lunedì 31 dicembre 2007
Il merito e il salario
Il presidente di Confindustria, Montezemolo, ha rilanciato con forza, in questi giorni, la parola d’ordine della meritocrazia; e il segretario della Cisl, Bonanni, gli ha risposto positivamente: «Il nostro obiettivo è lavorare meglio e di più, per produrre e guadagnare di più». Su questo tema, invece, la Cgil resta abbottonata. Questa sua riluttanza non risponde a ragioni tattiche contingenti: ha radici profonde nella cultura della sinistra. E niente affatto disprezzabili.
A sinistra l’idea dominante è che la produttività non sia un attributo del lavoratore, bensì dell’organizzazione aziendale in cui egli è inserito. «Prendi un ingegnere bravissimo e mettilo a spaccare le pietre: otterrai probabilmente un lavoratore molto meno produttivo di uno spaccapietre analfabeta». Se, poi, nessuno domanda pietre, entrambi stanno fermi e la produttività di entrambi è zero. Nel dibattito di tutto lo scorso anno sui nullafacenti del settore pubblico, questo è stato immancabilmente il concetto che veniva contrapposto all’idea di commisurare le retribuzioni anche ai meriti individuali: «Il risultato penosamente basso di molti uffici — si è detto da sinistra — ma anche il difetto di impegno di molti impiegati dipendono dal pessimo livello di organizzazione e strumentazione ».
C’è del vero in questo argomento; ma a sinistra si cade spesso nell’errore di fermarsi qui. È l’errore che il grande Jacovitti rappresentò con l’indimenticabile vignetta dove una mucca dall’aria torpida e pigra diceva: «Sono una mucca per colpa della società». La realtà è che la produttività del lavoro dipende da entrambe le variabili: sia dall’organizzazione, e talvolta da circostanze esterne incontrollabili, sia dalla competenza e dall’impegno del singolo addetto. E conta anche il suo impegno nel cercare l’azienda dove il proprio lavoro può essere meglio valorizzato.
Commisurare interamente la retribuzione al risultato significa, certo, scaricare sul lavoratore tutto il rischio di un esito negativo che può non dipendere da suo demerito. Ma garantire una retribuzione del tutto stabile e indifferente al risultato significa cadere nell’eccesso opposto: così viene meno l’incentivo alla fatica del far bene il proprio lavoro e del muoversi alla ricerca del lavoro più utile, per gli altri e per se stessi. Questa stabilità e indifferenza della retribuzione è la regola oggi di fatto imperante in tutto il settore pubblico, ma troppo largamente applicata anche in quello privato, per effetto di contratti collettivi che lasciano uno spazio del tutto insufficiente al premio legato al risultato.
E questo è uno dei motivi —insieme, certo, a tanti altri difetti strutturali e imprenditoriali — della bassa produttività media del lavoro nel nostro Paese. Per uno stipendio magari basso, che però matura qualsiasi cosa accada, ci sono sempre i lavoratori che si impegnano a fondo, se non altro per rispetto verso se stessi, e si ribellano alle situazioni di improduttività; ma ce ne sono sempre anche altri che se la prendono comoda, fino al limite del non far nulla. Un’iniezione di meritocrazia nei contratti collettivi e individuali fa certamente bene anche a questi ultimi.
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Giangiacomo
domenica 30 dicembre 2007
“Insegniamo ai giovani il valore della fatica”
Cardinale Angelo Bagnasco, quali sono le sue priorità maggiori in questo fine anno?
«Sul versante ecclesiale c’è urgenza sul compito educativo. Se non si formano le persone in senso completo e si danno solo risposte parziali non va bene. L’educazione coinvolge la responsabilità della Chiesa, della famiglia e delle istituzioni dello Stato che hanno compiti suppletivi a quelli della famiglia. Tre soggetti dunque: la famiglia, lo Stato e la Chiesa, secondo me devono mettere a tema la fiducia nell’educazione, cosa che la Chiesa ha sempre avuto, ma devono pensarci anche i genitori e le istituzioni scolastiche».
Questo tema dell’educazione è stato recentemente evocato in un passaggio romano da personalità laiche come Gorbaciov o religiose come Dalai Lama?
«Anche il Papa ne ha parlato con insistenza alla cerimonia degli auguri della Curia Romana al Santo Padre in cui lui ha trattato il tema dell’emergenza educativa, cosa che aveva già precedentemente fatto alcune settimane orsono».
E le altre priorità?
«Crescere da parte della comunità la passione evangelizzatrice, l’annuncio di Cristo secondo il metodo dei primi cristiani, cioè da persona a persona circondata dal Santo Padre. L’evangelizzazione è un compito motivato, non si può tenere la gioia per sè, una grande gioia, bisogna dividerla con gli altri, comunicarla. Certo, questo non è mai una prevaricazione, ma un atto di amore e di servizio».
Quello che ci circonda, però, è un mondo con molto dolore.
«E’ evidente, tragico e ineluttabile, l’esperienza umana è complessa di luci e ombre. La luce del Vangelo non toglie le croci, ma illumina la croce di significato e dolore e la presenza di Cristo naturalmente aiuta».
Come si fa a tener viva la fede?
«Ognuno si appella alla propria esperienza e può constatare che nella misura in cui l’uomo è fedele alla fede, la fede è fedele all’uomo. Non bisogna mai tirarsi indietro».
Oggi però viviamo in un mondo dell’apparire?
«Si tende a scartare l’impegno, la fatica che sono invece gioia, chi vive l’amore sa che ha un duplice volto, che sono gioia e fatica».
La fatica non è molto di moda?
«Se si veicola un modello di vita fatto solo di piacere e successo facile, quando uno incontra la fatica, la schifa, però invece la vita per giungere a un punto d’arrivo ha bisogno della fatica e qui torniamo al problema educativo».
Quali sono i suoi precetti per una vita serena?
«La serietà, non fuggire da noi stessi e dai compiti della vita, la fatica, l’impegno e il metodo. Una casa si può costruire con un progetto e non nella casualità e bisogna trovare la scoperta di un senso. E’ molto importante trovare lavoro, l’amicizia ha un grande significato, però separatamente queste cose non hanno un senso globale della vita».
Cosa dà un senso globale alla vita?
«Un senso più alto, un senso profondo che è solamente Dio e solo l’eternità dà un senso al tempo, ma noi in questo periodo storico non andiamo molto bene perché le categorie culturali dominanti vanno in senso opposto. Ci si frantuma sempre di più, non c’è la sintesi, sembra che la vita si realizzi con una soddisfazione effimera, le persone invece, in questa ricerca di soddisfazioni effimere si consumano».
