Visto il mio personale interesse per costruire qualcosa, pubblico la lettera del nuovo Presidente della Compagnia delle Opere ai soci
Cari amici,
negli ultimi anni ho avuto l’occasione di incontrare tanti di voi attraverso il mio lavoro per la Scuola d’impresa della Fondazione per la sussidiarietà. Ho potuto conoscere tante opere, ma soprattutto tante persone all’opera: con un interesse reale e intelligente per il bene delle persone, con una carità che si esprime fino al sacrificio, con un gusto per la bellezza come segno di una positività presente in tutto, con una speranza che fa vivere anche situazioni drammatiche con una gratuità sorprendente. Gli stessi collaboratori della CDO che ho potuto incontrare e sto incontrando in questi giorni vivono il servizio con grandissima disponibilità e reale dedizione. Ho conosciuto quindi la nostra compagnia come una realtà straordinaria - ricca di una umanità viva, caratterizzata da creatività e libertà. E questo non vale solo per le opere più conosciute di cui si parla pubblicamente, ma anche per tante opere piccole e imprese meno note, di cui solo pochi sono a conoscenza.
La CDO si sviluppa di fatto come sostegno reciproco alla creazione di opere che vogliono mettere al centro il bene della persona, rafforzare la libertà, favorire la responsabilità e contribuire al bene comune. In questa esperienza che si esprime in una continua e instancabile tensione ideale sta la valenza sociale e la dignità culturale della CDO. Più un’opera esprime il desiderio autentico della persona, più si sviluppa una relazione organica e verificabile fra il bene della persona, il bene dell’impresa e il bene comune. In questo senso la CDO è una testimonianza che è possibile vivere il lavoro in un modo che, rispondendo al proprio bisogno, contribuisca a rispondere al bisogno di tutti.
Nei prossimi mesi voglio soprattutto comprendere meglio questa nostra amicizia operativa e sollecitare un dialogo fra di noi sulle ragioni che ci sostengono nel nostro lavoro e sulle prospettive che le nostre esperienze ci suggeriscono, partendo dagli organi che rappresentano la CDO in tutte le sue espressioni. Non è una progettualità che ci salva, ma abbiamo la responsabilità di fronte a dei segni evidenti che ci interpellano e ci chiedono di trovare modalità sempre più adeguate per un reale sostegno reciproco.
Senza voler pregiudicare il risultato di questo dialogo, mi permetto di sottolineare tre punti che mi sembrano particolarmente importanti e che vedo in piena continuità con le Presidenze di Giorgio Vittadini e di Raffaello Vignali.
La prima preoccupazione riguarda i giovani e il loro ingresso nel mondo del lavoro. Occorre prima di tutto fare quanto è possibile per valorizzare tutte le opportunità. Quando un giovane entra in un’impresa o in un’opera ha bisogno non solo di una formazione professionale continua, ma anche della opportunità di una educazione. L’emergenza educativa, infatti, non tocca più soltanto la famiglia e la scuola, ma in modo crescente anche l’azienda: occorre creare le condizioni affinché chi cominci a lavorare possa fare l’esperienza del lavoro stesso come possibilità di una maturazione non solo professionale, ma anche umana. Dovremmo cercare di condividere il più possibile esperienze positive fra di noi che documentano questa possibilità.
La seconda riguarda la rete tra le imprese. All’interno di CDO sono nate e continuano a svilupparsi tante relazioni tra imprenditori, diverse tra di loro per modalità di aggregazione, per finalità, per dimensione, che riflettono tutte la vera natura dell’associazione: un luogo dove gli associati stessi prendono l’iniziativa per lavorare e costruire insieme. Queste aggregazioni tra gli associati sono fatti originali e preziosi, che vanno accompagnati, sostenuti, osservati e compresi perché possano diventare anch’essi patrimonio di esperienza comune.
Infine vorrei sottolineare la necessità della formazione sia professionale sia manageriale per le imprese profit e per le imprese non profit. Proprio il criterio ideale al quale ci riferiamo richiede un impegno continuo per trovare metodi e strumenti più adeguati possibili per uno sviluppo delle imprese, per dare continuità e persistenza a tutto ciò che nasce dalla nostra creatività e dalla nostra inventiva.
