania del mio ufficio l'esortazione di Steve Jobs ben presente sul mio pc!
"Your work is going to fill a large part of your life, and the only way to be truly satisfied is to do what you believe is great work. And the only way to do great work is to love what you do. If you haven't found it yet, keep looking. Don't settle. As with all matters of the heart, you'll know when you find it. And, like any great relationship, it just gets better and better as the years roll on. So keep looking until you find it. Don't settle".
http://www.blogmac.eu/2005/10/27/stay-hungry-stay-foolish/
see u,
Giangiacomo
Ma da 2 anni ho sulla scrivania del mio ufficio l'esortazione di Steve Jobs ben presente sul mio pc!
"Your work is going to fill a large part of your life, and the only way to be truly satisfied is to do what you believe is great work. And the only way to do great work is to love what you do. If you haven't found it yet, keep looking. Don't settle. As with all matters of the heart, you'll know when you find it. And, like any great relationship, it just gets better and better as the years roll on. So keep looking until you find it. Don't settle".
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Giangiacomo
sabato 8 ottobre 2011
Isolabella della Croce - Loazzolo (AT)
Un posto incantevole!
Vini superbi!!
E per saperne di più...
il sito ufficiale www.isolabelladellacroce.it
e il racconto di chi la vive...
see u,
Giangiacomo
Giangiacomo
venerdì 26 agosto 2011
Adele
domenica 17 aprile 2011
5 per mille
Vi segnalo la campagna di farmacovigilanza Giù le mani dai bambini a cui poter donare il Vostro 5 per mille
C.F. 97650080019
www.giulemanidaibambini.org/5x1000.php
http://www.facebook.com/group.php?gid=110981145594948
see u,
Giangiacomo
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Giangiacomo
domenica 10 aprile 2011
Tunisia: con chi stiamo trattando?
di Massimo Introvigne (La Bussola Quotidiana, 6 aprile 2011) Chi sono gli interlocutori dell’Italia nel difficile negoziato con la Tunisia sull’immigrazione? E chi saranno domani? Il governo guidato dall’ottantaquattrenne Béji Caïd Essebsi è definito di solito, in Tunisia, «neo-bourguibista». Che cosa significa? Occorre sempre ricordare che nei Paesi a maggioranza islamica il processo di decolonizzazione ha visto contrapporsi due classi dirigenti alternative: una laica e secolarizzatrice, e una espressione dell’islam politico. La prima ha vinto inizialmente quasi ovunque ed è stata sostenuta sia dagli Stati Uniti e dall’Europa Occidentale – che la considerava più affidabile rispetto agli attivisti islamici – sia dall’Unione Sovietica, perché nei partiti laici dei Paesi islamici non mancava mai una componente socialista e un’ammirazione per l’URSS. In Tunisia la prima classe dirigente si è incarnata al momento dell’indipendenza dalla Francia (1956) nell’avvocato e giornalista Habib Bourguiba (1903-2000), primo presidente della Repubblica tunisina, al potere per trent’anni dal 1957 al 1987. L’azione di Bourguiba si caratterizza per posizioni fortemente laiciste, che portano alla spaccatura del partito indipendentista Destour in due fazioni, una legata all’islam politico che mantiene il nome originario Destour e una laica e bourguibista che prende il nome di Néo-Destour. Per dare un’idea del laicismo di Bourguiba sarà sufficiente ricordare che la Tunisia ha introdotto nelle sue leggi l’aborto prima della stessa Francia. Il diritto di famiglia, la scuola, i tribunali sono de-islamizzati secondo il modello della Turchia di Kemal Atatürk (1881-1938). L’unica concessione all’islam politico rimane la clausola costituzionale secondo cui un non musulmano non può diventare presidente della Repubblica. Negli anni 1980 Bourguiba perde il sostegno degli Stati Uniti per le sue posizioni filo-palestinesi e di radicale ostilità a Israele: l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) giunge perfino a porre la sua sede a Tunisi. Nello stesso tempo si moltiplicano le azioni terroristiche e di guerriglia dell’islam radicale, represse con pugno di ferro dalle forze speciali della Sicurezza Nazionale guidate dal generale Zine El-Abidine Ben Ali. Anche la salute di Bourguiba va declinando, e il 7 novembre 1987 Ben Ali organizza quello che è passato alla storia come il «colpo di Stato medico». Induce i medici di Bourguiba a dichiararlo incapace di governare il Paese, e s’insedia al suo posto senza sparare un colpo. Oggi vi sono elementi sufficienti per concludere che l’intera operazione fu condotta d’intesa con i servizi segreti italiani, molto interessati alla stabilità della Tunisia, e con l’avvallo di quelli francesi. Il governo di Ben Ali sia migliora le relazioni con gli Stati Uniti sia accentua la deriva repressiva, specie nei confronti dell’islam politico, e il regime del Néo-Destour – ribattezzato Raggruppamento Costituzionale Democratico (RCD) – raggiunge vertici di corruzione e potere familiare del clan del presidente inusuali perfino per il Nord Africa. La repressione funziona finché le condizioni economiche del Paese sono, se non brillanti, decorose per il contesto locale. La crisi economica internazionale del 2009 segna l’inizio della fine per il regime di Ben Ali. Il 17 dicembre 2010 un giovane venditore ambulante di frutta e verdura, Mohamed Bouazizi (1984-2011), si dà fuoco nella città di Sidi Bouzid per protestare contro la polizia che gli ha confiscato la merce e contro la politica economica di Ben Ali. È la scintilla per la «rivoluzione dei gelsomini» che si conclude il 14 gennaio 2011 con la fuga di Ben Ali, che va in esilio in Arabia Saudita dopo ventiquattro anni di presidenza della Tunisia. Se è certo che Ben Ali ha perso, la domanda è la solita di tutte le rivoluzioni del Medio Oriente: chi ha vinto? Contro ogni ipotesi complottista, la rivolta tunisina è nata dalla crisi economica e non è stata pianificata a tavolino da forze esterne: certamente non dalla Francia o dagli Stati Uniti, che avevano semmai interesse alla permanenza di Ben Ali, per non parlare dell’Italia, che aveva svolto un ruolo nel portare il generale al potere e aveva trovato con lui un modus vivendi in materia di controllo dell’immigrazione. L’islam politico ha certamente visto di buon occhio la caduta del suo arcinemico Ben Ali. Ma – molto indebolito dalla repressione – non avrebbe certo avuto la forza di organizzare la rivoluzione. All’immediato indomani della rivoluzione, la Tunisia vede il tentativo dei quadri superiori dell’esercito e della burocrazia, fino all’ultimo fedeli a Ben Ali, di cambiare tutto perché tutto rimanga come prima. Esponente e simbolo di questo ambiente è il primo ministro Mohammed Ghannouchi, che si dimette precipitosamente dal partito RCD di Ben Ali e costituisce due successivi governi, non rinunciando neppure a far sparare sulla folla che denuncia subito il tradimento della rivoluzione. Il 27 febbraio 2011 deve dimettersi anche lui, aprendo una fase confusa in cui sono dichiarati legali una quarantina di partiti, ma – se si crede a sondaggi che, nell’attuale situazione tunisina, potrebbero anche essere clamorosamente smentiti – due sole forze politiche contano qualcosa. La prima è quella neo-bourguibista che fa capo all’anziano primo ministro Béji Caïd Essebsi, che ha sostituito Mohammed Ghannouchi. Legatissimo a Bourguiba, al momento della sua destituzione nel 1987 Essebsi è stato nominato ambasciatore in Germania, e in seguito ha mantenuto un basso profilo fino a riemergere nel 2011. La sua ascesa al potere – accompagnata dall’annuncio di misure contro i quadri dirigenti del RCD – segnala come nell’establishment laico tunisino, militare e civile, sia in corso una grande operazione di rivalutazione di Bourguiba. Tutti i mali contro cui è insorta la «rivoluzione dei gelsomini» sono imputati a Ben Ali, il quale avrebbe tradito Bourguiba. Una pagina Facebook dedicata a Bourguiba ha radunato 130.000 fan, superando quelle dei partiti politici tunisini, del martire e iniziatore della rivoluzione Mohamed Bouazizi, e perfino delle stelle del calcio, sport popolarissimo in Tunisia. Si tratta di un vero e proprio ritorno al passato, con Essebsi che si circonda di settantenni e ottantenni, ribattezzati dalla stampa tunisina «il clan del 6 novembre», cioè del giorno precedente al 7 novembre 1987 e al «colpo di Stato medico» contro Bourguiba. Dal punto di vista storico, l’opera di ricostruzione del mito di Bourguiba – che molti, nella giovane popolazione tunisina, non hanno mai conosciuto – comporta più di una falsificazione, perché molti mali dell’epoca di Ben Ali risalgono precisamente a Bourguiba. Ideologicamente, dovrebbe trattarsi di una riaffermazione riveduta e corretta del laicismo che ha sempre caratterizzato la Tunisia indipendente. Ma il neo-bourguibismo di Essebsi appare molto pragmatico e poco ideologico. Si tratta principalmente del tentativo di una classe dirigente intermedia di rimanere al potere evitando le purghe che colpiranno fatalmente i vertici troppo legati a Ben Ali. La principale forza di opposizione al neo-bourguibismo – a credere, con le riserve citate, ai sondaggi, molto indietro rispetto a Essebsi in vista delle elezioni che dovrebbero svolgersi il 24 luglio – è costituita dal partito islamico al-Nahda («La Rinascita»), guidato da Rachid Ghannouchi, tornato dopo la rivoluzione da vent’anni di esilio a Londra. Ghannouchi, il cui partito è la versione tunisina dei Fratelli Musulmani egiziani, mantiene con tutto l’islam politico una durissima posizione anti-israeliana, ma è contestato da esponenti più radicali del suo stesso partito per la sua dichiarata simpatia per forme di democrazia aperta alla religione sul modello statunitense e dell’attuale Turchia del primo ministro Erdogan. Nel partito al-Nahda sembra in corso uno scontro fra correnti e generazionale – nel quale non è sempre chiaro da che parte stia Ghannouchi – fra chi s’ispira al modello egiziano dei Fratelli Musulmani e chi privilegia il modello turco dell’AKP di Erdogan. L’esito di questo scontro è importante per il futuro della Tunisia. I neo-bourguibisti sembrano al momento vincenti, ma l’islam politico ha certamente delle potenzialità di crescita. L’incertezza non aiuta l’Italia, perché governi precari e provvisori non possono prendere né rispettare quegli impegni in materia d’immigrazione che sarebbero cruciali per il nostro Paese. E nello stesso tempo l’incertezza spinge molti a tentare l’avventura migratoria salendo sui barconi. È importante per il nostro Paese continuare a seguire con attenzione l’evoluzione della situazione tunisina, senza legarsi a una sola forza politica e trattando con chiunque offra qualche prospettiva di governare in modo minimamente responsabile. see u, Giangiacomo
