17 aprile 2008
Il discorso di Benedetto XVI ai vescovi statunitensi
God bless America (dal concepimento alla morte naturale)
La sottile influenza del secolarismo e lo scopo ultimo dell'esistenza
Aborto e sacralità della vita al centro delle parole del Papa a Washington. Dopo i festeggiamenti per il suo ottantunesimo compleanno e l'incontro con il presidente George Bush alla Casa Bianca, Benedetto XVI ha parlato ai vescovi statunitensi. Salutando l'America come paese che ha sempre mostrato "prontezza a venire in aiuto dei fratelli e sorelle che erano nel bisogno", ha sottolineato come gli Stati Uniti siano "una terra di grande fede". L'America, ha rimarcato il Pontefice, "ha fiducia in Dio e non esita ad introdurre nei discorsi pubblici ragioni morali radicate nella fede biblica". Benedetto XVI ha quindi rilevato (anche rispondendo alle domande dei prelati dopo il suo discorso) come in America "la mentalità secolare non si è posta come intrinsecamente opposta alla religione". Certo è che, però, la "sottile influenza del secolarismo" incide nel modo in cui le persone permettono alla fede di influenzare i prori discorsi. "E' forse coerente – ha chiesto ai vescovi – professare la nostra fede in chiesa alla domenica e poi, lungo la settimana, promuovere pratiche di affari o procedure mediche contrarie a tale fede?". Ma soprattutto "E' forse coerente per cattolici praticanti ignorare o sfruttare i poveri e gli emarginati, promuovere comportamenti sessuali contrari all'insegnamento morale cattolico, o adottare posizioni che contraddicono il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale?". Benedetto XVI ha messo in guardia da un materialismo che induce a farsi "ammaliare dalle possibilità quasi illimitate che la scienza e la tecnica ci offrono; è facile compiere l'errore di pensare di poter ottenere con i nostri propri sforzi l'adempimento dei bisogni più profondi". Compito dei pastori, ha rimarcato, è "richiamare le persone allo scopo ultimo dell'esistenza". Un lavoro impegnativo per la chiesa americana tenuto conto che, come ha detto poco dopo parlando di "leggi in vigore o in discussione che suscitano preoccupazione dal punto di vista della moralità", per il Papa "qui c'è ancora molto da fare". Ecco perché il Pontefice si è poi soffermato sull'importanza dell'educazione, della famiglia, del matrimonio e della preghiera. Il discorso ha anche toccato il tema della pedofilia ("gestito in pessimo modo") con un doloroso giudizio negativo immediatamente illuminato dall'osservazione che "vi sono molti segni che, nel periodo successivo, una purificazione ha davvero avuto luogo".
Qui è possibile leggere l'intero discorso ai vescovi americani. Qui le successive risposte alle loro domande.
Ora il Papa in diretta dagli States. Segui Benedetto XVI a Washington.
di Piero Vietti
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Giangiacomo
sabato 26 aprile 2008
martedì 15 aprile 2008
I cattolici e le elezioni del 13-14 aprile 2008
Un giudizio profondo di Massimo Introvigne
Le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 hanno determinato un’autentica rivoluzione nel panorama parlamentare italiano. Sono scomparse sigle storiche come i socialisti, i comunisti e i verdi. I gruppi parlamentari si sono ridotti da una ventina a tre al Senato (se PD e IDV faranno gruppo insieme) e quattro alla Camera (altri partiti, pure rappresentati, non potranno costituire un gruppo perché non raggiungono il numero minimo di deputati, venti, o senatori, dieci, necessari per tale costituzione, salvo deroghe degli Uffici di Presidenza che tuttavia al Senato possono essere concesse solo a gruppi di almeno cinque senatori eletti in almeno tre regioni diverse: quindi, per esempio, non all’UDC che di senatori ne ha tre tutti eletti in Sicilia).
Molto di più di quanto non fosse avvenuto nel 2006, la maggioranza degli elettori ha compreso i meccanismi della legge elettorale, e ha evitato il voto inutile. Molti italiani si sono resi conto che al Senato la montagna dell’otto per cento era difficilissima da scalare per i piccoli partiti e si sono comportati di conseguenza. Se il mio “vademecum” sulla legge elettorale – che moltissimi mi hanno chiesto di riprodurre e una diocesi della Calabria ha stampato come opuscolo a cura della Consulta diocesana per l’apostolato dei laici e diffuso ampiamente – ha avuto un ruolo in questo processo, non posso che esserne soddisfatto.