E allora cosa bisogna fare?
«Bisogna pregare, uscire per porci di fronte a Dio che può dare senso di sintesi, il gusto della buona lettura, dei grandi pensatori. Pensiamo a Tommaso, Agostino a quei pensatori Greci come Platone, Aristotele e altri anche recenti. E’ un grande aiuto, non bisogna avere paura del silenzio e della solitudine. Si parla di massa e non di compagnia, un ammassamento di solitudini non fa una compagnia però per vivere buone le relazioni è necessario rigustare la capacità del silenzio, della solitudine piena di Dio. Gesù è un ponte tra Dio e l’uomo».
E il potere, il denaro così ricercati oggi?
«Sono miti vuoti, fantasmi che appaiono ma non hanno consistenza e prima o dopo chi vive di questo, si risveglia tragicamente».
Che giudizio dà all’Italia?
«Gli italiani sono un popolo, perché l’umanità degli italiani e la loro capacità di relazione e di non acuire conflitti e di trovare composizione è nota a tutti, sono qualità che ho visto apprezzare moltissimo quando mi sono recato dai militari all’estero. Queste qualità si vedono meno vivendo in casa dove non emerge il meglio».
E la violenza dilagante?
«E’ da condannare ma anche da leggere. La lettura è una richiesta di aiuto, di ordine sociale e di carattere spirituale. Quando c’è il vuoto, quando la vita non ha un senso, l’uomo diventa capace di tutto, anche di violenza. Se non ci sono punti di riferimento autentici per cui valga la pena di morire e di vivere non ci resta che il vuoto».
Cosa pensa di quanto dice il suo concittadino Beppe Grillo?
«Da quello che sento, penso che a suo modo cerca di dare un contributo».
Per Genova, la sua città, che desideri ha?
«Una crescita sempre maggiore nell’amore di Cristo, della Chiesa e questo riguarda tutta l’Italia. Da un punto di vista più locale vorrei che crescesse un orgoglio cittadino, ma non fine a se stesso. Fare una voce unica, creare una squadra. Vorrei che si facesse tutti insieme un grande passo in avanti nella vita sociale e economica. Genova non è una città di confine, ma è un valore per il paese. E’ la finestra sul mare dell’Europa».
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Giangiacomo
sabato 29 dicembre 2007
Bipolarismo...
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Giangiacomo
giovedì 27 dicembre 2007
Un fisco family-friendly e le leggi regionali sulla famiglia
Parte infatti una grande mobilitazione nazionale con un duplice obiettivo: un fisco giusto per le famiglie e le politiche regionali per la famiglia. La mobilitazione coinvolgerà nei prossimi mesi le cinquanta associazioni del Forum, i venti Forum regionali e le altre associazioni che lavorarono per l’evento del 12 maggio in piazza San Giovanni.
Alla petizione sul fisco è possibile aderire on line (www.forumfamiglie.org/PETIZIONE/PETIZIONEFIRMA.html) o, in alternativa, approfittare di una delle opportunità che saranno offerte localmente nei prossimi mesi dai Forum regionali e dalle associazioni che aderiscono alla mobilitazione.
Per quanto riguarda invece le leggi regionali sulla famiglia la situazione è più complessa. Alcune Regioni già hanno una legge buona, altre hanno approvato pessime normative, altre ancora sono prive di leggi (vedi la situazione). Di conseguenza sarà ogni singolo Forum regionale, in accordo con le associazioni che aderiscono alla mobilitazione a fissare il livello e le modalità di intervento.
Per maggiori informazioni: http://www.forumfamiglie.org/
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Giangiacomo
mercoledì 26 dicembre 2007
Con la gente delle chiese
Gli amici lo chiamano “lo zio d’America”. Nel mondo cattolico italiano, Marco Respinti (nato a Milano del 1964), redattore del settimanale di cultura il Domenicale diretto da Angelo Crespi, da anni è una sorta di ambasciatore non ufficiale che fa conoscere presso le grandi fondazioni conservatrici americane, dove è di casa, il nuovo mondo cattolico italiano delle associazioni e dei movimenti, e diffonde in Italia la cultura americana religiosa e vicina al centrodestra, che non è quella dei film di Hollywood. Studioso di fama internazionale del pensiero conservatore anglo-americano, Respinti è Senior Fellow presso il Russell Kirk Center for Cultural Renewal di Mecosta, nel Michigan,e fa parte del consiglio direttivo della sezione italiana dell’Acton Institute.Inizio la conversazione con Respinti da un libro sul conservatorismo appena uscito negli Stati Uniti, L’ascesa dei conservatori di Donald Critchlow, pubblicato dalla prestigiosa Harvard University Press. Il testo ci ricorda che è scontato che tra gli aventi diritti al voto negli Stati Uniti ci sia una maggioranza che noi chiameremmo di centrodestra. Ma il centrodestra non vince sempre perché molti si astengono e non vanno a votare. Ed è proprio nel “popolo delle chiese”, quella maggioranza di americani che è religiosa e praticante, che molti diffidano della politica e delle elezioni. E in Italia? “Anche da noi – risponde Respinti – il problema è portare a votare il popolo delle chiese, dove si annida in gran parte un’astensione fondata sullo scetticismo verso la politica. Se votasse, questo popolo voterebbe in gran parte il centrodestra, ma è diffidente, e indisponibile a compromessi sui principi”.Mentre molti italiani pensano che le elezioni USA siano decise dalla politica estera, Critchlow dimostra che è vero il contrario. Bush padre, che aveva vinto la prima guerra in Iraq, perse le elezioni del 1992 sulla politica economica. Bush figlio nel 2004 era impantanato nella seconda guerra in Iraq ma ha vinto perché ha saputo portare al centro delle elezioni la campagna sui valori morali, in particolare la lotta contro l’aborto e le unioni omosessuali. E da noi? Secondo Respinti “c’è una certa differenza. Negli Stati Uniti i cristiani conservatori sono riusciti a trasformare l’aborto in una grande questione politica, in Italia non è così. Tuttavia su temi come la fecondazione artificiale e il riconoscimento delle unioni omosessuali qualcosa sta cambiando, e il ‘popolo delle chiese’ ha lanciato dei segnali evidenti, con il referendum sulla legge 40 e con il Family Day”.Però – obietto –, mentre da noi c’è chi pensa che il bipartitismo elimini le coalizioni eterogenee, la storia del Partito Repubblicano americano mostra che grandi partiti sono in realtà contenitori al cui interno ci sono idee molto diverse. Per esempio, i repubblicani vogliono meno tasse. Ma dall’altra chiedono una politica estera forte e più sicurezza nelle strade. Dal momento che esercito e polizia costano, le due esigenze