domenica 27 marzo 2011
Ecco il vero progetto della Francia che danneggia l'Italia
di Carlo Pelanda, una persona che stimo L’indecisione dell’America che per quasi 60 anni ha presidiato il Mediterraneo, stabilizzandolo sostanzialmente, sta lasciando spazio alle ambizioni neo-imperiali di Francia e Regno Unito. Questa è la vera ragione dell’attacco franco-inglese alla Libia, con timido e riluttante sostegno tecnico degli Stati Uniti, e non certo il motivo umanitario. L’Italia è in grave imbarazzo morale, politico ed economico. Dobbiamo riflettere su come uscire da questa situazione, intanto cercando di capirla. La vera guerra - indiretta, non spaventatevi - è tra Francia e Italia. Non solo per il controllo delle risorse petrolifere della Libia, ma, soprattutto, per ottenere il mandato proconsolare dagli Stati Uniti, in ritirata, per la gestione del Mediterraneo. Sarkozy ne ha bisogno per: (a) recuperare consenso entro un elettorato nazionalista in vista delle elezioni presidenziali; (b) bilanciare con tale ruolo di potenza lo strapotere tedesco sulle questioni economiche e monetarie nell’Eurozona, cioè per poter finanziare in deficit il consenso in violazione delle euroregole; (c) ergersi a potenza protettrice degli arabi sunniti in alleanza privilegiata con l’Arabia Saudita che si sente sempre meno protetta dall’America. Da tempo la Francia ha creato una base militare negli Emirati a protezione dei regimi arabi sunniti contro l’Iran sciita. Infatti sta collaborando con i sauditi per la repressione delle popolazioni sciite in rivolta negli Emirati stessi. Parigi, inoltre, ha il problema di contenere la crescente influenza geoeconomica della Cina nell’Africa francofona, obiettivo per cui ha bisogno del sostegno dei movimenti islamisti. Esattamente quelli, maggioritari in Cirenaica, che si sono ribellati al dominio delle tribù tripolitane alleate di Gheddafi cogliendo l’occasione dei moti popolari in Egitto e Tunisia. Lo scopo finale è quello di portare il petrolio libico entro l’orbita dell’influenza saudita, con un sostanzioso assegno per Parigi se ci riesce. Conoscendo queste cose, Londra si è ingaggiata con la Francia proprio per non lasciarle campo libero, puntando ad obiettivi simili sia proconsolari sia di protettore degli arabi sunniti, questi rilevanti anche perché i loro capitali tengono in vita la piazza finanziaria di Londra. Lo scenario è molto più articolato, ma quanto detto è sufficiente per almeno far sospettare ai lettori quanto sia ridicolo parlare di primavera araba - pur origine reale dei moti, poi strumentalizzati per giochi di potere - e di interventi umanitari. Prova ne è che la risoluzione Onu, il cui testo prevede azioni limitate, è stata violata da Francia e Regno Unito che stanno portando un attacco militare totale contro le tribù della Tripolitania alleate con Gheddafi a favore di quelle islamiste filo-saudite della Cirenaica, sostenuto dalle televisioni a diffusione panaraba controllate dagli Emirati (Al Jazeera e Al Arabjia). Gli sviluppi della situazione descritta comportano gravi rischi di danni economici per l’Italia. Quello della perdita delle nostre concessioni petrolifere in Libia sarebbe il minore, pur pesante per l’Eni. Danni sistemici verrebbero dall’instabilità areale creata dall’azione francese che, se fuori controllo, ed è probabile, colpirebbe l’Algeria, regime laico che i sauditi vorrebbero rovesciare, e complicherebbe la stabilizzazione dell’Egitto, inducendo crisi dei rifornimenti energetici, del nostro export, problemi di immigrazione, ecc. Al momento l’Italia ha deciso di assecondare Parigi per poterla ingabbiare. Ma sarà difficile e bisogna pensare a qualche azione più forte. www.carlopelanda.com see u, Giangiacomo
domenica 20 marzo 2011
La lotta al crocefisso, un «Alzheimer storico»
di Massimo Introvigne
La notizia che arriva da Strasburgo, dove la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso in sede di ricorso e con sentenza definitiva che l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane non viola la libertà religiosa dei non cristiani e degli atei, fa del 18 marzo 2011 una bella giornata per la libertà religiosa. È la prima volta che una sentenza di primo grado resa all’unanimità (sette giudici a zero) è rovesciata dalla Grande Camera della Corte Europea in sede di ricorso, il che mostra come la Corte abbia compreso il rischio insito nella precedente decisione del 3 novembre 2009, che rovesciava la precedente giurisprudenza dello stesso tribunale europeo con argomenti ideologici e fumosi. Si deve essere grati all’attuale governo italiano – pubblicamente ringraziato dal Papa in diverse occasioni, tra cui quella dell’importante discorso del 10 gennaio 2011 al Corpo diplomatico – per avere perseguito con ostinazione il ricorso, e ai governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Russia, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, Romania e Repubblica di San Marino per avere voluto aggiungere i loro nomi a quello dell’Italia nella procedura di ricorso. Per converso, brillano naturalmente per la loro assenza tutti gli altri Stati europei: non stupisce la Spagna di Zapatero, un po’ di più la Germania e la Francia, pure su altre questioni più sensibili ai diritti dei cristiani. La storia giudiziaria della causa include anche il fatto che alla decisione di primo grado abbia partecipato il giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky – noto campione del laicismo più ideologico – il cui mandato alla Corte Europea è terminato, felicemente per i sostenitori del crocefisso, nel gennaio 2010.
Lo studio delle motivazioni della sentenza, già disponibili in lingua inglese ovvero in lingua francese, è molto istruttivo. È vero che la sentenza della Grande Camera è stata raggiunta ad ampia maggioranza – quindici giudici contro due – ma all’interno della maggioranza si sono manifestate opinioni diverse. Vale la pena di leggere anche le motivazioni di chi ha votato contro: il giudice svizzero Giorgio Malinverni e quella bulgara Zdravka Kalaydjieva. Il loro testo, redatto da Malinverni, ribadisce l’argomento laicista secondo cui il crocefisso nelle scuole ha un effetto «incomparabile» sugli studenti e impone con una sorta di violenza la religione a giovani «spiriti che mancano ancora di capacità critica» grazie alla «forza coercitiva dello Stato». Questo laicismo estremo, per fortuna, è rimasto del tutto minoritario nella Grande Camera.
La maggioranza dei giudici ha assunto un atteggiamento di buon senso, ma che per altri versi si potrebbe definire minimalista. Dopo avere ricordato che nell’Europa allargata della Corte di Giustizia – che, va ricordato, non è collegata all’Unione Europea ed è emanazione di tutti i Paesi situati geograficamente in Europa e non solo di quelli UE – solo tre Stati vietano la presenza del crocefisso nelle scuole pubbliche – la Macedonia, la Georgia e la Francia (con l’eccezione dell’Alsazia e della Mosella, cui dopo la Prima guerra mondiale è rimasto uno statuto speciale) –, la Grande Camera non ha coltivato l’argomento «culturale» né, forse giustamente, ha seguito chi affermava che il crocefisso andava mantenuto nelle scuole perché è un simbolo culturale e nazionale piuttosto che religioso. La Grande Camera ha ritenuto il crocefisso un simbolo anzitutto religioso – pure ammettendo che in Italia possa avere assunto anche significati secondari di carattere culturale – ma lo ha definito un «simbolo passivo». Non essendo accompagnato nelle aule scolastiche italiane da un indottrinamento religioso obbligatorio – la Corte ha più volte ritenuto in passato che un insegnamento della religione non obbligatorio non viola la libertà delle minoranze – né da preghiere ugualmente obbligatorie in classe, il crocefisso non ha quegli effetti proselitistici rispetto ai non cattolici denunciati dalla ricorrente nella causa originaria, la signora Soile Lautsi, e dai due giudici della Grande Camera dissenzienti. La sentenza nota anche che il crocefisso è esposto in un contesto come quello italiano dove la libertà religiosa delle minoranze è garantita, e dove – l’esempio è esplicitamente sottolineato – nessuno vieta alle alunne musulmane di presentarsi a scuola con il velo (che copre solo il capo ed è, naturalmente, cosa diversa dal burqa). Nella sostanza si tratta secondo la Grande Camera di materia su cui spetta ai singoli Stati regolarsi come credono.