Alla politica chiediamo e continueremo a chiedere una tutela delle iniziative che nascono dalle persone e dalle varie associazioni e movimenti presenti nella società. Suggeriamo a tutti di seguire il principio della sussidiarietà che favorisce il connubio fra libertà e responsabilità, radice di una società democratica non solo nella forma, ma anche nella sostanza. Sappiamo di poter contare su politici sensibili a questi temi, tra i quali anche l’amico Raffaello Vignali che mi ha preceduto alla guida di CDO e che ringrazio per il grande lavoro che ha fatto, soprattutto per riaffermare “l’onore di fare impresa”.
L’emergere di una operosità riconoscibile per la sua diversità è la documentazione che la nostra amicizia ha la sua origine in qualcosa che la precede e la plasma dal di dentro. Riconoscere questa origine ideale non solo come generazione storica ma come generazione presente è un atto di ragionevolezza. Sono i fatti che parlano. Siamo noi i primi a essere sorpresi da questa novità che emerge in mezzo ai nostri limiti, errori e approssimazioni. Ma tutta la ricchezza umana e sociale che ci mette in grado di vivere in questa dinamica piena di costruttività e di accoglienza non è scontata, anzi essa rischia spesso di perdersi dentro una laboriosità quotidiana che si dimentica delle sue ragioni. Occorre quindi una fedeltà all’ideale e questo vuol dire una fedeltà alla nostra amicizia che riflette in sé la ragione che ha dato l’inizio alla CDO. Perché tutto possa esistere e perché tutto possa contribuire al bene di ognuno. Questa è la nostra originalità - in tutto.
Ma che cos’è il “bene” della persona? Che cos’è il “bene comune”? Il nostro lavoro, le nostre opere e la nostra compagnia risponderanno tanto più adeguatamente a queste domande, tanto più sapranno orientarsi al carisma di don Luigi Giussani che oggi viene reso presente attraverso don Julián Carrón. Questo carisma è l’origine sempre nuova della CDO e lo possiamo scoprire nella sua verità proprio attraverso il nostro lavoro e la nostra amicizia. E siccome più l’albero diventa grande, più ha bisogno di radici profonde, più crescono le nostre opere e più cresce la Cdo stessa, più ci conviene attingere a questa linfa vitale - ricordandoci che i frutti sono per tutti. Tutte le nostre attività e i nostri tentativi saranno tanto più significativi e “attraenti” quanto più saranno espressione di un’esperienza cristiana che diventa possibilità di umanità per tutti.
Il Meeting di quest’anno avrà il titolo “O protagonisti o nessuno”, un titolo che ci richiama nella sua semplicità evocativa al senso del nostro servizio reciproco: fare di tutto perché chi incontriamo possa diventare protagonista: della propria vita, del proprio lavoro, della propria impresa, del bene comune. E più uno lavora con questa intenzione, più diventerà protagonista lui stesso. In questo sta la reciprocità della nostra compagnia e un’autentica capacità di accoglienza e di dialogo con tutti.
Sono profondamente grato di poter collaborare con voi in questa grande e appassionante avventura umana, così piena di sfide, ma soprattutto così piena del desiderio di realizzare nuove forme di vita attraverso la fatica dell’impegno nel lavoro quotidiano.
Vi saluto con affetto
Bernhard Scholz
see u,
Giangiacomo
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2 commenti:
ma è per sequela al Papa la scelta della nazionalità?
I VESCOVI E IL PAESE
Reale: «Emergenza educativa, una crisi che inizia dai padri»
DI EDOARDO CASTAGNA
«Non è un problema. È il problema » .