entrano in conflitto. Anche da noi nel centrodestra c’è chi insiste sul principio di sussidiarietà e vuole far dimagrire lo Stato e chi accetterebbe uno Stato meno magro purché s’investa nella sicurezza e nella giustizia. Come farli stare insieme? “La cosa curiosa – secondo Respinti – è che le due posizioni sono incarnazioni storiche diverse di princìpi comuni.. Il pensatore irlandese Edmund Burke, padre settecentesco di tutti i conservatori, diceva che cambiare è il segreto per conservare. Il conservatorismo all’antica che insiste sullo ‘Stato minimo’ e il neoconservatorismo che chiede investimenti sulla sicurezza possono e devono trovare un punto di compromesso in un’analisi moderna e condivisa dei problemi nazionali e internazionali”.Critchlow parla di una seconda divisione tra i conservatori: ci sono i “libertari” per cui fra le libertà ci sono quelle di abortire, di drogarsi, di vedersi riconosciuto pubblicamente uno stile di vita omosessuale; e i “conservatori morali” per cui invece aborto, droga e unioni omosessuali sono desideri individuali e non vere libertà. Per vincere in America bisogna che queste due anime, tanto diverse, votino lo stesso partito. E da noi? Si possono tenere insieme Capezzone e i cattolici? “La domanda – mi risponde Respinti – andrebbe posta all’amico Capezzone, il quale sa bene che nella cultura americana ci sono i libertari di destra e quelli di sinistra. Alla fine, quando arrivano le elezioni, bisogna scegliere: l’esperienza americana dimostra che un pensiero antistatalista, favorevole al mercato libero in economia e ai diritti umani può vincere solo stando insieme a chi difende la vita e la famiglia. Con Capezzone abbiamo fatto insieme tante battaglie sui diritti umani, a partire da quella per i montagnard cattolici del Vietnam perseguitati dai comunisti. Posso solo invitarlo a continuare il cammino, in direzione di quello che in America chiamano ‘fusionismo’: mettere insieme le diverse anime del mondo conservatore e di centrodestra per sconfiggere la sinistra. Insomma, torniamo a Burke”.Negli Stati Uniti si dice già che un eventuale candidato repubblicano abortista e tiepido sui principi religiosi come Giuliani potrebbe non convincere il popolo delle chiese ad andare a votare, con il risultato paradossale di consegnare il paese ai democratici, le cui idee pure sono minoritarie. E in Italia, Respinti, come si portano i cattolici tentati dall’antipolitica a votare? “Invitandoli. Ma quando s’invita qualcuno a cena, poi non lo si mette a tavola con la tovaglia sporca, le posate unte e servendogli minestre riscaldate. È quanto ha fatto il centrosinistra, generando enorme delusione nei cosiddetti teodem, invitati a gran voce e poi trattati come i classici utili idioti. Un errore che il centrodestra non dovrebbe ripetere. Aggiunga un posto a tavola per i cattolici degno del ruolo storico e sociale che hanno nel Paese. Dopo tante delusioni, verranno volentieri”.
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Giangiacomo
Appello, ora la moratoria per l’aborto
Giuliano Ferrara
Questo è un appello alle buone coscienze che gioiscono per la moratoria sulla pena di morte nel mondo, votata ieri all’Onu da 104 paesi. Rallegriamoci, e facciamo una moratoria per gli aborti. Infatti per ogni pena di morte comminata a un essere umano vivente ci sono mille, diecimila, centomila, milioni di aborti comminati a esseri umani viventi, concepiti nell’amore o nel piacere e poi destinati, in nome di una schizofrenica e grottesca ideologia della salute della Donna, che con la donna in carne e ossa e con lasua speranza di salute e di salvezza non ha niente a che vedere, alla mannaia dell’asportazione chirurgica o a quella del veleno farmacologico via pillola Ru486. Questi esseri umani ai quali procuriamo la morte legale hanno ciascuno la propria struttura cromosomica, unica e irripetibile. Spesso, e in questo caso non li chiamiamo “concepiti” ma “feti”, hanno anche le fattezze e il volto, che sia o no a somiglianza di Dio lo lasciamo decidere alla coscienza individuale, di una persona. Qualche volta, è accaduto di recente a Firenze, queste persone vengono abortite vive, non ce la fanno nonostante ogni loro sforzo, soccombono dopo un regolare battesimo e vengono seppellite nel silenzio.La pena di morte per la cui virtuale moratoria ci si rallegra oggi è di due tipi: conseguente a un giusto processo o a sentenze di giustizia tribale, compresa la sharia. Sono due cose diverse, ovviamente. Ma la nostra buona coscienza ci induce a complimentarci con noi stessi perché non facciamo differenze, e condanniamo in linea di principio la soppressione legale di un essere umano senza guardare ai suoi motivi, che in qualche caso, in molti casi, sono l’aver inflitto la morte ad altri.Bene, anzi male. Il miliardo e più di aborti praticati da quando le legislazioni permettono la famosa interruzione volontaria della gravidanza riguarda persone legalmente innocenti, create e distrutte dal mero potere del desiderio, desiderio di aver figli e di amare e desiderio di non averli e di odiarsi fino al punto di amputarsi dell’amore. E’ lo scandalo supremo del nostro tempo, è una ferita catastrofica che lacera nel profondo le fibre e il possibile incanto della società moderna. E’ oltre tutto, in molte parti del mondo in cui l’aborto è selettivo per sesso, e diventa selettivo per profilo genetico, un capolavoro ideologico di razzismo in marcia con la forza dell’eugenetica. Rallegriamoci dunque, in alto i cuori, e dopo aver promosso la Piccola Moratoria promuoviamo la Grande Moratoria della strage degli innocenti. Si accettano irrisioni, perché le buone coscienze sanno usare l’arma del sarcasmo meglio delle cattive, ma anche adesioni a un appello che parla da solo, illuministicamente, con l’evidenza assoluta e veritativa dei fatti di esperienza e di ragione.
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Giangiacomo
martedì 25 dicembre 2007
Contro il Natale buonista (e veltroniano)
Sì alla pena di morte per i criminali (perchè si tende a giustificare i violenti??)
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Giangiacomo
sabato 22 dicembre 2007
La pena di morte cambia dal Paese che la applica?
Alcune domande.
La proposta di moratoria di D'Alema contro la pena di morte, riguarda anche i paesi comunisti (Cina) ed i paesi islamici (Iran, etc) o i detti paesi sono esentati? Se, come ritengo, riguarda anche quei paesi, perchè il governo italiano non protesta per le continue esecuzioni non di criminali, ma di persone innocenti?