Probabilmente solo su un’argomentazione come questa – giuridicamente ineccepibile, ma culturalmente debole – si poteva ottenere l’ampia maggioranza che ha portato alla storica vittoria. Tre giudici hanno però voluto aggiungere alla sentenza le loro opinioni personali, favorevoli al dispositivo ma integrative nelle motivazioni. La giudice irlandese Ann Power e quello greco Christos Rozakis hanno introdotto l’elemento culturale del significato identitario del crocefisso nella storia dell’Italia e dell’Europa, sia pure con molta cautela. Esemplare è la motivazione del giudice maltese Giovanni Bonello, il quale definisce l’avversione al crocefisso “una forma di Alzheimer storico”, attacca l’“intolleranza degli agnostici e dei laicisti” e scrive senza infingimenti che “una Corte europea non può mandare alla rovina secoli di tradizione europea”. Bonello ha anche sottolineato come la stessa Corte che aveva vietato il crocefisso aveva non solo consentita, ma dichiarata obbligatoria contro un divieto che il governo turco aveva cercato d’imporre, la diffusione presso i giovani e nelle scuole del romanzo Le undicimila vergini di Guillaume Apollinaire (1880-1918), opera certo di un letterato noto ma che inneggia «al sadismo e alla pedofilia». «Sarebbe stato molto strano, secondo me – conclude Bonello – che la Corte avesse difeso e protetto questo ammasso abbastanza mediocre di oscenità nauseanti, che a lungo ha circolato clandestinamente, fondandosi su una sua vaga appartenenza al ‘patrimonio europeo’ e nello stesso tempo avesse negato il valore di patrimonio europeo a un emblema che milioni di Europei hanno riconosciuto lungo tanti secoli come un simbolo senza tempo di redenzione attraverso l’amore universale».
see u,
Giangiacomo
La notizia che arriva da Strasburgo, dove la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso in sede di ricorso e con sentenza definitiva che l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane non viola la libertà religiosa dei non cristiani e degli atei, fa del 18 marzo 2011 una bella giornata per la libertà religiosa. È la prima volta che una sentenza di primo grado resa all’unanimità (sette giudici a zero) è rovesciata dalla Grande Camera della Corte Europea in sede di ricorso, il che mostra come la Corte abbia compreso il rischio insito nella precedente decisione del 3 novembre 2009, che rovesciava la precedente giurisprudenza dello stesso tribunale europeo con argomenti ideologici e fumosi. Si deve essere grati all’attuale governo italiano – pubblicamente ringraziato dal Papa in diverse occasioni, tra cui quella dell’importante discorso del 10 gennaio 2011 al Corpo diplomatico – per avere perseguito con ostinazione il ricorso, e ai governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Russia, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, Romania e Repubblica di San Marino per avere voluto aggiungere i loro nomi a quello dell’Italia nella procedura di ricorso. Per converso, brillano naturalmente per la loro assenza tutti gli altri Stati europei: non stupisce la Spagna di Zapatero, un po’ di più la Germania e la Francia, pure su altre questioni più sensibili ai diritti dei cristiani. La storia giudiziaria della causa include anche il fatto che alla decisione di primo grado abbia partecipato il giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky – noto campione del laicismo più ideologico – il cui mandato alla Corte Europea è terminato, felicemente per i sostenitori del crocefisso, nel gennaio 2010.
Lo studio delle motivazioni della sentenza, già disponibili in lingua inglese ovvero in lingua francese, è molto istruttivo. È vero che la sentenza della Grande Camera è stata raggiunta ad ampia maggioranza – quindici giudici contro due – ma all’interno della maggioranza si sono manifestate opinioni diverse. Vale la pena di leggere anche le motivazioni di chi ha votato contro: il giudice svizzero Giorgio Malinverni e quella bulgara Zdravka Kalaydjieva. Il loro testo, redatto da Malinverni, ribadisce l’argomento laicista secondo cui il crocefisso nelle scuole ha un effetto «incomparabile» sugli studenti e impone con una sorta di violenza la religione a giovani «spiriti che mancano ancora di capacità critica» grazie alla «forza coercitiva dello Stato». Questo laicismo estremo, per fortuna, è rimasto del tutto minoritario nella Grande Camera.
La maggioranza dei giudici ha assunto un atteggiamento di buon senso, ma che per altri versi si potrebbe definire minimalista. Dopo avere ricordato che nell’Europa allargata della Corte di Giustizia – che, va ricordato, non è collegata all’Unione Europea ed è emanazione di tutti i Paesi situati geograficamente in Europa e non solo di quelli UE – solo tre Stati vietano la presenza del crocefisso nelle scuole pubbliche – la Macedonia, la Georgia e la Francia (con l’eccezione dell’Alsazia e della Mosella, cui dopo la Prima guerra mondiale è rimasto uno statuto speciale) –, la Grande Camera non ha coltivato l’argomento «culturale» né, forse giustamente, ha seguito chi affermava che il crocefisso andava mantenuto nelle scuole perché è un simbolo culturale e nazionale piuttosto che religioso. La Grande Camera ha ritenuto il crocefisso un simbolo anzitutto religioso – pure ammettendo che in Italia possa avere assunto anche significati secondari di carattere culturale – ma lo ha definito un «simbolo passivo». Non essendo accompagnato nelle aule scolastiche italiane da un indottrinamento religioso obbligatorio – la Corte ha più volte ritenuto in passato che un insegnamento della religione non obbligatorio non viola la libertà delle minoranze – né da preghiere ugualmente obbligatorie in classe, il crocefisso non ha quegli effetti proselitistici rispetto ai non cattolici denunciati dalla ricorrente nella causa originaria, la signora Soile Lautsi, e dai due giudici della Grande Camera dissenzienti. La sentenza nota anche che il crocefisso è esposto in un contesto come quello italiano dove la libertà religiosa delle minoranze è garantita, e dove – l’esempio è esplicitamente sottolineato – nessuno vieta alle alunne musulmane di presentarsi a scuola con il velo (che copre solo il capo ed è, naturalmente, cosa diversa dal burqa). Nella sostanza si tratta secondo la Grande Camera di materia su cui spetta ai singoli Stati regolarsi come credono.
Probabilmente solo su un’argomentazione come questa – giuridicamente ineccepibile, ma culturalmente debole – si poteva ottenere l’ampia maggioranza che ha portato alla storica vittoria. Tre giudici hanno però voluto aggiungere alla sentenza le loro opinioni personali, favorevoli al dispositivo ma integrative nelle motivazioni. La giudice irlandese Ann Power e quello greco Christos Rozakis hanno introdotto l’elemento culturale del significato identitario del crocefisso nella storia dell’Italia e dell’Europa, sia pure con molta cautela. Esemplare è la motivazione del giudice maltese Giovanni Bonello, il quale definisce l’avversione al crocefisso “una forma di Alzheimer storico”, attacca l’“intolleranza degli agnostici e dei laicisti” e scrive senza infingimenti che “una Corte europea non può mandare alla rovina secoli di tradizione europea”. Bonello ha anche sottolineato come la stessa Corte che aveva vietato il crocefisso aveva non solo consentita, ma dichiarata obbligatoria contro un divieto che il governo turco aveva cercato d’imporre, la diffusione presso i giovani e nelle scuole del romanzo Le undicimila vergini di Guillaume Apollinaire (1880-1918), opera certo di un letterato noto ma che inneggia «al sadismo e alla pedofilia». «Sarebbe stato molto strano, secondo me – conclude Bonello – che la Corte avesse difeso e protetto questo ammasso abbastanza mediocre di oscenità nauseanti, che a lungo ha circolato clandestinamente, fondandosi su una sua vaga appartenenza al ‘patrimonio europeo’ e nello stesso tempo avesse negato il valore di patrimonio europeo a un emblema che milioni di Europei hanno riconosciuto lungo tanti secoli come un simbolo senza tempo di redenzione attraverso l’amore universale».
see u,
Giangiacomo
domenica 13 marzo 2011
Riforma Art. 41
Un diritto effettivo a tutela della concorrenza
di Massimiliano Vatiero
Come molte cose in Italia, certi argomenti tornano regolarmente di moda nel dibattito politico; è questo il caso della riforma dell’art. 41 della Carta Costituzionale. Una riforma che secondo le intenzioni del Governo Berlusconi, dovrebbe togliere regole piuttosto che aggiungerle in ossequio al principio “è lecito tutto ciò che non è vietato”.