L’astensionismo, contrariamente a un vecchio luogo comune, ha danneggiato soprattutto l’estrema sinistra, ed è del resto in quell’area che militano i più convinti teorici dell’astensione.
Le prime rilevazioni – che confermano quelle dei sondaggi, e che dovranno essere peraltro verificate tramite analisi più sistematiche – ci dicono che i cattolici praticanti non si sono distribuiti uniformemente tra tutti i partiti, come prevedeva qualche sociologo. Hanno privilegiato il Popolo della Libertà e la Lega, e in misura assai minore l’UDC. Il popolo che va a Messa non ha dunque seguito quella stampa cattolica che faceva il tifo, spesso neppure troppo velatamente, per il PD e l’UDC. Significativo il commento di Rosy Bindi: “Una parte del voto cattolico è finito alla Lega e non si capisce perché” (cfr. Fabio Martini, “Walter, la grande delusione”, La Stampa, 15-4-2008).
Contrariamente a quanto pensa Rosy Bindi, si capisce benissimo. A parte una minoranza sempre più ridotta – ancorché ben rappresentata nei centri di potere della cultura e dell’economia – di “cattolici adulti”, il mondo cattolico italiano è stato sistematicamente educato da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e dai cardinali Ruini e Bagnasco a privilegiare i “valori non negoziabili” – vita, famiglia e libertà di educazione – e a mettere le altre questioni, pure importanti, in secondo piano rispetto a questi tre valori fondamentali. Nelle parrocchie, nei movimenti e su Internet per la prima volta circolavano ampiamente studi – simili a quelli che i cattolici e i protestanti evangelical diffondono negli Stati Uniti a ogni elezione – dove, con dovizia di dettagli e con analisi che si spingevano fino al singolo parlamentare, si mostrava come su applicazione della legge sull’aborto, eutanasia, riconoscimento delle unioni omosessuali, tentativi di modificare la legge sulla fecondazione assistita, scuole non statali l’unico modo di bloccare proposte di legge incompatibili con i valori non negoziabili fosse un saldo successo della coalizione Berlusconi (all’interno della quale i parlamentari della Lega avevano votato e promettevano di votare “bene”, su questi problemi, in modo talora ancor più omogeneo di quelli del PDL). Vi è stata, sul punto, un’illusione ottica. La scelta (che si può certo discutere) dell’onorevole Silvio Berlusconi di non mettere all’ordine del giorno nella campagna elettorale i temi relativi ai valori non negoziabili è stata scambiata da alcuni per una “equivalenza” delle coalizioni Berlusconi e Veltroni su questi temi. Mentre la coalizione Veltroni aveva nelle sue liste candidati simbolo dell’opposizione ai valori non negoziabili come il professor Umberto Veronesi e l’onorevole Emma Bonino e dichiarava programmaticamente di volere fare approvare il testamento biologico e le leggi sulle unioni di fatto, gli studi su come avevano votato i parlamentari confluiti nel PDL e quelli della Lega nella precedente legislatura mostravano che, con eccezioni individuali, questo blocco – ove avesse chiaramente prevalso – sarebbe stato in grado di respingere le proposte di legge inaccettabili per i cattolici. Rosy Bindi se ne faccia una ragione: i cattolici italiani hanno ormai interiorizzato il tema dei “valori non negoziabili” e non considerano sullo stesso piano le questioni sindacali o socio-economiche (su cui peraltro la presunta maggiore vicinanza alla dottrina della Chiesa del PD rimane tutta da dimostrare) rispetto alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione.
Il voto alla Lega non è soltanto né principalmente un voto di protesta contro gli sprechi dello statalismo e del centralismo, né un voto per le infrastrutture al Nord, per quanto questi temi entrino nel successo del partito di Umberto Bossi. Chi ha seguito la campagna della Lega – l’unica tra quelle dei partiti approdati in Parlamento affidata più agli strumenti tradizionali del contatto personale, delle riunioni e dei comizi che a Internet o alla televisione – si è reso conto del costante appello a valori che si possono riassumere – correndo il centenario della nascita del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), che peraltro non presumo sia specificamente noto al leghista medio – nel suo motto “tradizione, famiglia, proprietà”, con una speciale attenzione all’identità, alle radici e alla consapevolezza del pericolo rappresentato dall’islam. I cattolici possono soltanto augurarsi che nella Lega si affermi una classe dirigente capace di difendere questi valori in modo non solo istintivo ma consapevole e meditato. Ma questo non avverrà senza un dialogo più serrato e continuo fra chi, quanto a consapevolezza e meditazione di questi valori, nel mondo cattolico ha qualche cosa da offrire e il popolo della Lega.