Il filosofo Giovanni Reale apprezza senza riserve l’intervento di Benedetto XVI sull’emergenza educativa, ritenendola «il problema, in senso assoluto, che domina la situazione attuale». E ne indica immediatamente la radice: «Il relativismo pervasivo, e non di rado aggressivo, che mina alla base tutte le certezze e tutti i valori – quindi, tutti i punti di riferimento per l’educazione. Così, il problema dell’educazione è in realtà il problema dell’essere uomo nella società di oggi. Perché la questione, a mio modo di vedere, è questa: è crisi tra i giovani perché è crisi tra i padri e le madri».
È in questo senso cha va compreso l’appello agli educatori, affinché siano «testimoni credibili di quei valori su cui è possibile costruire sia l’esistenza personale sia progetti di vita comuni e condivisi»?
«Certo, è l’unica cosa da fare. Per i Greci, nostri maestri, la verità di una filosofia si misurava non nella coerenza delle idee e delle dimostrazioni che il filosofo presentava, ma nella coerenza con la sua vita: se è vero quello che dici io lo verifico nella vita che conduci. A maggior ragione questo vale oggi per i padri, le madri, gli educatori. Le chiacchiere non servono a nulla: del padre e della madre i figli colgono ciò che fanno pri- ma di ciò che dicono, che è, se non secondario, perlomeno conseguente. Del resto, il pontefice fin dalla sua prima enciclica ha detto chiaramente che l’incontro con Cristo non è un incontro con delle idee, ma con una persona. Così Kierkegaard, alla domanda se avrebbe voluto aver visto Cristo in faccia, rispondeva: Cristo lo devi sempre vedere in faccia; essere credente significa sentire Cristo come contemporaneo. Il cristianesimo finisce nel momento in cui cessa questa contemporaneità, perché allora Cristo diventa una cosa immensamente lontana da noi».
Come è possibile far rinascere questa idea e metterla in atto? Il discorso di Benedetto XVI richiama l’idea di persona.
«Purtroppo il concetto di persona oggi è stato completamente dimenticato a favore dell’individuo, dell’individualismo. Invece il concetto di persona, che non è greco ma esclusivamente cristiano, implica un rapporto strutturale dell’io con il tu. E non solo a livello orizzontale, ma anche con il Tu maiuscolo; triangolare, quindi. Io l’ho imparato bene da Giovanni Paolo II, che diceva che la persona umana è un rispecchiamento della Trinità. Recentemente sono stato molto colpito dalla lettura de L’epoca della passioni tristi, dove due psicoterapeuti francesi, Miguel Benasayag e Gérard Schmit, scrivono che non hanno mai avuto così tanti pazienti giovani da curare come adesso. E trovano la ragione di fondo di questa crisi dei giovani: il caos, che trovano sia in casa, sia fuori. Rieducarli è assolutamente fondamentale, e per farlo occorre superare quel relativismo – che è nichilismo – dilagante. Non con parole, ma con testimoni».
La sua lunga esperienza di insegnamento glielo conferma?
«Io, che sono nella scuola da sempre, capisco e soffro moltissimo nel vederla corrotta e decadente, nel senso che si è dato un peso determinante alla preparazione per l’utile, per ciò che concretamente è utile, scacciando tutto ciò che è 'inutile'. Per fortuna non siamo noi al vertice di questa sciagura; ha iniziato la Germania, poi in Francia hanno tolto la filosofia dai licei… che però è quello che insegna a pensare. A essere uomini».
Eppure anche nei nostri licei si sentono gli studenti dire: perché devo studiare latino, a che mi serve?
«È quello il problema! Ma chi lo dice davvero? Prima degli studenti, lo dicono i padri e le madri. Ricordo una lettera: 'A mio figlio fanno studiare Manzoni, ma a che cosa gli serve, visto che farà l’ingegnere…'. Ma scriveva il pensatore cinese Tchouang Tse: 'Tutti conoscono l’utilità dell’utile. Ma pochi conoscono l’utilità dell’inutile'. E aggiungeva: 'L’inutile produce talvolta ciò che è più utile di ciò che tu ritieni inutile'. Sono queste le cose che dovremmo far capire. Anche a qualche professore, perché molti sono ancora figli del Sessantotto e non hanno recuperato i valori che erano stati contestati».
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