Sbaglio o fu proprio Prodi a New York, all'inizio del suo mandato, presso il palazzo delle NU a volersi fortemente incontrare con Ahmedinejad e con Chavez (dittatore social-comunista, alleato di Cuba e dell'Iran), garantendo la loro democraticità presso i paesi occidentali?
Ricordiamo anche gli incontri di D'Alema & C. con Hezbollah (filo iraniani) in Libano definito "movimento democratico".
In questi giorni, Prodi (ma anche la radicale Bonino!!!), subordinando i diritti umani e la libertà religiosa agli affari, per non arrecare dispiacere alla Cina, ha evitato assolutamente di incontrare il Dalai Lama, che chiede rispetto della libertà religiosa in Tibet, paese occupato ed oppresso dalla Cina.
A questo punto, vi prego di tirare le sconcertanti conclusioni: la nostra politica internazionale è ambigua, contradditoria e giustificativa di chi è contro la libertà ed è una fotocopia della politica nazionale.
see u,
Giangiacomo
Giustizia e Legge: pena di morte
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 1992, n. 2267)
Justice and Law: death penalty
"Assuming that the guilty party's identity and responsibility have been fully determined, the traditional teaching of the Church does not exclude recourse to the death penalty".
(Catechism of the Catholic Church, 1992, n. 2267)
see u,
Giangiacomo
Meno male che è Natale...
Nel frattempo, il governo sopravvive solamente con i voti determinanti dei senatori a vita, approvando ogni cosa a colpi di fiducia e collezionando un errore dopo l’altro: dal caso Speciale al fallito decreto con le misure per la sicurezza dei cittadini.
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Giangiacomo
Troppe palle al piede: così frena la piccola impresa
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Giangiacomo
giovedì 20 dicembre 2007
La sussidiarietà è libertà e serve anche nel fisco
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Giangiacomo
Cattolici da record
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Giangiacomo
lunedì 17 dicembre 2007
Lavoro in affitto e bugie a caro prezzo
, i più deboli e meno garantiti, dispongono di un utile canale di ingresso o re-ingresso nel mercato del lavoro; il nesso tra domanda ed offerta di lavoro cresce; le imprese trovano più facilmente gli skills di cui hanno bisogno e quindi aumentano la loro competitività. Per ciò che concerne il nostro Paese, la mancanza di razionalità dell’attuale coalizione di governo si vede in questo campo più che in altri settori: mentre una parte di essa, imitando l’esperienza blairiana, è all’avanguardia sia sul piano della battaglia normativa che della promozione di esperienze sul campo, l’altra parte insegue sogni luddisti tipici di un comunismo pre-caduta del muro. Il paradosso è che, con un mercato del lavoro reso di nuovo più rigido, ne verrebbero a soffrire maggiormente proprio coloro che si pretenderebbe difendere: i disoccupati di lungo periodo, i giovani, le donne in maternità, i lavoratori over 45, gli extracomunitari, i disabili. Una volta di più, l’ideologia demagogica fa male all’uomo in carne ed ossa e al popolo nel suo insieme.
see u,
Giangiacomo
domenica 16 dicembre 2007
Il caso ICI
Riporto nei commenti uno spettacolare articolo di Paolo Del Debbio di qualche mese fa, ma sempre attualissimo!
L'incipit...
Il terzetto Prodi-Visco-Padoa Schioppa considera il cittadino italiano un mulo da soma. Il mulo, infatti, è molto volenteroso, paziente, costante. Ma non fino all'infinito. Si dice che nell'esercito prussiano una delle maggiori cause di morte dei soldati fossero i calci dei muli che non sopportavano una soma più pesante di tanto. Non so se i muli prussiani fossero prussiani anche nell'animo e, quindi, sopportassero pesi estremi. Il cittadino-contribuente-mulo italiano non è prussiano. Infatti in questa tornata di elezioni ha scalciato contro questo governo il suo presidente, lo stimatissimo Professor Prodi, il ministro sanguisuga Vincenzo Visco e l'impassibile ed etereo ministro Padoa-Schioppa.
see u,
Giangiacomo
sabato 15 dicembre 2007
Cari civich... la pazienza ha un limite. Ridotto!
Vi racconto una giornata che da taluni può essere considerata sfortunata, ma da altri, da un altro punto di vista, un accanimento che potrebbe portare ad una esasperazione di massa.
Mattina: vado al lavoro e parcheggio la mia auto in una zona di "carico-scarico" di fianco al mio ufficio. torno dopo 5 minuti con scatoloni e pc che dovevo portare da una filiale ad un'altra e...
MULTA di 74 euro!
motivazione: non venivano effettuate operazioni di carico scarico in quanto il veicolo era chiuso.
ora... a Torino, vicino a Porta Palazzo, è difficile che tu tenga una Alfa 159 aperta in mezzo alla strada, anche se ti assenti per qualche minuto.
siete scemi?
Pranzo: vado a pranzo da un amico. Alle 13.10 parcheggio l'auto in un viale ad alto scorrimento. Torno dopo 50 minuti e...
MULTA di 74 euro!
motivazione: una ruota sulla striscia bianca.
ora... a Torino, vicino a Tossic Park, ho cercato di parcheggiare in una zona dove l'auto fosse visibile. Nelle stradine intorno, c'è sempre il rischio ed è noto a tutti che vengano danneggiate e prese d'assalto da ladruncoli e drogati in cerca di pochi spiccioli. per una ruota che non limitava nenche il passaggio. per una ruota in pausa pranzo...
siete orbi??
Pomeriggio (tardi): torno a casa e nella buca delle lettera una simpatica lettera del Comune di Venaria e...
MULTA di 51 euro!
motivazione: superamento di 1 Km l'ora del limite di velocità.
ora... tra Torino e Venaria, dietro allo Stadio Delle Alpi, non puoi chiedere di rispettare i 50 km l'ora uscendo dalla tangenziale.
siete deficienti (nel senso che mancate di intelligenza, occhio clinico, intuizione)???
Questo vissuto, in prima persona, mi spaventa decisamente.
In primis, è davanti agli occhi di tutti che il Governo dei "rossi" taglia ai Comuni e i Comuni (la maggior parte proprio "rossi"), non volendo polemizzare con Roma, cercano di incrementare le entrate dell'erario in altro modo: multe, con motivazioni ridicole!!
In seconda battuta, i vigili sopratutto, non si rendono conto che piccoli escamotage vengono presi solo per una questione di insicurezza (l'auto chiusa a chiave, il parcheggio in zona sicura).