L’UDC è sparita dal Senato. L’eccezione siciliana conferma la regola, ed è un voto più all’onorevole Salvatore Cuffaro (che molti siciliani considerano, a torto o a ragione, sia vittima di accuse ingiuste sia protagonista di una stagione di governo regionale non priva di aspetti positivi) che all’onorevole Pier Ferdinando Casini. Se in Sicilia si fosse presentata una “Lista Cuffaro” nulla sarebbe cambiato se non, forse, in meglio per l’esito della medesima. La scommessa politica dell’UDC, fondata sulla sua possibilità di condizionare la formazione di qualunque futuro governo con una significativa presenza al Senato, è dunque fallita. All’UDC restano due milioni di elettori, che certamente non coincidono con i cattolici praticanti italiani (che, per quanto le statistiche sul punto siano oggetto di controversie senza fine, considerando chi va a Messa almeno una volta al mese sono un terzo degli italiani, sei volte di più del 5,5% raccolto dall’onorevole Casini) ma non sono irrilevanti. Un certo numero di questi voti proviene da sinistra, cioè da quei cattolici che non apprezzano l’onorevole Berlusconi ma che non se la sono sentita di votare un PD che presentava l’onorevole Bonino e il professor Veronesi. Altri hanno dato credito a una campagna elettorale molto centrata sull’identità cristiana e sulla difesa della famiglia, che alcuni parlamentari uscenti dell’UDC (come l’onorevole Luca Volontè o il senatore Luca Marconi) avevano rappresentato nella precedente legislatura in modo coerente e continuo. Dopo il sostanziale insuccesso del suo progetto politico, il futuro dell’UDC è molto incerto. I suoi due milioni di elettori rappresentano però, insieme al successo della Lega, un monito al partito di maggioranza relativa quanto all’esistenza non di poche migliaia ma di milioni di italiani sensibili al tema dell’identità cristiana, a prescindere dalla stessa credibilità e coerenza del personale politico che lo agita. Mutatis mutandis, vanno a comporre questo promemoria per il PDL vittorioso anche gli oltre ottocentomila elettori de La Destra, un partito che aveva peraltro coltivato illusioni quanto all’effettiva possibilità di approdare in Parlamento con il sistema delineato dalla legge elettorale vigente.
Un cenno merita infine la “catastrofe”, come l’ha definita il suo promotore Giuliano Ferrara, della lista “Aborto? No grazie” che puntava al quattro per cento e che si è fermata esattamente allo 0,4. Purtroppo la catastrofe, figlia – come altri insuccessi – di un’incomprensione del sistema elettorale vigente e del fatto che l’Italia non ha una tradizione di “liste di scopo”, era facilmente prevedibile ed era stata da molti (compreso chi scrive) prevista. Era anche prevedibile che all’indomani delle elezioni si sarebbe diffuso nei media, come sta puntualmente avvenendo, il giudizio secondo cui la problematica dell’aborto interessa solo allo 0,4% degli italiani: giudizio falso, ma che l’errore di presentare la lista Ferrara alle elezioni riveste di una certa ingannevole parvenza di credibilità. Come si temeva, la lista ha compromesso la sacrosanta e meritevole battaglia di Giuliano Ferrara per la moratoria. Con grande difficoltà, si tratta ora di ripartire da prima della campagna elettorale e riprendere la parola d’ordine della moratoria. Se i 135.000 italiani che hanno votato per una causa politicamente persa in partenza, superata la delusione, si trasformeranno in militanti per i valori non negoziabili forse non tutto sarà perduto.