Ma all’Italia, a ben vedere, occorrerebbe una riforma della “Costituzione economica”, che comporti un appesantimento della regola costituzionale, innalzando la tutela della concorrenza a rango costituzionale, proprio per salvaguardare in un’ottica fortemente liberale gli individui da interventi discrezionali e distorsivi del potere politico nel mercato e nella sfera economica.
Anche se sia le forze di sinistra sia alcune aree cattoliche manifestarono una certa ostilità al mercato come strumento preminente per allocare beni e per massimizzare il benessere dei cittadini, i Costituenti dovettero obtorto collo riconoscere l’iniziativa dei privati, indispensabile per la ricostruzione del Paese e necessaria per includere l’Italia all’interno di un modello di sviluppo economico diverso da quello dei regimi comunisti. La formulazione dell’art. 41 della Costituzione si dimostra quindi, oggi come ieri, terreno fertile sia per i fautori della libera concorrenza che per i fautori dell’interventismo pubblico nell’economia. Il monopolio (che Einaudi definiva “il male più profondo della società presente”), fu contrastato non tramite politiche della concorrenza bensì con la collettivizzazione (vedasi art. 43 della Costituzione) o con enti appositi, come fu il Comitato Interministeriale Prezzi. Anche se negli anni ’50 si registrano diversi tentativi senza successo per una legge anti-monopolistica, è solo con le pressioni provenienti dalla Comunità Europea che l’Italia si è dotata di un diritto antitrust (legge n. 287 del 10/10/1990) in cui nell’art. 1 si richiamano i valori insiti nell’art. 41 della Costituzione.
D’altro canto questi 20 anni circa di applicazione del diritto antitrust in Italia hanno mostrato quanto sia dannosa la mancanza di un riferimento esplicito nella Costituzione alla tutela della concorrenza nel mercato. Se è vero infatti che l’art. 41 e seguenti non hanno impedito processi di liberalizzazione, è anche vero che non hanno frenato interventi illiberali in economia del potere politico. Una interpretazione del liberalismo europeo (leggasi, Scuola di Friburgo od ordoliberali) può essere utile a questo punto. Il pensiero ordoliberale ritiene che un forte diritto della concorrenza protegga gli individui sia da abusi del potere privato nel mercato sia dalla discrezionalità del potere politico. Un diritto effettivo a tutela della concorrenza, in altri termini, libera l’iniziativa imprenditoriale promuovendo la contendibilità di mercato, salvaguarda ed estende il benessere del consumatore, ma anche argina le politiche industriali attive di una nazione alla sola tutela della concorrenza. In questa prospettiva, tanto più in un paese come l’Italia, il liberale non deve preoccuparsi meramente di tutto ciò che non è vietato, ma anche richiedere vincoli stringenti a iniziative politiche tese a modificare discrezionalmente tali divieti. Solo per citare due esempi recenti: (i) la disciplina eccezionale dettata per il salvataggio di Alitalia, che oltre a gravare sui contribuenti, ha introdotto una serie di restrizioni alla concorrenza che hanno determinato e continuano a generare svantaggi per i consumatori sulle rotte nazionali; (ii) il ritardo nella nomina dei vertici AEEG, che non solo penalizza i consumatori, ma gli stessi operatori. In questo senso un esplicito riferimento alla tutela della concorrenza come valore costituzionale può regolamentare tali intromissioni o inadempienze del potere politico.
Inoltre la tutela della concorrenza, includendo la difesa di mercati contendibili, implica una libertà effettiva di iniziativa privata; per questo, in una riformulazione dell’art. 41 potrebbe essere sufficiente un riferimento alla difesa di mercati concorrenziali per assolvere anche quanto già previsto nel primo comma dell’odierno art. 41. Nel caso in cui invece si ritenesse comunque di mantenere un’affermazione esplicita alla libertà di iniziativa privata, occorrerebbe aggiungere che tale libertà non è appannaggio solo dell’imprenditore ma anche del consumatore. Infatti il consumatore valutando i prezzi relativi dei beni sul mercato, premiando o punendo un produttore, domandando un certo tipo di qualità piuttosto che un’altra, ha un ruolo “di iniziativa economica” non secondario rispetto a quello dell’imprenditore. In questo senso la revisione dell’art. 41 dovrebbe introdurre un riferimento esplicito alla difesa ed estensione del benessere del consumatore come manifestazione della libertà costituzionale di iniziativa privata.
In questa prospettiva l’articolo 41 dovrebbe essere riformulato in maniera tale da comprendervi come comma quanto segue: «La legge tutela e promuove la concorrenza effettiva nei mercati, difendendo la libera iniziativa economica dei privati e garantendo gli interessi del consumatore o utente».
see u,
Giangiacomo
di Massimiliano Vatiero
Come molte cose in Italia, certi argomenti tornano regolarmente di moda nel dibattito politico; è questo il caso della riforma dell’art. 41 della Carta Costituzionale. Una riforma che secondo le intenzioni del Governo Berlusconi, dovrebbe togliere regole piuttosto che aggiungerle in ossequio al principio “è lecito tutto ciò che non è vietato”.
Ma all’Italia, a ben vedere, occorrerebbe una riforma della “Costituzione economica”, che comporti un appesantimento della regola costituzionale, innalzando la tutela della concorrenza a rango costituzionale, proprio per salvaguardare in un’ottica fortemente liberale gli individui da interventi discrezionali e distorsivi del potere politico nel mercato e nella sfera economica.
Anche se sia le forze di sinistra sia alcune aree cattoliche manifestarono una certa ostilità al mercato come strumento preminente per allocare beni e per massimizzare il benessere dei cittadini, i Costituenti dovettero obtorto collo riconoscere l’iniziativa dei privati, indispensabile per la ricostruzione del Paese e necessaria per includere l’Italia all’interno di un modello di sviluppo economico diverso da quello dei regimi comunisti. La formulazione dell’art. 41 della Costituzione si dimostra quindi, oggi come ieri, terreno fertile sia per i fautori della libera concorrenza che per i fautori dell’interventismo pubblico nell’economia. Il monopolio (che Einaudi definiva “il male più profondo della società presente”), fu contrastato non tramite politiche della concorrenza bensì con la collettivizzazione (vedasi art. 43 della Costituzione) o con enti appositi, come fu il Comitato Interministeriale Prezzi. Anche se negli anni ’50 si registrano diversi tentativi senza successo per una legge anti-monopolistica, è solo con le pressioni provenienti dalla Comunità Europea che l’Italia si è dotata di un diritto antitrust (legge n. 287 del 10/10/1990) in cui nell’art. 1 si richiamano i valori insiti nell’art. 41 della Costituzione.
D’altro canto questi 20 anni circa di applicazione del diritto antitrust in Italia hanno mostrato quanto sia dannosa la mancanza di un riferimento esplicito nella Costituzione alla tutela della concorrenza nel mercato. Se è vero infatti che l’art. 41 e seguenti non hanno impedito processi di liberalizzazione, è anche vero che non hanno frenato interventi illiberali in economia del potere politico. Una interpretazione del liberalismo europeo (leggasi, Scuola di Friburgo od ordoliberali) può essere utile a questo punto. Il pensiero ordoliberale ritiene che un forte diritto della concorrenza protegga gli individui sia da abusi del potere privato nel mercato sia dalla discrezionalità del potere politico. Un diritto effettivo a tutela della concorrenza, in altri termini, libera l’iniziativa imprenditoriale promuovendo la contendibilità di mercato, salvaguarda ed estende il benessere del consumatore, ma anche argina le politiche industriali attive di una nazione alla sola tutela della concorrenza. In questa prospettiva, tanto più in un paese come l’Italia, il liberale non deve preoccuparsi meramente di tutto ciò che non è vietato, ma anche richiedere vincoli stringenti a iniziative politiche tese a modificare discrezionalmente tali divieti. Solo per citare due esempi recenti: (i) la disciplina eccezionale dettata per il salvataggio di Alitalia, che oltre a gravare sui contribuenti, ha introdotto una serie di restrizioni alla concorrenza che hanno determinato e continuano a generare svantaggi per i consumatori sulle rotte nazionali; (ii) il ritardo nella nomina dei vertici AEEG, che non solo penalizza i consumatori, ma gli stessi operatori. In questo senso un esplicito riferimento alla tutela della concorrenza come valore costituzionale può regolamentare tali intromissioni o inadempienze del potere politico.
Inoltre la tutela della concorrenza, includendo la difesa di mercati contendibili, implica una libertà effettiva di iniziativa privata; per questo, in una riformulazione dell’art. 41 potrebbe essere sufficiente un riferimento alla difesa di mercati concorrenziali per assolvere anche quanto già previsto nel primo comma dell’odierno art. 41. Nel caso in cui invece si ritenesse comunque di mantenere un’affermazione esplicita alla libertà di iniziativa privata, occorrerebbe aggiungere che tale libertà non è appannaggio solo dell’imprenditore ma anche del consumatore. Infatti il consumatore valutando i prezzi relativi dei beni sul mercato, premiando o punendo un produttore, domandando un certo tipo di qualità piuttosto che un’altra, ha un ruolo “di iniziativa economica” non secondario rispetto a quello dell’imprenditore. In questo senso la revisione dell’art. 41 dovrebbe introdurre un riferimento esplicito alla difesa ed estensione del benessere del consumatore come manifestazione della libertà costituzionale di iniziativa privata.