Anzichè pensare a bacchettare piccoli gesti (che non possono essere chiamati di inciviltà), mirino a controllare il territorio di competenze con effettive e utili azioni di POLIZIA urbana.
E' nel nome che portano!
Civich, fate attenzione ad opprimere così il cittadino...
la pazienza non è infinita!
see u,
Giangiacomo
martedì 11 dicembre 2007
Kosovo e il rischio domino
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Giangiacomo
domenica 9 dicembre 2007
Quando fa comodo
Potrei continuare all'infinito elencando gli aggettivi e apposizioni per i "rossi" (si legga post precedente).
Premessa. 10 circoscrizioni su 10 sono amministrate da giunte di centrosinistra (così come è ovvio sia il comune).
Sono sconcertato in relazione a ciò che accade per le strade di Torino.
Manifestazioni natalizie in ogni via, borgo, quartiere, giardino.
Così arrivo alla tesi:
quando fa comodo i "rossi" utilizzano e usano la Chiesa! quando GLI fa comodo!!
Non sopportano il Papa (chi gli ha chiesto che devono ascoltarlo se non lo riconoscono!!), ma quando Benedetto XVI interviene sulla questione ambientale, sottolineano immediatamente l'identità di vedute e quanto sia necessario seguirlo.
Non riconoscono un Dio onnipresente, ma festeggiano Natale: non riuscendo a farsi vedere in altra maniera (amministrando il quartiere), organizzano manifestazioni di piazza, di popolo.
see u,
Giangiacomo
I "rossi"
Da oggi in avanti il mio blog utilizzerà il termine "rossi" per definire tutti coloro che votano e sono stati votati nel centrosinistra.
Il motivo principale è che di centro in quello schieramente non c'è niente.
I finti cattolici, i catto-comunisti, cercano di raccogliere qualche voto cattolico, vicino ai valori della famiglia. Ma purtroppo, fintanto che restano nella coalizione comandata dai Ds, saranno inglobati dagli stessi, rimarranno inespressivi e impossibilitati a far emergere il loro pensiero.
L'esempio: il voto della Sen. Binetti, provenienza acli. Vota contro ad un emendamento del ddl sulla sicurezza che riguarda l'omofobia, ma da due anni sostiene a spada tratta inciuci, voti di fiducia e il Governo Prodi.
Giudizio finale: opportunisti, falsi, ipocriti!
In seconda battuta, che ne dicano, il comunismo non è finito. Il fatto di aver proposto Napolitano come capo dello Stato, una finanziaria che può piacere solo ai radicali di sinistra... anche se cercano di mettere nel simbolo un po' di verde, resteranno sempre "ROSSI".
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Giangiacomo
sabato 8 dicembre 2007
Natale siamo noi!
Leggi, stampa e porta a scuola il "Promemoria pro presepe": nuove argomentazioni per dire a studenti, insegnanti e dirigenti perchè fare il presepe fa bene alla scuola.
see u,
Giangiacomo
Ehi, laiconi, provate a rispondere al Papa
La lettera enciclica sulla speranza cristiana ha avuto l’effetto di una bomba intelligente e edificante. Ha centrato
l’obiettivo, colpendo l’impalcatura autoreferenziale del razionalismo soggettivista incurante della urgenza di verità e di fede (troppo umana) coltivata dagli uomini, ma con autorevole dolcezza, senza fare vittime.
L’impressione è che partendo di lì, da una discussione adulta e non scontata, non inquinata dal correttismo e cioè dai luoghi comuni sul dialogo, e invece incline a una discussione effettiva, tra moderni secolaristi e moderni cristiani si possa ricostruire qualcosa di sensato.L’enciclica sull’amore poteva essere assimilata dai secolaristi moderni senza troppi drammi e danni, e letta in modo automanipolatorio, perché il radicamento dell’amore nel problema della verità non è autoevidente, anzi. Spesso l’amore, non l’agape cristiana, non l’eros cristiano, ma la cura degli altri e di se stessi come umanitarismo, si confonde con sentimentalismo e bontà delle intenzioni, con il nutrimento del desiderio e l’affermazione di un mondo di diritti che si autogiustificano nel diritto al benessere. Ma con la speranza non si scherza. Come notava Péguy (il Foglio, venerdì 30 novembre), è una virtù bambina che trascina tutte le altre in una spirale teologale che è anche il culmine assoluto della filosofia, della vera filosofia viandante con tanto di bastone, e in un certo senso della vera religione, della vera fede, della nostra identità culturale radicale in quanto credenti o non credenti che appartengono al cristianesimo o ne dispongono come di un tesoro nascosto.Ai primi vespri del tempo di Avvento, Benedetto XVI, citando il nullismo dell’ideologia pagana contemporanea, ha detto, presentando l’anno liturgico e l’enciclica: “Tutto perde di ‘spessore’. E’ come se venisse a mancare la dimensione della profondità ed ogni cosa si appiattisse, privata del
suo rilievo simbolico, della sua ‘sporgenza’ rispetto alla mera materialità”. A questa critica schiettamente filosofica, in cui la parola “sporgenza” spiega tutto quel che c’è da spiegare in termini di ragione e dall’interno della storia, Benedetto aggiunge quel che è suo, e che è cardinale nella funzione apostolica e nella libera fede della chiesa, cioè Dio: “L’uomo è l’unica creatura libera di dire di sì o di no all’eternità, cioè a Dio. L’essere umano può spegnere in se stesso la speranza eliminando Dio dalla propria vita”. Programma troppo ambizioso e destinato al fallimento nella libertà, aggiunge il Papa, perché “all’umanità che non ha più tempo per Lui, Dio offre altro tempo”, il tempo liturgico dell’Avvento, e continua a rivelarsi” (attenzione! ndr) e a farlo “mediante la Parola e i Sacramenti”, “mediante la Chiesa” che “vuole parlare all’umanità e salvare gli uomini di oggi”, attraverso “questa luce che promana dal futuro di Dio” e che “si è già manifestata nella pienezza dei tempi”
con l’avvenimento del Cristo morto e risorto. Coloro che si sentono investiti da queste parole, da questa Parola, come da una minacciosa tempesta di vento in mare aperto, non hanno da preoccuparsi né da intristirsi, devono semplicemente rispettare le premesse laiche e secolariste della loro fede nell’immanenza, nell’autonomia dell’uomo e della storia, e domandarsi che cosa Benedetto abbia voluto dire, che cosa significhino per loro le sue parole su questa sostanza delle cose che si sperano e su questa prova di quelle che non si vedono che è la
