Mentre in Italia la cronaca era dominata dal Family day - ma traendo ulteriore forza proprio da quell’evento - Benedetto XVI, con uno stile tranquillo e sorridente, ha lanciato in Brasile il programma di una vera e propria rivoluzione teologica, pensata anzitutto per l'immensa ma inquieta Chiesa dell'America Latina e tuttavia destinata a ripercussioni inevitabili anche da noi.
Già Giovanni Paolo II aveva invitato i cattolici latinoamericani ad abbandonare il marxismo come strumento per analizzare i problemi sociali, e a sostituire alla teologia della liberazione la dottrina sociale della Chiesa. Ci sono ancora teologi ribelli ma la Chiesa di Roma, nei lunghi anni in cui la Congregazione per la Dottrina della Fede è stata guidata dal cardinale Ratzinger, questa battaglia l'ha vinta. Resta vivo però un dibattito sulla concreta applicazione della dottrina sociale cattolica alla politica. Dal momento che i politici la cui visione del mondo corrisponde integralmente a quella della Chiesa sono pochi, quali temi usare come cartina di tornasole al momento delle scelte? Per molti vescovi, non solo sudamericani, i temi centrali sono quelli della pace (spesso, ahimè, scambiata con il pacifismo) e di politiche socio-economiche presentate come più favorevoli ai poveri. Sulla base di questi criteri molti vescovi brasiliani hanno sostenuto Lula, nonostante le sue aperture all'aborto. Né il problema è solo latino-americano: per le stesse ragioni da noi tanti preti e qualche vescovo continuano a sostenere Prodi, anche dopo il Family day e nonostante i Dico.
Benedetto XVI in Brasile ha rovesciato il quadro. Riprendendo i temi del documento sulla «Dignità a ricevere la santa comunione» che come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede aveva trasmesso ai vescovi degli Stati Uniti nel 2004, quando si trattava di scegliere fra Bush e Kerry, ha sistematicamente distinto nella dottrina sociale fra questioni «essenziali» e questioni, che pure importanti, «non hanno lo stesso peso». Così mentre per i politici (cui su questi temi può perfino essere negata la comunione) e gli elettori c'è un «grave e preciso obbligo» di opporsi all'aborto, all'eutanasia e al matrimonio omosessuale, su complesse questioni che attengono alla pace, all'economia e alla giustizia «ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici»: per esempio, «sul fare la guerra e sull'applicare la pena di morte».
Questo non significa che la pace, l'aiuto ai poveri e anche la tutela dell'ambiente in Amazzonia - tutti temi evocati da Benedetto XVI in Brasile - non stiano a cuore alla Chiesa. Non è così: ma la rivoluzione di Papa Ratzinger riguarda la scelta delle priorità, e di quali valori siano effettivamente non negoziabili. Il messaggio che arriva dal Brasile è chiaro. L'unità dei cattolici e il giudizio sui politici che pretendono di rappresentarli si giocano sul terreno della vita e della famiglia, dove le posizioni sono anche più semplici e chiare. La questione del riconoscimento delle unioni omosessuali si risolve con un sì o un no, mentre valutare posizioni politiche su temi come «la pace» o «la legalità» richiede analisi complesse. Non vale quindi fare sconti a Lula o a Prodi perché si apprezza qualche loro convinzione personale o programma sociale, o qualche punto della loro politica estera. Se Lula è per l'aborto, e Prodi per i Dico, il cittadino cattolico ha non solo il diritto, ma il dovere, di negare ai rispettivi governi il suo sostegno e il suo voto.
Massimo Introvigne (il Giornale, 14 maggio 2007)
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Giangiacomo
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