Tra i problemi che dovrà affrontare il nuovo governo ci sarà quello del passaggio alla dimensione extraparlamentare di una sinistra radicale che, fuori dei Parlamenti, è spesso stata brodo di cultura della violenza di piazza e del terrorismo. Naturalmente l’eredità comunista non è scomparsa dal Parlamento italiano: l’onorevole Massimo D’Alema, tanto per fare un nome non casuale, può vantare una militanza nel vecchio Partito Comunista Italiano – del cui Comitato centrale ha fatto parte a suo tempo anche lo stesso onorevole Walter Veltroni – non meno distinta e convinta di quella dell’onorevole Fausto Bertinotti. Ma queste metamorfosi del comunismo non sono sempre facilmente comprensibili per il militante di base, che rischia dunque seriamente di farsi attrarre dalle sirene della violenza extraparlamentare. Alla soddisfazione per non vedere più in Parlamento gli onorevoli Alfonso Pecorario Scanio o Wladimiro Guadagno detto Vladimir Luxuria non può non accompagnarsi la consapevolezza dei rischi per l’ordine pubblico, soprattutto in caso di saldatura di progetti eversivi comunisti con altri di matrice ultra-fondamentalista islamica secondo la “dottrina Carlos”, incessantemente elaborata dal suo carcere francese dal terrorista marxista venezuelano convertito all’islam Ilich Ramírez Sánchez, “Carlos”, con l’appoggio esplicito del presidente della Repubblica del Venezuela Hugo Chávez. Una corretta valutazione di questo rischio implica una vigilanza – in base a criteri di prudenza, e senza criminalizzare preventivamente nessuno – non solo sugli ambienti dell’ultra-sinistra più tentati dall’eversione ma anche su chi ha contatti politici ambigui e inquietanti con i governi di Paesi come Cuba, la Corea del Nord e lo stesso Venezuela (o ancora con movimenti che hanno insieme una dimensione politica e una terroristica, come gli Hezbollah o Hamas), sulle “moschee inquiete” e su tutto il mondo dell’immigrazione clandestina. Un compito cui il prossimo Ministro dell’Interno farà bene a dedicarsi seriamente.
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Giangiacomo
Le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 hanno determinato un’autentica rivoluzione nel panorama parlamentare italiano. Sono scomparse sigle storiche come i socialisti, i comunisti e i verdi. I gruppi parlamentari si sono ridotti da una ventina a tre al Senato (se PD e IDV faranno gruppo insieme) e quattro alla Camera (altri partiti, pure rappresentati, non potranno costituire un gruppo perché non raggiungono il numero minimo di deputati, venti, o senatori, dieci, necessari per tale costituzione, salvo deroghe degli Uffici di Presidenza che tuttavia al Senato possono essere concesse solo a gruppi di almeno cinque senatori eletti in almeno tre regioni diverse: quindi, per esempio, non all’UDC che di senatori ne ha tre tutti eletti in Sicilia).
Molto di più di quanto non fosse avvenuto nel 2006, la maggioranza degli elettori ha compreso i meccanismi della legge elettorale, e ha evitato il voto inutile. Molti italiani si sono resi conto che al Senato la montagna dell’otto per cento era difficilissima da scalare per i piccoli partiti e si sono comportati di conseguenza. Se il mio “vademecum” sulla legge elettorale – che moltissimi mi hanno chiesto di riprodurre e una diocesi della Calabria ha stampato come opuscolo a cura della Consulta diocesana per l’apostolato dei laici e diffuso ampiamente – ha avuto un ruolo in questo processo, non posso che esserne soddisfatto.
L’astensionismo, contrariamente a un vecchio luogo comune, ha danneggiato soprattutto l’estrema sinistra, ed è del resto in quell’area che militano i più convinti teorici dell’astensione.
Le prime rilevazioni – che confermano quelle dei sondaggi, e che dovranno essere peraltro verificate tramite analisi più sistematiche – ci dicono che i cattolici praticanti non si sono distribuiti uniformemente tra tutti i partiti, come prevedeva qualche sociologo. Hanno privilegiato il Popolo della Libertà e la Lega, e in misura assai minore l’UDC. Il popolo che va a Messa non ha dunque seguito quella stampa cattolica che faceva il tifo, spesso neppure troppo velatamente, per il PD e l’UDC. Significativo il commento di Rosy Bindi: “Una parte del voto cattolico è finito alla Lega e non si capisce perché” (cfr. Fabio Martini, “Walter, la grande delusione”, La Stampa, 15-4-2008).