fede cristiana; domandarsi che cosa ha detto il Papa e quanto possa essere significativo, non che cosa avrebbero voluto sentirsi dire nella forma rassicurante di un compromesso o dialogo all’insegna dello scambio tra una modernità furbamente accolta e un’intemporalità, un’inattualità, un’eternità che giudica rinunciando a se stessa (è questa la pretesa che avanza con garbo Orlando Franceschelli, che conosco come storico intelligente e militante del darwinismo e pubblicista laico sufficientemente attrezzato, anche più di Scalfari, per leggere una lettera enciclica di argomento teologico, il Riformista martedì 4 dicembre). Se l’ufficio della chiesa, sempre avida di riforme e aggiornamenti, è pur sempre “evangelizzare la storia dall’interno”, senza appartenerle interamente, e non piuttosto farsi convertire per inerzia dalle religioni immanentiste, ciò che mi sembra non solo vero da duemila anni compresi gli anni del Concilio Vaticano II, ma anche ragionevole e utile al mondo, compreso il mondo moderno e in specie esso, allora nasce o rinasce la responsabilità dello spirito secolare: pensare, pensare se stesso, i propri approdi, le proprie certezze e incertezze, la propria idea di speranza, anzi la propria fede- speranza come sostanza, substantia, radicamento in ciò che si è più che opinione su ciò che si è. In molti si domandano molte cose, e dialogano. Il pensiero cristiano, che da sempre è coscienza razionale del mondo e coscienza credente nel sopramondo incarnato, nel “plusvalore” del cielo (come scrive Benedetto), nell’àncora lanciata in tempesta verso il trono di Dio, nella stretta di mano del Padre e nella sua fedeltà, si permette il lusso di offrire risposte. Criticarlo e respingerlo è possibile, ovviamente, ma non più, nel tempo che viviamo, in nome dell’affettazione del dubbio, ponendo mere questioni di metodo. Il libro di Sofri, che sto leggendo, gira intorno al problema della risposta, intanto su chi è il mio prossimo, poi si vede, e gira con efficacia e costrutto senza naturalmente trovarla. D’Alema, parlando con gli studenti, fa il suo giretto. E Bertinotti il suo aggraziato passo di danza, presentando un libro su Giovanni Paolo II. Abbiamo passato l’estate a chiedere appunti per il dopo, e cioè: che cosa sperate? Torniamo a farlo. Io speriamo che me la cavo è una risposta tenera, terrestre e non necessariamente pedestre, ma palesemente insufficiente. La storia e lo spirito assoluto del reale razionale hanno
smesso di parlarci, con il Novecento e oltre. Questo mutismo dei tempi la chiesa lo registra e contrattacca. Un argomento, per cortesia, che parli di una qualche sostanza inattaccabile dalla fede e sia prova di cose che si vedono. Provate a vedere se vi riesca. Grazie.
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"Outlet Italia"
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martedì 4 dicembre 2007
L'assenteismo nella PA incide di 1 punto sul nostro PIL
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domenica 2 dicembre 2007
Riaffermare la centralità della politica
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Cosa significa la bellissima enciclica di Benedetto XVI sulla speranza
Antonio Socci, "Libero" 1 dicembre 2007
Una bomba. E' la nuova enciclica di Benedetto XVI, "Spesalvi" dove non c'è neanche una citazione del Concilio (scelta di enorme significato), dove finalmente si torna a parlare dell'Inferno,del Paradiso e del Purgatorio (perfino dell'Anticristo, sia pure in una citazione di Kant), dove si chiamano gli orrori col loro nome (pere sempio "comunismo", parola che al Concilio fu proibito pronunciare econdannare), dove invece di ammiccare ai potenti di questo
mondo siriporta la struggente testimonianza dei martiri cristiani, le vittime, dove si spazza via la retorica delle "religioni" affermando che uno solo è il Salvatore, dove si indica Maria come "stella di speranza" e dove si mostra che la fiducia cieca nel (solo) progresso e nella (sola) scienza porta al disastro e alla disperazione. Benedetto XVI, del Concilio, non cita neanche la "Gaudium et spes",che pure aveva nel titolo la parola "speranza", ma spazza via proprio l'equivoco disastrosamente introdotto nel mondo cattolico da questa che fu la principale costituzione conciliare, "La Chiesa nel mondocontemporaneo". Il Papa invita infatti, al n. 22, a "un'autocritica del cristianesimo moderno". Specialmente sul concetto di "progresso". Per dirla con Charles Péguy, "il cristianesimo non è la religione delprogresso, ma della salvezza". Non che il "progresso" sia cosanegativa, tutt'altro e moltissimo esso deve al cristianesimo comedimostrano anche libri recenti (penso a quelli di Rodney Stark, "Lavittoria della Ragione" e di Thomas Woods, "Come la Chiesa Cattolicaha costruito la civiltà occidentale"). Il problema è l' "ideologia delprogresso", la sua trasformazione in utopia. Il guaio grave della "Gaudium et spes" e del Concilio fu quello dimutare la virtù teologale della "speranza" nella nozione mondanizzatadi "ottimismo". Due cose radicalmente antitetiche, perché, comescriveva Ratzinger, da cardinale, nel libro "Guardare
Cristo": "loscopo dell'ottimismo è l'utopia", mentre la speranza è "un dono che ciè già stato dato e che attendiamo da colui che solo può davveroregalare: da quel Dio che ha già costruito la sua tenda nella storiacon Gesù". Nella Chiesa del post-Concilio l' "ottimismo" divenne un obbligo e unnuovo superdogma. Il peggior peccato diventò quello di "pessimismo". Adare il là fu anche l'
"ingenuo" discorso di apertura del Conciliofatto da Giovanni XXIII, il quale, nel secolo del più grande macellodi cristiani della storia, vedeva rosa e se la prendeva con icosiddetti "profeti di sventura": "Nelle attuali condizioni dellasocietà umana" disse "essi non sono capaci di vedere altro che rovinee guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con isecoli passati,
risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al puntodi comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia… ANoi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti disventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo". Roncalli fu ritenuto, dall'apologertica progressista, depositario diun vero "spirito profetico", cosa che si negò – per esempio – allaMadonna di Fatima la quale invece, nel 1917, metteva in guardia da orribili sciagure, annunciando la gravità del momento e il pericolomortale rappresentato dal comunismo in arrivo (dopo tre mesi) inRussia. Si verificò infatti un oceano di orrore e di sangue. Ma 40anni dopo, nel 1962, allegramente – mentre il Vaticano assicurava Mosca che al Concilio non sarebbe stato condannato esplicitamente ilcomunismo e mentre si "condannavano" a mille