In questa prospettiva l’articolo 41 dovrebbe essere riformulato in maniera tale da comprendervi come comma quanto segue: «La legge tutela e promuove la concorrenza effettiva nei mercati, difendendo la libera iniziativa economica dei privati e garantendo gli interessi del consumatore o utente».
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Giangiacomo
sabato 12 marzo 2011
Concorrenza come bene pubblico
“L’Italia ha bisogno di più concorrenza a tutti i livelli della
sua vita pubblica – scrive Montezemolo - nelle fasi di espansione
economica, sono stati la concorrenza e il mercato ad aver fatto
crescere il mondo a ritmi sconosciuti. Non possiamo frenare il mondo,
perché noi possiamo farcela”.
Continua Montezemolo:
“Abbiamo un Paese meraviglioso e abbiamo bisogno di mercati liberi
dove le imprese possano crescere e competere. Mercati liberi fanno
imprese libere di crescere e di competere. Sta avvenendo il contrario
di quanto sarebbe necessario: invece di liberalizzare il mercato, si
allarga la concorrenza sleale di chi opera in regimi protetti con i
soldi dei cittadini”.
see u,
Giangiacomo
sua vita pubblica – scrive Montezemolo - nelle fasi di espansione
economica, sono stati la concorrenza e il mercato ad aver fatto
crescere il mondo a ritmi sconosciuti. Non possiamo frenare il mondo,
perché noi possiamo farcela”.
Continua Montezemolo:
“Abbiamo un Paese meraviglioso e abbiamo bisogno di mercati liberi
dove le imprese possano crescere e competere. Mercati liberi fanno
imprese libere di crescere e di competere. Sta avvenendo il contrario
di quanto sarebbe necessario: invece di liberalizzare il mercato, si
allarga la concorrenza sleale di chi opera in regimi protetti con i
soldi dei cittadini”.
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Giangiacomo
sabato 5 marzo 2011
La Dottrina Sociale della Chiesa è la risposta alla crisi
Lezione di economia di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello IOR
La crisi economica e le sue radici, la legge naturale ignorata, la creazione di un benessere puramente materiale e la delocalizzazione sono alcune delle problematiche collegate all'Enciclica Caritas in Veritate che sono state al centro di una lezione magistrale del presidente dell'Istituto per le Opere di Religione (IOR), Ettore Gotti Tedeschi, al termine del seminario “Economia sociale e di mercato: una nuova visione”, mercoledì nella sede di Via Poli della Camera dei Deputati.
Gotti tedeschi ha ricordato che l'economia di mercato è stata definita dall'economista italiano Luigi Einaudi “una terza via tra capitalismo e socialismo, che assicura la libertà dell'individuo frenando il suo istinto egoistico, attraverso criteri imposti di sussidarietà e di solidarietà. Né statalismo né capitalismo esagerato”.
“Ma perché funzioni – questa è la mia opinione - deve fondarsi sulla Dottrina Sociale della Chiesa, non solo perché ha esperienza, ma perché ha valore”, ha detto.
Il banchiere ha considerato che “la Dottrina Sociale della Chiesa è stata il modo per rendere effettiva la carità, anche se - come dice il Papa nell’Enciclica - la carità svincolata dalla verità non sta in piedi”.
La Dottrina Sociale della Chiesa, per poter funzionare, ha tuttavia bisogno di due grandi pilastri: “insegnare, perché la Chiesa sia maestra, e che lo Stato non sia troppo avido”.
Il presidente dello IOR ha spiegato che “l’economia sociale di mercato, come primo grande obiettivo, deve utilizzare le risorse disponibili nel modo più efficiente e trarre in modo efficace i risultati. Come secondo obiettivo, deve assicurare un progresso integrale, tenendo presente l’unità anima e corpo dell'uomo. Per finire, deve distribuire la ricchezza creata, non tanto per una questione di carità, ma per sostenibilità”. “L’uomo economico sa che non ci può essere un’economia con molti poveri e pochi ricchi”, ha precisato.
“Questi obiettivi che sono stati incorporati dalla Dottrina Sociale della Chiesa sono stati raggiunti?”, si è chiesto. “No – ha risposto –; abbiamo sprecato le risorse, abbiamo fatto uno sviluppo economico soltanto materiale e non abbiamo distribuito la ricchezza. Quindi l’economia è fallita in tutto”.
“Perché negli ultimi trent’anni non si è osservata la Dottrina Sociale della Chiesa”, ha indicato. “In cosa non è stata interpretata? Fondamentalmente in tre aspetti: la legge naturale è stata ignorata totalmente, si è cercato un benessere soltanto materialsitico e invece di distribuzione si è fatta delocalizzazione”.
“Leggete questa Enciclica, la Caritas in Veritate”, ha invitato Gotti Tedeschi. “Molti pensano che sia noiosissima perché hanno letto un riassunto sui giornali. Qui il Santo Padre spiega perché ci troviamo nell’attuale crisi economica. Se venisse letta e discussa, che vantaggio sarebbe per l’umanità!”.
Crisi di senso
“L’Enciclica dice che se la libertà viene prima della verità, l’uomo raramente - l’uomo immaturo - arriva alla verità, e quindi non sa distinguere tra fini e mezzi e confonde l’uso degli strumenti. E gli strumenti sono neutrali. Non c’è la banca etica, non c’è la finanza etica, c’è l’uomo etico che fa la finanza in modo morale ed etico. Il medico e il filosofo lo devono fare in modo etico, cioè dando senso alle sue azioni”.
E ha aggiunto: “Se la vita non ha senso, è inutile chiedere al banchiere il senso della banca. Ma perché ve la prendete con i banchieri se la vita non ha senso, se siamo animali che ci limitiamo a mangiare e altre cose? Come si può pensare che un uomo che fa il banchiere, il finanziere, il medico, il politico, dia un senso? Se la vita non ha senso, godiamoci la vita”.
“Nell’introduzione dell’Enciclica, il Papa dice che se l’uomo non inizia a ragionare e a dar senso alla sua vita, gli strumenti, la politica, la medicina, prendono il sopravvento e autonomia morale. Lo strumento non può avere autonomia morale, è l’uomo che dà senso all'uso degli strumenti”.
Si è quindi riferito all’importanza di questo testo dal punto di vista economico. “Doveva uscire nel 2007 ed è stata rimandata al 2009, perché la crisi stava modificando tutti gli scenari. L’Enciclica è un richiamo pastorale e dottrinale fuori dal tempo, ma nel tempo deve prende in considerazione i problemi specifici”.
“E Benedetto XVI nella Caritas in Veritate ricorda cosa ha detto Paolo VI nella Populorun progressio e nella Humanae Vitae: che non si può prescindere dalle azioni umane e dal rispetto totale della vita, e che non si può fare un piano di sviluppo economico se il progresso è soltanto materiale, perché l’uomo non è soltanto un animale materiale”.
Eutanasia e bilancio
Gotti Tedeschi ha quindi ricordato che “abbiamo negato la dignità della vita e realizzato un progresso soltanto materialistico. E oggi è in discussione la legge sul fine vita. Provocatoriamente dirò: no, è economia, perché non si possono mantenere i vecchi, che costano troppo, se non nascono i bambini, è una questione di bilancio”.
“Quando le persone escono dal ciclo produttivo costano in sanità e pensione. Che succede nella struttura di una società che non ha ricambio generazionale con due figli a coppia? Se la struttura rimane uguale, come fa ad aumentare il PIL?”.
Il relatore a questo punto ha spiegato che “se il numero di popolazione resta inalterato, il PIL aumenta soltanto se aumentano i consumi pro capite; anche i bambini devono consumare, e ci vogliono tante vacanze per i vecchietti. Ma la popolazione che numericamente resta uguale produce l’aumento dei costi fissi da supportare, perché aumenta più la popolazione che costa rispetto a quella che produce, e il sistema sociale deve assorbire la crescita dei costi fissi”.
Come si copre questa spesa? In Italia, ha detto, “con le tasse. Nel 1975, con una crescita del 4 per cento l’anno le tasse erano il 25 per cento del PIL, oggi sono il 50 per cento. Quindi i consumatori hanno meno potere d’acquisto e le aziende meno possibilità di investire. Vale a dire, c’è meno risparmio. Il denaro costa di più e si devono aumentare i derivati”.
“Questo è contenuto nell’Enciclica – ha ribadito Gotti Tedeschi –. E nei principi dice che abbiamo negato: la vita e uno sviluppo integrale”.
Falsa crescita
Per di più, “in un mondo occidentale a tasso di crescita zero abbiamo fatto consumare di più la persona per aumentare il PIL. Come la si fa spendere di più? Facendola guadagnare di più. Ma se il ciclo economico e piatto? Intanto non si fa più risparmio. Negli ultimi 25 anni il tasso di risparmio è sceso dal 25 per cento al 6 per cento”.