Contrariamente a quanto pensa Rosy Bindi, si capisce benissimo. A parte una minoranza sempre più ridotta – ancorché ben rappresentata nei centri di potere della cultura e dell’economia – di “cattolici adulti”, il mondo cattolico italiano è stato sistematicamente educato da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e dai cardinali Ruini e Bagnasco a privilegiare i “valori non negoziabili” – vita, famiglia e libertà di educazione – e a mettere le altre questioni, pure importanti, in secondo piano rispetto a questi tre valori fondamentali. Nelle parrocchie, nei movimenti e su Internet per la prima volta circolavano ampiamente studi – simili a quelli che i cattolici e i protestanti evangelical diffondono negli Stati Uniti a ogni elezione – dove, con dovizia di dettagli e con analisi che si spingevano fino al singolo parlamentare, si mostrava come su applicazione della legge sull’aborto, eutanasia, riconoscimento delle unioni omosessuali, tentativi di modificare la legge sulla fecondazione assistita, scuole non statali l’unico modo di bloccare proposte di legge incompatibili con i valori non negoziabili fosse un saldo successo della coalizione Berlusconi (all’interno della quale i parlamentari della Lega avevano votato e promettevano di votare “bene”, su questi problemi, in modo talora ancor più omogeneo di quelli del PDL). Vi è stata, sul punto, un’illusione ottica. La scelta (che si può certo discutere) dell’onorevole Silvio Berlusconi di non mettere all’ordine del giorno nella campagna elettorale i temi relativi ai valori non negoziabili è stata scambiata da alcuni per una “equivalenza” delle coalizioni Berlusconi e Veltroni su questi temi. Mentre la coalizione Veltroni aveva nelle sue liste candidati simbolo dell’opposizione ai valori non negoziabili come il professor Umberto Veronesi e l’onorevole Emma Bonino e dichiarava programmaticamente di volere fare approvare il testamento biologico e le leggi sulle unioni di fatto, gli studi su come avevano votato i parlamentari confluiti nel PDL e quelli della Lega nella precedente legislatura mostravano che, con eccezioni individuali, questo blocco – ove avesse chiaramente prevalso – sarebbe stato in grado di respingere le proposte di legge inaccettabili per i cattolici. Rosy Bindi se ne faccia una ragione: i cattolici italiani hanno ormai interiorizzato il tema dei “valori non negoziabili” e non considerano sullo stesso piano le questioni sindacali o socio-economiche (su cui peraltro la presunta maggiore vicinanza alla dottrina della Chiesa del PD rimane tutta da dimostrare) rispetto alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione.
Il voto alla Lega non è soltanto né principalmente un voto di protesta contro gli sprechi dello statalismo e del centralismo, né un voto per le infrastrutture al Nord, per quanto questi temi entrino nel successo del partito di Umberto Bossi. Chi ha seguito la campagna della Lega – l’unica tra quelle dei partiti approdati in Parlamento affidata più agli strumenti tradizionali del contatto personale, delle riunioni e dei comizi che a Internet o alla televisione – si è reso conto del costante appello a valori che si possono riassumere – correndo il centenario della nascita del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), che peraltro non presumo sia specificamente noto al leghista medio – nel suo motto “tradizione, famiglia, proprietà”, con una speciale attenzione all’identità, alle radici e alla consapevolezza del pericolo rappresentato dall’islam. I cattolici possono soltanto augurarsi che nella Lega si affermi una classe dirigente capace di difendere questi valori in modo non solo istintivo ma consapevole e meditato. Ma questo non avverrà senza un dialogo più serrato e continuo fra chi, quanto a consapevolezza e meditazione di questi valori, nel mondo cattolico ha qualche cosa da offrire e il popolo della Lega.