vessazioni santi comepadre Pio – Giovanni XXIII annunciò pubblicamente che la Chiesa del Concilio preferiva evitare "condanne" perché anche se "non mancano dottrine fallaci… ormai gli uomini da se stessi sembra siano propensia condannarli". E infatti di lì a poco si ebbe il massimo dell'espansione comunista nel mondo, non solo con regimi che andavano da Trieste alla Cina e
poiCuba e l'Indocina, ma con l'esplosione del '68 nei Paesi occidentali che per decenni furono devastati dalle ideologie dell'odio. Pochi annidopo la fine del Concilio Paolo VI tirava il tragico bilancio, per laChiesa, del "profetico" ottimismo roncalliano e conciliare: "Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole perla storia della Chiesa. È venuta invece una
giornata di nuvole, ditempesta, di buio, di ricerca, di incertezza…L'apertura al mondo èdiventata una vera e propria invasione del pensiero secolare nellaChiesa. Siamo stati forse troppo deboli e imprudenti", "la Chiesa è inun difficile periodo di autodemolizione", "da qualche parte il fumo diSatana è entrato nel tempio di Dio". Per questa leale ammissione, lo stesso Paolo VI fu isolato
come"pessimista" dall'establishment clericale per il quale la religionedell'ottimismo "faceva dimenticare ogni decadenza e ogni distruzione"(oltre a far dimenticare l'enormità dei pericoli che gravanosull'umanità e dogmi quali il peccato originale e l'esistenza diSatana e dell'inferno). Ratzinger, nel libro citato, ha parole di fuoco contro questa sostituzione della "speranza" con l' "ottimismo". Dice che "questo ottimismo metodico veniva prodotto da coloro che desideravano la distruzione della vecchia Chiesa, con il mantello dicopertura della riforma", "il pubblico ottimismo era una specie ditranquillante… allo scopo di creare il clima adatto a disfare possibilmente in pace la Chiesa e acquisire così dominio su di essa". Ratzinger faceva anche un esempio personale. Quando esplose il casodel suo libro intervista con Vittorio Messori, "Rapporto sulla fede",dove si illustrava a chiare note la situazione della Chiesa e delmondo, fu accusato di aver fatto "un libro pessimistico. Da qualche parte" scriveva il cardinale "si tentò perfino di vietarne la vendita, perché un'eresia di quest'ordine di grandezza semplicemente non potevaessere tollerata. I detentori del potere d'opinione misero il libroall'indice. La nuova inquisizione fece sentire la sua forza. Vennedimostrato ancora una volta che non esiste peccato peggiore contro lospirito dell'epoca che il diventare rei di una mancanza di ottimismo". Oggi Benedetto XVI, con questa enciclica dal pensiero potente (che valorizza per esempio i "francofortesi"), finalmente mette in soffitta il burroso "ottimismo" roncalliano e conciliare, quell'ideologismofacilone e conformista che ha fatto inginocchiare la Chiesa davanti almondo e l'ha consegnata a una delle più tremende crisi della suastoria. Così la critica implicita non va più solo al post concilio,alle "cattive interpretazioni" del Concilio, ma anche ad alcuneimpostazioni del Concilio. Del resto già un teologo del Concilio comefu Henri De Lubac (peraltro citato nell'enciclica) scriveva aproposito della Gaudium et spes: "si parla ancora di oncezionecristiana', ma ben poco di fede cristiana. Tutta una corrente, nelmomento attuale, cerca di agganciare la Chiesa, per mezzo delConcilio, a una piccola mondanizzazione". E persino Karl Rahner disseche lo "schema 13", che sarebbe divenuto la Gaudium et spes, "riducevala portata soprannaturale del cristianesimo". Addirittura Rahner !Ratzinger visse il Concilio: è l'autore del discorso con cui il cardinale Frings demolì il vecchio S. Uffizio che non pochi danniaveva fatto. E oggi il pontificato di Benedetto XVI si staqualificando come la chiusura della stagione buia che, facendo tesoro delle cose buone del Concilio, ci ridona la bellezza bimillenaria della tradizione della Chiesa. Non a caso nell'enciclica non è citato il Concilio, ma ci sono S. Paolo e Gregorio Nazianzeno, S. Agostino e S. Ambrogio, S. Tommaso e S. Bernardo. Un'enciclica bella, bellissima. Anche
poetica, che parla al cuore dell'uomo, alla sua solitudine e ai suoi desideri più profondi. E' consigliabile leggerla e meditarla attentamente.
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sabato 1 dicembre 2007
La tentazione della cittadinanza troppo facile
La riforma prevede infatti la possibilità di diventare cittadini italiani dopo cinque anni di residenza per gli extracomunitari e tre anni per i comunitari (dunque, tra l’altro, per centinaia di migliaia di romeni, rom compresi), senza nessuna soglia di reddito. I minori che hanno frequentato un corso di studio (per esempio, le elementari) potrebbero diventare immediatamente cittadini. E si ventila anche la possibilità di considerare subito cittadini i nati in Italia da genitori non italiani, rovesciando la nostra tradizionale impostazione che privilegia lo ius sanguinis (cioè la nazionalità dei genitori) sullo ius soli (il luogo di nascita). Una vera rivoluzione, dal momento che oggi la naturalizzazione si acquisisce solo dopo dieci anni di residenza in Italia (sei mesi se si è sposato un coniuge italiano), e alla condizione dell’assenza di precedenti penali.
La legge proposta dal governo Prodi – che il centrosinistra minaccia di fare approvare nei prossimi mesi – anzitutto costerebbe, secondo il Ministero dell’Interno, quarantotto milioni di euro per l’impalcatura burocratica destinata ai nuovi cittadini e per le indennità di accompagnamento che spetterebbe ai neo-cittadini con familiari invalidi (veri o fasulli). I nuovi cittadini sarebbero subito circa un milione (in maggioranza romeni, marocchini e albanesi). In dieci anni, combinando le norme sulla cittadinanza con le facilitazioni all’immigrazione del pacchetto Amato-Ferrero, potrebbero essere cinque milioni. È vero che molti sarebbero minorenni, ma quando tutti costoro fossero diventati maggiorenni si tratterebbe del 13% degli elettori. È sognando questo tesoretto elettorale che la sinistra ha lanciato lo slogan “tutti cittadini”.Uno slogan irrealistico e anti-europeo. La proposta degli italiani di Rifondazione Comunista di elevare i cinque anni di residenza a criterio per la cittadinanza nell’intera Unione Europea è stata sonoramente bocciata a Bruxelles. Altrove si pensa semmai a criteri più restrittivi, a norme contro i matrimoni fasulli, a soglie di reddito e d’istruzione cui collegare la cittadinanza. Il fiume in piena di nuovi cittadini travolgerebbe infatti qualunque politica di sicurezza e sociale.