Quindi, “per aumentare la produttività si impiegano più macchine e alti volumi di produzione. E fin qui questo fenomeno è accettabile. Ma abbiamo fatto la delocalizzazione. Una serie di beni che in Europa avevano un prezzo, fatti in Asia costano la metà. Quindi è un modo per aumentare il potere d’acquisto”. Il paradosso è che bisogna “consumare sempre di più in Occidente e produrre sempre di meno, mentre in Asia aumentano la produzione e non consumano”.
Quale l’eccesso di questo sistema? “Quando si è passati da un consumo alto al consumo a debito. Guadagno 100, spendo 100, il mio PIL è 100. E per aumentare il proprio PIL si chiede un prestito in banca. Un anno di stipendio futuro lo spendo oggi, e il mio PIL è aumentato del 100 per cento, ma anche il debito delle famiglie”.
Il relatore ha presentato alcuni dati: “Dal 1990 al 2008 , dato certo, la spesa delle famiglie americane è passata dal 68 per cento al 98 per cento grazie all’indebitamento. Ma se la famiglia non paga, la banca fallisce. E quindi negli Stati Uniti hanno nazionalizzato il debito dei privati. Il sistema passa così da un debito del 200 per cento del 1998 al 300 per cento nel 2008”.
Ma è possibile ridurre il debito? Gotti Tedeschi ha ricordato che i tre sistemi sono un default come quello argentino, l’inflazione - una nuova bolla - e quello che insegna il Papa: l’austerità.
“Si ritorni a risparmiare per formare la base monetaria, e a costruire - ha detto -. In più, il 60 per cento delle cose che si consumano non crea mano d’opera”.
E ha ricordato il caso italiano di alcune imprese nelle quali l’amministratore delegato ha detto “O mi permettete di lavorare in questo modo o delocalizzo”.
Dal punto di vista economico, “l’uomo ha tre dimensioni: produttore, consumatore, risparmiatore. Fino a 20 anni fa le dimensioni erano coerenti. Ora lavoro e produco un prodotto, ma ne compro uno simile in Asia, migliore e che costa di meno. Dopo tre anni la mia azienda che produceva quel prodotto fallisce, e quindi non risparmio più e non spendo più”.
“Questo è il paradosso della globalizzazione consumistica. E' quello che il Papa chiama sviluppo economico non integrato. Perché l’uomo ha pensato di non avere un'anima, soltanto un corpo ed ecco l’influenza del nichilismo e del relativismo”.
“Come diceva l’ex Ministro Umberto Veronesi, 'è inutile pensare che l’uomo abbia una scintilla di divino, quando l’uomo solamente è un animale intelligente’. Mangiate e divertitevi, e poi si lamentano se qualcuno lo fa un po’ troppo”.
L'Italia è stata sussidiaria?, si è chiesto il presidente dello IOR. “Fino al 1995, quasi il 65 per cento del PIL era in mano allo Stato: Eni, Iri ecc. Le banche erano pubbliche tranne due banchette. E la più grande impressa privata è stata definita così: quando guadagna è privata, quando perde è pubblica”.
Gotti Tedeschi ha ricordato che “per entrare nell’euro dovevamo privatizzare. Ma abbiamo privatizzato? Per privatizzare c’è uno che vende e uno che compra e paga. Che si vendeva? imprese molto grandi e inefficienti, e chi è che le compra? Gli stranieri no. E come fanno gli italiani? Ci siamo inventati di far finanziare l’acquisto dalle banche. Se le avessimo regalate non avremmo assorbito quella massa di soldi, che avrebbero potuto andare alle vere imprese trainanti, le Pmi”.
“Un esempio soltanto: non dico che sia la verità. Alla fine della guerra fredda, Washington spendeva un 4,5 per cento del PIL in armamenti, e dopo l’11 settembre questa spesa è salita all’11 per cento. Come si fa ad assorbire questa spesa se non si inventano i subprime? Bush nell’ultimo G8 lo ha riconosciuto: si è speso di più di quanto si poteva”.
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Giangiacomo
La crisi economica e le sue radici, la legge naturale ignorata, la creazione di un benessere puramente materiale e la delocalizzazione sono alcune delle problematiche collegate all'Enciclica Caritas in Veritate che sono state al centro di una lezione magistrale del presidente dell'Istituto per le Opere di Religione (IOR), Ettore Gotti Tedeschi, al termine del seminario “Economia sociale e di mercato: una nuova visione”, mercoledì nella sede di Via Poli della Camera dei Deputati.
Gotti tedeschi ha ricordato che l'economia di mercato è stata definita dall'economista italiano Luigi Einaudi “una terza via tra capitalismo e socialismo, che assicura la libertà dell'individuo frenando il suo istinto egoistico, attraverso criteri imposti di sussidarietà e di solidarietà. Né statalismo né capitalismo esagerato”.
“Ma perché funzioni – questa è la mia opinione - deve fondarsi sulla Dottrina Sociale della Chiesa, non solo perché ha esperienza, ma perché ha valore”, ha detto.
Il banchiere ha considerato che “la Dottrina Sociale della Chiesa è stata il modo per rendere effettiva la carità, anche se - come dice il Papa nell’Enciclica - la carità svincolata dalla verità non sta in piedi”.
La Dottrina Sociale della Chiesa, per poter funzionare, ha tuttavia bisogno di due grandi pilastri: “insegnare, perché la Chiesa sia maestra, e che lo Stato non sia troppo avido”.
Il presidente dello IOR ha spiegato che “l’economia sociale di mercato, come primo grande obiettivo, deve utilizzare le risorse disponibili nel modo più efficiente e trarre in modo efficace i risultati. Come secondo obiettivo, deve assicurare un progresso integrale, tenendo presente l’unità anima e corpo dell'uomo. Per finire, deve distribuire la ricchezza creata, non tanto per una questione di carità, ma per sostenibilità”. “L’uomo economico sa che non ci può essere un’economia con molti poveri e pochi ricchi”, ha precisato.
“Questi obiettivi che sono stati incorporati dalla Dottrina Sociale della Chiesa sono stati raggiunti?”, si è chiesto. “No – ha risposto –; abbiamo sprecato le risorse, abbiamo fatto uno sviluppo economico soltanto materiale e non abbiamo distribuito la ricchezza. Quindi l’economia è fallita in tutto”.
“Perché negli ultimi trent’anni non si è osservata la Dottrina Sociale della Chiesa”, ha indicato. “In cosa non è stata interpretata? Fondamentalmente in tre aspetti: la legge naturale è stata ignorata totalmente, si è cercato un benessere soltanto materialsitico e invece di distribuzione si è fatta delocalizzazione”.
“Leggete questa Enciclica, la Caritas in Veritate”, ha invitato Gotti Tedeschi. “Molti pensano che sia noiosissima perché hanno letto un riassunto sui giornali. Qui il Santo Padre spiega perché ci troviamo nell’attuale crisi economica. Se venisse letta e discussa, che vantaggio sarebbe per l’umanità!”.
Crisi di senso
“L’Enciclica dice che se la libertà viene prima della verità, l’uomo raramente - l’uomo immaturo - arriva alla verità, e quindi non sa distinguere tra fini e mezzi e confonde l’uso degli strumenti. E gli strumenti sono neutrali. Non c’è la banca etica, non c’è la finanza etica, c’è l’uomo etico che fa la finanza in modo morale ed etico. Il medico e il filosofo lo devono fare in modo etico, cioè dando senso alle sue azioni”.
E ha aggiunto: “Se la vita non ha senso, è inutile chiedere al banchiere il senso della banca. Ma perché ve la prendete con i banchieri se la vita non ha senso, se siamo animali che ci limitiamo a mangiare e altre cose? Come si può pensare che un uomo che fa il banchiere, il finanziere, il medico, il politico, dia un senso? Se la vita non ha senso, godiamoci la vita”.
“Nell’introduzione dell’Enciclica, il Papa dice che se l’uomo non inizia a ragionare e a dar senso alla sua vita, gli strumenti, la politica, la medicina, prendono il sopravvento e autonomia morale. Lo strumento non può avere autonomia morale, è l’uomo che dà senso all'uso degli strumenti”.
Si è quindi riferito all’importanza di questo testo dal punto di vista economico. “Doveva uscire nel 2007 ed è stata rimandata al 2009, perché la crisi stava modificando tutti gli scenari. L’Enciclica è un richiamo pastorale e dottrinale fuori dal tempo, ma nel tempo deve prende in considerazione i problemi specifici”.
“E Benedetto XVI nella Caritas in Veritate ricorda cosa ha detto Paolo VI nella Populorun progressio e nella Humanae Vitae: che non si può prescindere dalle azioni umane e dal rispetto totale della vita, e che non si può fare un piano di sviluppo economico se il progresso è soltanto materiale, perché l’uomo non è soltanto un animale materiale”.
Eutanasia e bilancio
Gotti Tedeschi ha quindi ricordato che “abbiamo negato la dignità della vita e realizzato un progresso soltanto materialistico. E oggi è in discussione la legge sul fine vita. Provocatoriamente dirò: no, è economia, perché non si possono mantenere i vecchi, che costano troppo, se non nascono i bambini, è una questione di bilancio”.
“Quando le persone escono dal ciclo produttivo costano in sanità e pensione. Che succede nella struttura di una società che non ha ricambio generazionale con due figli a coppia? Se la struttura rimane uguale, come fa ad aumentare il PIL?”.