L’UDC è sparita dal Senato. L’eccezione siciliana conferma la regola, ed è un voto più all’onorevole Salvatore Cuffaro (che molti siciliani considerano, a torto o a ragione, sia vittima di accuse ingiuste sia protagonista di una stagione di governo regionale non priva di aspetti positivi) che all’onorevole Pier Ferdinando Casini. Se in Sicilia si fosse presentata una “Lista Cuffaro” nulla sarebbe cambiato se non, forse, in meglio per l’esito della medesima. La scommessa politica dell’UDC, fondata sulla sua possibilità di condizionare la formazione di qualunque futuro governo con una significativa presenza al Senato, è dunque fallita. All’UDC restano due milioni di elettori, che certamente non coincidono con i cattolici praticanti italiani (che, per quanto le statistiche sul punto siano oggetto di controversie senza fine, considerando chi va a Messa almeno una volta al mese sono un terzo degli italiani, sei volte di più del 5,5% raccolto dall’onorevole Casini) ma non sono irrilevanti. Un certo numero di questi voti proviene da sinistra, cioè da quei cattolici che non apprezzano l’onorevole Berlusconi ma che non se la sono sentita di votare un PD che presentava l’onorevole Bonino e il professor Veronesi. Altri hanno dato credito a una campagna elettorale molto centrata sull’identità cristiana e sulla difesa della famiglia, che alcuni parlamentari uscenti dell’UDC (come l’onorevole Luca Volontè o il senatore Luca Marconi) avevano rappresentato nella precedente legislatura in modo coerente e continuo. Dopo il sostanziale insuccesso del suo progetto politico, il futuro dell’UDC è molto incerto. I suoi due milioni di elettori rappresentano però, insieme al successo della Lega, un monito al partito di maggioranza relativa quanto all’esistenza non di poche migliaia ma di milioni di italiani sensibili al tema dell’identità cristiana, a prescindere dalla stessa credibilità e coerenza del personale politico che lo agita. Mutatis mutandis, vanno a comporre questo promemoria per il PDL vittorioso anche gli oltre ottocentomila elettori de La Destra, un partito che aveva peraltro coltivato illusioni quanto all’effettiva possibilità di approdare in Parlamento con il sistema delineato dalla legge elettorale vigente.
Un cenno merita infine la “catastrofe”, come l’ha definita il suo promotore Giuliano Ferrara, della lista “Aborto? No grazie” che puntava al quattro per cento e che si è fermata esattamente allo 0,4. Purtroppo la catastrofe, figlia – come altri insuccessi – di un’incomprensione del sistema elettorale vigente e del fatto che l’Italia non ha una tradizione di “liste di scopo”, era facilmente prevedibile ed era stata da molti (compreso chi scrive) prevista. Era anche prevedibile che all’indomani delle elezioni si sarebbe diffuso nei media, come sta puntualmente avvenendo, il giudizio secondo cui la problematica dell’aborto interessa solo allo 0,4% degli italiani: giudizio falso, ma che l’errore di presentare la lista Ferrara alle elezioni riveste di una certa ingannevole parvenza di credibilità. Come si temeva, la lista ha compromesso la sacrosanta e meritevole battaglia di Giuliano Ferrara per la moratoria. Con grande difficoltà, si tratta ora di ripartire da prima della campagna elettorale e riprendere la parola d’ordine della moratoria. Se i 135.000 italiani che hanno votato per una causa politicamente persa in partenza, superata la delusione, si trasformeranno in militanti per i valori non negoziabili forse non tutto sarà perduto.
Tra i problemi che dovrà affrontare il nuovo governo ci sarà quello del passaggio alla dimensione extraparlamentare di una sinistra radicale che, fuori dei Parlamenti, è spesso stata brodo di cultura della violenza di piazza e del terrorismo. Naturalmente l’eredità comunista non è scomparsa dal Parlamento italiano: l’onorevole Massimo D’Alema, tanto per fare un nome non casuale, può vantare una militanza nel vecchio Partito Comunista Italiano – del cui Comitato centrale ha fatto parte a suo tempo anche lo stesso onorevole Walter Veltroni – non meno distinta e convinta di quella dell’onorevole Fausto Bertinotti. Ma queste metamorfosi del comunismo non sono sempre facilmente comprensibili per il militante di base, che rischia dunque seriamente di farsi attrarre dalle sirene della violenza extraparlamentare. Alla soddisfazione per non vedere più in Parlamento gli onorevoli Alfonso Pecorario Scanio o Wladimiro Guadagno detto Vladimir Luxuria non può non accompagnarsi la consapevolezza dei rischi per l’ordine pubblico, soprattutto in caso di saldatura di progetti eversivi comunisti con altri di matrice ultra-fondamentalista islamica secondo la “dottrina Carlos”, incessantemente elaborata dal suo carcere francese dal terrorista marxista venezuelano convertito all’islam Ilich Ramírez Sánchez, “Carlos”, con l’appoggio esplicito del presidente della Repubblica del Venezuela Hugo Chávez. Una corretta valutazione di questo rischio implica una vigilanza – in base a criteri di prudenza, e senza criminalizzare preventivamente nessuno – non solo sugli ambienti dell’ultra-sinistra più tentati dall’eversione ma anche su chi ha contatti politici ambigui e inquietanti con i governi di Paesi come Cuba, la Corea del Nord e lo stesso Venezuela (o ancora con movimenti che hanno insieme una dimensione politica e una terroristica, come gli Hezbollah o Hamas), sulle “moschee inquiete” e su tutto il mondo dell’immigrazione clandestina. Un compito cui il prossimo Ministro dell’Interno farà bene a dedicarsi seriamente.