Voterebbero tutti per il Partito Democratico o per la Cosa Rossa? Qui si apre un importante discorso politico. Il centrodestra deve, certo, sensibilizzare gli italiani sulla gravissima sciagura – di cui si parla meno di altre – che la riforma della cittadinanza fa incombere come una spada di Damocle sul futuro della nazione. Ma, nello stesso tempo, dovrà prendere atto che molti immigrati – speriamo dopo dieci anni e severi controlli, non dopo cinque o tre – alla fine diventeranno cittadini ed elettori. E pensare per tempo – come hanno fatto i conservatori canadesi e Sarkozy in Francia – ad entrare in contatto con chi, in questo nuovo elettorato, è venuto in Italia per lavorare e non per delinquere, e magari condivide i valori del centrodestra. In Canada, per esempio, i conservatori sono tornati al potere nel 2006 dopo sedici anni di governi socialisti grazie al massiccio sostegno di immigrati, anche musulmani, contrari al matrimonio fra omosessuali introdotto dai socialisti. Sarkozy ha potuto contare sull’anticomunismo dei nuovi cittadini venuti dall’Europa dell’Est e sul richiamo ai valori morali e all’ordine pubblico che è condiviso anche da tanti immigrati. Ne è un simbolo il nuovo ministro della Giustizia Rachida Dati, seconda tra undici figli di un muratore marocchino, che ha iniziato la sua ascesa sociale grazie a una borsa di studio che ha permesso a lei, musulmana, di studiare in una scuola privata cattolica. Il centrodestra non deve dare per scontato che i futuri cittadini di origine romena vogliano votare per chi a suo tempo inneggiava al comunismo e a Ceausescu. Né che i musulmani voteranno i sostenitori delle unioni omosessuali o dell’eutanasia. Ma a questo nuovo elettorato certe cose bisognerà spiegarle.
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La moschea di Bologna e quella legge del 1948
see u,All'inizio degli anni Sessanta un quotidiano nazionale pubblicò, per non incorrere nell'ingiunzione di un magistrato, la rettifica di un detenuto realmente rinchiuso nel carcere di San Vittore, in cui negava di essere mai stato arrestato e denunciava che, a suo avviso, l'aver scritto che si trovasse incarcerato rappresentava un fatto lesivo della sua onorabilità. A calce della rettifica palesemente infondata che negava l'evidenza del fatto, il quotidiano specificò: «Prendiamo atto che la lettera proviene dal carcere di San Vittore». Questo può accadere in Italia perché la legge n. 47 dell'8-2-1948 prescrive che «il direttore è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità». Cioè è sufficiente che siano «ritenuti lesivi» anche se sulla base del più assoluto arbitrio, non che lo siano effettivamente sulla base di prove inconfutabili, per obbligare il giornale a pubblicare la rettifica entro due giorni. Trascorso questo termine «l'autore della richiesta di rettifica (…) può chiedere al pretore, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione». Ed è così che la nostra stampa finisce per diventare il ricettacolo di scritti che dicono tutto e il contrario di tutto, che mettono sullo stesso piano e attribuiscono pari valore al vero e al falso. Ebbene corrisponde allo stesso atteggiamento arbitrario e menzognero, fondato sulla mistificazione e negazione della realtà, la lunga lettera dell'Ucoii, a
firma del suo presidente Mohamed Nour Dachan, pubblicata dal Corriere il 9 novembre scorso. In essa si negano con la massima spregiudicatezza quattro fatti manifesti e documentati: 1) che l'Ucoii sia la controparte del Comune di Bologna nell'assegnazione di una mega-moschea; 2) il legame ideologico, religioso e giuridico dell'Ucoii con i Fratelli Musulmani e con l'apologeta del terrorismo islamico Youssef Qaradawi; 3) la predicazione d'odio, di violenza e di morte dell'Ucoii contro Israele e legittimante il terrorismo palestinese di Hamas; 4) la sospensione della Consulta per l'islam d'Italia proprio a causa delle posizioni inaccettabili dell'Ucoii su Israele e sull'intesa con lo Stato. Da parte dell'Ucoii tutto ciò avviene all'insegna della taqiya, la dissimulazione, eretta a precetto di fede per imporre il proprio potere teocratico e assolutista, così come ammesso nella versione italiana del Corano a cura dell'Ucoii a commento dei versetti 105-106 della sura XVI. Basti considerare, per quanto concerne la dissimulazione e negazione della realtà sul progetto della mega-moschea di Bologna, come ha rilevato anche Marco Guidi sul Resto del Carlino del 12 novembre, che: 1) il terreno di via Felsina, oggetto di permuta con il terreno della futura mega-moschea, appartiene all'Ente gestione beni islamici, ovvero Al Waqf Al Islami, organizzazione dell'Ucoii (http://www.islam-ucoii.it/ vedi alla sezione «Chi siamo»); 2) il Centro di cultura islamica di Bologna diretto da Radwan Altoungi, futuro gestore della moschea, è associato all'Ucoii, come dichiarato sia nello Statuto di questa associazione, sia nel sito www.corano.it/menu_sx.html; 3) in un documento ufficiale del Comune di Bologna del 18 ottobre 2007 www.comune.bologna.it/partecipazione/culto-islamico.php si afferma che «l'organizzazione nazionale alla quale è affiliato il Centro (di cultura islamica di Bologna, ndr) è l'Ucoii». Lancio dunque un accorato appello al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, quale massimo garante della Costituzione, al governo e al Parlamento tutori dell'interesse nazionale, affinché intervengano subito e con determinazione per abrogare quest'incivile e insana norma penale che dà facoltà a un pretore di imporre a un giornale di pubblicare delle menzogne, senza alcuna verifica giudiziaria della loro fondatezza e veridicità. Proprio questo relativismo cognitivo ed etico è il male diffuso che alimenta in seno alla nostra società la perdita della certezza nella verità che si radica nei fatti e il venir sempre meno della fiducia nelle istituzioni rappresentative dello stato di diritto e della democrazia.
Giangiacomo
Parole in libertà da sinistra e dintorni...
On. Francesco Caruso, Prc, annunciando il voto di fiducia sul welfare
Agenzia ADNKRONOS del 28 novembre 2007
... povera Italia !!!
see u,
Giangiacomo