Il relatore a questo punto ha spiegato che “se il numero di popolazione resta inalterato, il PIL aumenta soltanto se aumentano i consumi pro capite; anche i bambini devono consumare, e ci vogliono tante vacanze per i vecchietti. Ma la popolazione che numericamente resta uguale produce l’aumento dei costi fissi da supportare, perché aumenta più la popolazione che costa rispetto a quella che produce, e il sistema sociale deve assorbire la crescita dei costi fissi”.
Come si copre questa spesa? In Italia, ha detto, “con le tasse. Nel 1975, con una crescita del 4 per cento l’anno le tasse erano il 25 per cento del PIL, oggi sono il 50 per cento. Quindi i consumatori hanno meno potere d’acquisto e le aziende meno possibilità di investire. Vale a dire, c’è meno risparmio. Il denaro costa di più e si devono aumentare i derivati”.
“Questo è contenuto nell’Enciclica – ha ribadito Gotti Tedeschi –. E nei principi dice che abbiamo negato: la vita e uno sviluppo integrale”.
Falsa crescita
Per di più, “in un mondo occidentale a tasso di crescita zero abbiamo fatto consumare di più la persona per aumentare il PIL. Come la si fa spendere di più? Facendola guadagnare di più. Ma se il ciclo economico e piatto? Intanto non si fa più risparmio. Negli ultimi 25 anni il tasso di risparmio è sceso dal 25 per cento al 6 per cento”.
Quindi, “per aumentare la produttività si impiegano più macchine e alti volumi di produzione. E fin qui questo fenomeno è accettabile. Ma abbiamo fatto la delocalizzazione. Una serie di beni che in Europa avevano un prezzo, fatti in Asia costano la metà. Quindi è un modo per aumentare il potere d’acquisto”. Il paradosso è che bisogna “consumare sempre di più in Occidente e produrre sempre di meno, mentre in Asia aumentano la produzione e non consumano”.
Quale l’eccesso di questo sistema? “Quando si è passati da un consumo alto al consumo a debito. Guadagno 100, spendo 100, il mio PIL è 100. E per aumentare il proprio PIL si chiede un prestito in banca. Un anno di stipendio futuro lo spendo oggi, e il mio PIL è aumentato del 100 per cento, ma anche il debito delle famiglie”.
Il relatore ha presentato alcuni dati: “Dal 1990 al 2008 , dato certo, la spesa delle famiglie americane è passata dal 68 per cento al 98 per cento grazie all’indebitamento. Ma se la famiglia non paga, la banca fallisce. E quindi negli Stati Uniti hanno nazionalizzato il debito dei privati. Il sistema passa così da un debito del 200 per cento del 1998 al 300 per cento nel 2008”.
Ma è possibile ridurre il debito? Gotti Tedeschi ha ricordato che i tre sistemi sono un default come quello argentino, l’inflazione - una nuova bolla - e quello che insegna il Papa: l’austerità.
“Si ritorni a risparmiare per formare la base monetaria, e a costruire - ha detto -. In più, il 60 per cento delle cose che si consumano non crea mano d’opera”.
E ha ricordato il caso italiano di alcune imprese nelle quali l’amministratore delegato ha detto “O mi permettete di lavorare in questo modo o delocalizzo”.
Dal punto di vista economico, “l’uomo ha tre dimensioni: produttore, consumatore, risparmiatore. Fino a 20 anni fa le dimensioni erano coerenti. Ora lavoro e produco un prodotto, ma ne compro uno simile in Asia, migliore e che costa di meno. Dopo tre anni la mia azienda che produceva quel prodotto fallisce, e quindi non risparmio più e non spendo più”.
“Questo è il paradosso della globalizzazione consumistica. E' quello che il Papa chiama sviluppo economico non integrato. Perché l’uomo ha pensato di non avere un'anima, soltanto un corpo ed ecco l’influenza del nichilismo e del relativismo”.
“Come diceva l’ex Ministro Umberto Veronesi, 'è inutile pensare che l’uomo abbia una scintilla di divino, quando l’uomo solamente è un animale intelligente’. Mangiate e divertitevi, e poi si lamentano se qualcuno lo fa un po’ troppo”.
L'Italia è stata sussidiaria?, si è chiesto il presidente dello IOR. “Fino al 1995, quasi il 65 per cento del PIL era in mano allo Stato: Eni, Iri ecc. Le banche erano pubbliche tranne due banchette. E la più grande impressa privata è stata definita così: quando guadagna è privata, quando perde è pubblica”.
Gotti Tedeschi ha ricordato che “per entrare nell’euro dovevamo privatizzare. Ma abbiamo privatizzato? Per privatizzare c’è uno che vende e uno che compra e paga. Che si vendeva? imprese molto grandi e inefficienti, e chi è che le compra? Gli stranieri no. E come fanno gli italiani? Ci siamo inventati di far finanziare l’acquisto dalle banche. Se le avessimo regalate non avremmo assorbito quella massa di soldi, che avrebbero potuto andare alle vere imprese trainanti, le Pmi”.
“Un esempio soltanto: non dico che sia la verità. Alla fine della guerra fredda, Washington spendeva un 4,5 per cento del PIL in armamenti, e dopo l’11 settembre questa spesa è salita all’11 per cento. Come si fa ad assorbire questa spesa se non si inventano i subprime? Bush nell’ultimo G8 lo ha riconosciuto: si è speso di più di quanto si poteva”.
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Giangiacomo
sabato 29 gennaio 2011
Caso Ruby - Lettera aperta da parlamentari Pdl ai cattolici italiani
No alle strumentalizzazioni, ai processi sommari, alla gogna mediatica, ad una nuova tangentopoli. Alcuni parlamentari del Pdl hanno pubblicato una lettera aperta ai cattolici italiani sul caso Ruby, un appello a «sospendere il giudizio» per non cadere nella «trappola del processo mediatico e sommario» a Silvio Berlusconi.
Parlano di una «marea nera» di pettegolezzi che rischia di oscurare «il nostro lavoro quotidiano per il bene comune». E chiedono di non confondere il «moralismo interessato e intermittente» di questi giorni con l'«imitatio Christi» di cui parla la Chiesa.
I parlamentari pidiellini insistono sul parallelo con Tangentopoli: allora la «carcerazione preventiva», oggi la «gogna preventiva». In entrambi i casi «il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare». Sono indagini che «hanno azzerato il ceto politico moderato».
Per questo bisogna «sospendere il giudizio» sul caso Ruby. «Noi conosciamo un altro Berlusconi», garantiscono i firmatari, «certi che il tempo ci darà ragione».
la lettera
«Cari amici,
in un momento tanto confuso e delicato per il nostro paese vorremmo evitare che la marea dei pettegolezzi che invade ogni giorno le pagine dei giornali finisca per oscurare il senso del nostro lavoro quotidiano per il bene comune. C’è il rischio di farsi tutti confondere o trascinare dall’onda nera, lasciandosi strumentalizzare da un moralismo interessato e intermittente, che emerge solo quando c’è di mezzo il presidente Berlusconi. Un moralismo che nulla ha a che fare con quella “imitatio Christi” a cui la Chiesa ci invita, e che anzi non si fa scrupoli a brandire per fini politici, e in senso opposto a seconda delle convenienze di parte, l'idea della morale cristiana.
L’enorme scossone mediatico e politico di questi ultimi giorni non si comprende appieno se non come l’ultimo atto di un’offensiva giudiziaria iniziata con Tangentopoli: il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare.
Diciassette anni fa c’erano gli arresti spettacolari: politici e personaggi pubblici sfilavano in manette sotto telecamere impietose, e la carcerazione preventiva era lo strumento privilegiato di alcune procure. Ma quante di quelle accuse, urlate da certi magistrati con tanta sicurezza da sembrare indubitabili, si sono rivelate poi vere? Certamente sono stati riconosciuti dei colpevoli, anche se altri pur imputabili delle stesse responsabilità sono stati risparmiati e in alcuni casi nemmeno sfiorati dall'ombra del sospetto. Quel che è più grave, però, in numerose occasioni processi condotti nelle aule dei tribunali sono giunti a ben altre conclusioni rispetto alle accuse iniziali. Le tante assoluzioni che pure ne sono seguite, però, non potranno mai ripagare l’ingiustizia subita da chi vi si è trovato coinvolto, soprattutto da chi non ce l’ha fatta e si è
tolto la vita».
«E intanto, il paese ha pagato e paga ancora oggi le conseguenze di indagini a senso unico che hanno azzerato il ceto politico moderato, rallentato e inibito la capacità decisionale delle pubbliche amministrazioni, indebolito la grande impresa italiana. Adesso la carcerazione preventiva è stata sostituita dalla gogna preventiva. Si butta nella pubblica piazza con una violenza inusitata la presunta vita privata delle persone (presunta perché contenuti frammentari di intercettazioni e commenti di persone terze non offrono alcuna garanzia di veridicità), e la si chiama trasparenza”.
Abbiamo bisogno di giustizia, una giustizia che sia però veramente giusta, che segua regole certe, assicuri l'inviolabilità dei diritti di tutti i cittadini compreso chi si trova ad essere oggetto di accuse, e offra le garanzie necessarie, a partire dall’imparzialità del giudice e dal rispetto del segreto istruttorio. Una giustizia nella quale i magistrati formulino ipotesi di reato e non si occupino di costruire operazioni finalizzate ad emettere sentenze di ordine morale.