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Giangiacomo
martedì 8 aprile 2008
Manifesto per le nuove generazioni
In questi giorni la delicata e confusa situazione politica che, da qui al 13 Aprile, ci condurrà ad una nuova tornata elettorale, impone una riflessione ed un contributo da parte di tutti coloro che stanno lavorando per un effettivo cambiamento della società italiana. Cambiamento che parta innanzitutto dalla politica e che cambi il modo stesso di fare politica: un rinnovamento creativo ma concreto.Da più parti, ormai, come un perfetto slogan elettorale, non si fa che parlare di ricambio generazionale, di liste "giovani", spazio per i giovani, idee giovani etc etc. Gli “under 30” vengono inseguiti come i campioni del calciomercato estivo, come un brand vincente, facile da piazzare.Il rischio e’ che tutto questo non sia altro che uno specchietto per le allodole: si candidano dei giovani, pochi in posizione sicura, per dimostrare che la politica "pensa ai giovani". Il ricambio deve avvenire dando spazio a chi è seriamente convinto di prendere parte allo sviluppo della nostra società, capace di saper scardinare, influenzare e migliorare quei meccanismi della politica che non apprezziamo, non condividiamo e contestiamo fortemente. Non servono tanto “nuovi politici”, ma politici nuovi, capaci di realizzare politiche nuove, di essere protagonisti di una nuova stagione di partecipazione, eletti per le loro competenze, per l’impegno profuso nel servire un Paese come l’Italia, che, oggi più che mai, ha bisogno di persone che si mettano a disposizione della collettività. Per questo occorre valorizzare coloro che già operano sul campo, promuovere i giovani con esperienze associative, che abbiano imparato l'ascolto e la mediazione nella realtà quotidiana e che sappiano vivere la politica come un'esperienza di servizio non finalizzata all’interesse personale. In Italia questi giovani ci sono: speriamo che tutti coloro che verranno eletti, giovani e meno giovani, sappiano interpretare la loro voglia di “rinnovamento”. Superfluo ricordare che questa legge elettorale di fatto impedisce ai cittadini la scelta dei propri rappresentanti in Parlamento e quindi, l’immediata modifica, da più parti invocata, è un fondamentale punto di arrivo a cui i prossimi governanti non posso sottrarsi.
Tematiche e programmi devono essere a misura del bene comune del Paese, e dunque anche dei giovani.
Importante quindi investire:
- Su un Dipartimento per le politiche giovanili presso la Presidenza del Consiglio che si occupi di Politiche Giovanili e metta in rete le diverse competenze che vari ministeri hanno in materia.
- Sulla partecipazione attiva delle giovani generazioni. In attuazione del Libro Bianco dell'Unione Europea sulla Partecipazione Giovanile (2001), è necessario dar vita a Forum e Consulte territoriali attraverso cui applicare il concetto di "co-gestione", fra rappresentanze giovanili e istituzioni, per le materie inerenti le politiche giovanili.
- Sulla Formazione scolastica e professionale. Un Paese vitale si misura anche attraverso la qualità del sistema scolastico. Abbiamo bisogno di scuole ed università capaci di dare un’offerta formativa ampia ma di qualità, un’offerta formativa che sia collegata con il mondo del lavoro. Serve una scuola esigente, che dia opportunità e al tempo stesso richieda impegno e dedizione.
- Sulla ricerca. Più fondi alla ricerca vuol dire più possibilità di futuro per il nostro Paese. Vuole investire sulle idee innovative, sui giovani talenti. Investire sulla ricerca è impedire la fuga dei cervelli. E’ investire sullo sviluppo.
- Sulle Pari opportunità di accesso ai servizi. Il mondo del lavoro non può essere un muro così come, dar vita ad una famiglia, comprare una casa, viaggiare e vivere le opportunità che esistono fuori dalla pareti domestiche. Flessibilità e mobilità non devono corrispondere a precarietà. Serve per questo avviare una seria discussione sulla riforma degli albi professionali.