Chiediamo a tutti di aspettare, di sospendere il giudizio, di non farsi trascinare nella facile trappola del processo mediatico e sommario al Presidente del Consiglio, e chiediamo che si rispetti una vera presunzione di innocenza nei suoi confronti, finché il percorso di accertamento dei fatti sarà completato. Ve lo chiediamo non solo perchè è un elementare principio di civiltà giuridica, ma anche perché noi all’immagine abietta del Presidente Berlusconi così come dipinta da tanti giornali non crediamo». «Noi conosciamo un altro Berlusconi, conosciamo il Presidente con cui abbiamo lavorato in questi anni, e che ci ha dato la possibilità di portare avanti battaglie difficili e controcorrente, condividendole con noi. Siamo certi che il tempo ci darà ragione: ma è di quel tempo che adesso c’è bisogno. Sarebbe assurdo e deleterio per il futuro dell’Italia consentire che, nell’attesa di un esito incerto della vicenda giudiziaria si producesse il danno certo di un cambiamento politico nel segno della conservazione sociale, della recessione economica e del relativismo etico come conseguenza di indagini asimmetriche che colpiscono alcuni risparmiando altri. Ciò che non intendiamo invece tenere in sospeso è la responsabilità di noi, credenti e non credenti, impegnati convintamente nel Popolo della Libertà. Non abbiamo alcuna intenzione di interrompere il lavoro politico e legislativo che ci vede dediti alla costruzione del bene comune, dalla difesa della famiglia alla libertà di educazione, dalle leggi in difesa della vita alla attuazione concreta del principio di sussidiarietà.
Aspettiamo che la polvere e il fango si depositino, diamo tempo alla verità e alla giustizia».
Raffaele Calabrò
Roberto Formigoni
Maurizio Gasparri
Maurizio Lupi
Alfredo Mantovano
Mario Mauro
Gaetano Quagliariello
Eugenia Roccella
Maurizio Sacconi
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Giangiacomo
Parlano di una «marea nera» di pettegolezzi che rischia di oscurare «il nostro lavoro quotidiano per il bene comune». E chiedono di non confondere il «moralismo interessato e intermittente» di questi giorni con l'«imitatio Christi» di cui parla la Chiesa.
I parlamentari pidiellini insistono sul parallelo con Tangentopoli: allora la «carcerazione preventiva», oggi la «gogna preventiva». In entrambi i casi «il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare». Sono indagini che «hanno azzerato il ceto politico moderato».
Per questo bisogna «sospendere il giudizio» sul caso Ruby. «Noi conosciamo un altro Berlusconi», garantiscono i firmatari, «certi che il tempo ci darà ragione».
la lettera
«Cari amici,
in un momento tanto confuso e delicato per il nostro paese vorremmo evitare che la marea dei pettegolezzi che invade ogni giorno le pagine dei giornali finisca per oscurare il senso del nostro lavoro quotidiano per il bene comune. C’è il rischio di farsi tutti confondere o trascinare dall’onda nera, lasciandosi strumentalizzare da un moralismo interessato e intermittente, che emerge solo quando c’è di mezzo il presidente Berlusconi. Un moralismo che nulla ha a che fare con quella “imitatio Christi” a cui la Chiesa ci invita, e che anzi non si fa scrupoli a brandire per fini politici, e in senso opposto a seconda delle convenienze di parte, l'idea della morale cristiana.
L’enorme scossone mediatico e politico di questi ultimi giorni non si comprende appieno se non come l’ultimo atto di un’offensiva giudiziaria iniziata con Tangentopoli: il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare.
Diciassette anni fa c’erano gli arresti spettacolari: politici e personaggi pubblici sfilavano in manette sotto telecamere impietose, e la carcerazione preventiva era lo strumento privilegiato di alcune procure. Ma quante di quelle accuse, urlate da certi magistrati con tanta sicurezza da sembrare indubitabili, si sono rivelate poi vere? Certamente sono stati riconosciuti dei colpevoli, anche se altri pur imputabili delle stesse responsabilità sono stati risparmiati e in alcuni casi nemmeno sfiorati dall'ombra del sospetto. Quel che è più grave, però, in numerose occasioni processi condotti nelle aule dei tribunali sono giunti a ben altre conclusioni rispetto alle accuse iniziali. Le tante assoluzioni che pure ne sono seguite, però, non potranno mai ripagare l’ingiustizia subita da chi vi si è trovato coinvolto, soprattutto da chi non ce l’ha fatta e si è
tolto la vita».
«E intanto, il paese ha pagato e paga ancora oggi le conseguenze di indagini a senso unico che hanno azzerato il ceto politico moderato, rallentato e inibito la capacità decisionale delle pubbliche amministrazioni, indebolito la grande impresa italiana. Adesso la carcerazione preventiva è stata sostituita dalla gogna preventiva. Si butta nella pubblica piazza con una violenza inusitata la presunta vita privata delle persone (presunta perché contenuti frammentari di intercettazioni e commenti di persone terze non offrono alcuna garanzia di veridicità), e la si chiama trasparenza”.
Abbiamo bisogno di giustizia, una giustizia che sia però veramente giusta, che segua regole certe, assicuri l'inviolabilità dei diritti di tutti i cittadini compreso chi si trova ad essere oggetto di accuse, e offra le garanzie necessarie, a partire dall’imparzialità del giudice e dal rispetto del segreto istruttorio. Una giustizia nella quale i magistrati formulino ipotesi di reato e non si occupino di costruire operazioni finalizzate ad emettere sentenze di ordine morale.
Chiediamo a tutti di aspettare, di sospendere il giudizio, di non farsi trascinare nella facile trappola del processo mediatico e sommario al Presidente del Consiglio, e chiediamo che si rispetti una vera presunzione di innocenza nei suoi confronti, finché il percorso di accertamento dei fatti sarà completato. Ve lo chiediamo non solo perchè è un elementare principio di civiltà giuridica, ma anche perché noi all’immagine abietta del Presidente Berlusconi così come dipinta da tanti giornali non crediamo». «Noi conosciamo un altro Berlusconi, conosciamo il Presidente con cui abbiamo lavorato in questi anni, e che ci ha dato la possibilità di portare avanti battaglie difficili e controcorrente, condividendole con noi. Siamo certi che il tempo ci darà ragione: ma è di quel tempo che adesso c’è bisogno. Sarebbe assurdo e deleterio per il futuro dell’Italia consentire che, nell’attesa di un esito incerto della vicenda giudiziaria si producesse il danno certo di un cambiamento politico nel segno della conservazione sociale, della recessione economica e del relativismo etico come conseguenza di indagini asimmetriche che colpiscono alcuni risparmiando altri. Ciò che non intendiamo invece tenere in sospeso è la responsabilità di noi, credenti e non credenti, impegnati convintamente nel Popolo della Libertà. Non abbiamo alcuna intenzione di interrompere il lavoro politico e legislativo che ci vede dediti alla costruzione del bene comune, dalla difesa della famiglia alla libertà di educazione, dalle leggi in difesa della vita alla attuazione concreta del principio di sussidiarietà.
Aspettiamo che la polvere e il fango si depositino, diamo tempo alla verità e alla giustizia».
Raffaele Calabrò
Roberto Formigoni
Maurizio Gasparri
Maurizio Lupi
Alfredo Mantovano
Mario Mauro
Gaetano Quagliariello
Eugenia Roccella
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Giangiacomo
domenica 23 gennaio 2011
21 Gennaio 1921 - Eugenio Corti
21 gennaio 1921, a Besana, in Brianza, nasceva Eugenio Corti
uno dei grandi testimoni del secolo del male
(leggi ... http://giangiacomosthinktank.blogspot.com/2009/10/italia-old-style.html)
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Giangiacomo
uno dei grandi testimoni del secolo del male
(leggi ... http://giangiacomosthinktank.blogspot.com/2009/10/italia-old-style.html)
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Giangiacomo
sabato 22 gennaio 2011
Olio... romano
Vi segnalo un ottimo olio provato nelle recenti festività...
L’olio proviene da una coltivazione biologica di olivi che crescono al Mulino Rosso, vedi sito: www.ilmulinorosso.it e la molitura è effettuata al Frantoio di Bomarzo entro le 24 ore dalla raccolta, garantendo così acidità max tra 0,1 e 0,2.
Sono possibili sconti per grandi quantitativi .
Sono a disposizione per ulteriori info.
L’olio proviene da una coltivazione biologica di olivi che crescono al Mulino Rosso, vedi sito: www.ilmulinorosso.it e la molitura è effettuata al Frantoio di Bomarzo entro le 24 ore dalla raccolta, garantendo così acidità max tra 0,1 e 0,2.
Sono possibili sconti per grandi quantitativi .
Sono a disposizione per ulteriori info.
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Giangiacomo
sabato 15 gennaio 2011
Referendum Fiat...
Ha vinto il "Sì" fortunatamente
Con solo il 54% a favore
Al 46% dedico un pensiero... IGNORANTI!!
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Giangiacomo
Con solo il 54% a favore
Al 46% dedico un pensiero... IGNORANTI!!
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Giangiacomo
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