- Sulle Politiche per l’Integrazione. Un Paese vitale è capace di integrare chi, straniero, decide di lavorare e vivere in Italia. Un Paese vitale vede l’immigrazione come un’opportunità, come un’occasione di accoglienza, pur nel rispetto della legge.
- Sulla Laicità delle istituzioni come valore. Dove sia salvaguardata la libertà di espressione di tutte le componenti della società italiana.
- Sull’accesso al credito. Servono politiche di accesso al credito che scommettano sulle capacità e sulla progettualità dei giovani, il loro vero capitale di futuro. Facilitare l’accesso al credito è scommettere sui giovani. - Sulle Politiche abitative. La casa è bene primario per la costruzione di nuove famiglia. Servono politiche per gli affitti, capaci di contenere un mercato degli affitti fuori controllo, servono politiche per facilitare l’acquisto della prima casa. - Su una riforma delle Pensioni che tuteli gli interessi dei giovani. Rispetto alla previdenza i giovani sono sicuramente uno dei soggetti deboli. Rivedere le pensioni nell’ottica delle giovani generazioni significa avere il coraggio di affrontare una riforma che pensi a chi andrà in pensione tra 30 anni, a chi vive il mercato del lavoro da precario, a chi gode di pochissime tutele nel mondo del lavoro.
C’è bisogno di investire sui giovani non in quanto specificità ma in quanto parte integrante della società.
Il Forum Nazionale dei Giovani, lavora per promuovere attività e offrire opportunità per la crescita personale e l’integrazione delle nuove generazioni. Il suo ruolo consultivo e propositivo in tema di Politiche Giovanili è finalizzato a rappresentare tutti i giovani.
Crediamo in una rigenerazione del nostro sistema politico; noi giovani, dobbiamo essere il mezzo, non il fine del cambiamento.
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Giangiacomo
venerdì 4 aprile 2008
In Italia è vietato parlare male dell'aborto!!
Due minuti per la vita, senza entrare nel merito delle personali e legittime scelte di voto per uno specifico partito, condanna con forza gli oltraggi e le violenze di cui è stato fatto oggetto Giuliano Ferrara, rappresentante della lista per la difesa della vita "Aborto? No grazie!", in occasione del comizio di due giorni fa a Bologna.
Il livore e la bestiale rabbia dei manifestanti facinorosi (arruolati dal variegato mondo di autonomi, no-global, femministe, etc...) dimostrano, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la difesa della vita umana prima della nascita e la conseguente denuncia dell'aborto come omicidio sono gli unici temi (tra quelli trattati in campagna elettorale) sui quali non si può sopportare di sentire e di guardare in faccia la verità e si cerca con ogni mezzo di silenziare coloro che la affermano.
"La violenza si radica nella menzogna e ha bisogno della menzogna, nel tentativo di assicurarsi una rispettabilità dinanzi all'opinione mondiale mediante giustificazioni del tutto estranee alla sua natura e, del resto, spesso tra loro contraddittorie. Che dire della pratica di imporre a coloro che non condividono le proprie posizioni - per meglio combatterli o ridurli al silenzio - l'etichetta di nemici, attribuendo loro intenzioni ostili, stigmatizzandoli come aggressori mediante una propaganda abile e costante?" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la XIII Giornata Mondiale della pace del 1 gennaio 1980, n. 1)
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Giangiacomo
Il livore e la bestiale rabbia dei manifestanti facinorosi (arruolati dal variegato mondo di autonomi, no-global, femministe, etc...) dimostrano, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la difesa della vita umana prima della nascita e la conseguente denuncia dell'aborto come omicidio sono gli unici temi (tra quelli trattati in campagna elettorale) sui quali non si può sopportare di sentire e di guardare in faccia la verità e si cerca con ogni mezzo di silenziare coloro che la affermano.
"La violenza si radica nella menzogna e ha bisogno della menzogna, nel tentativo di assicurarsi una rispettabilità dinanzi all'opinione mondiale mediante giustificazioni del tutto estranee alla sua natura e, del resto, spesso tra loro contraddittorie. Che dire della pratica di imporre a coloro che non condividono le proprie posizioni - per meglio combatterli o ridurli al silenzio - l'etichetta di nemici, attribuendo loro intenzioni ostili, stigmatizzandoli come aggressori mediante una propaganda abile e costante?" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la XIII Giornata Mondiale della pace del 1 gennaio 1980, n. 1)
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