Oggi alle ore 18.00 si chiudeva il termine di presentazione al Ministero dell'Economia e del Tesoro le manifestazioni di interesse per la privatizzazione dell'Alitalia.
E oggi l'Ansa dava notizia del comunicato stampa in cui il gruppo Management & Capitali dichiarava il proprio interesse per il Gruppo Alitalia.
Ragazzi, ridiamo perchè non è possibile altrimenti!
E' impressionante, i gruppi di potere sono sempre gli stessi, le persone legate ai soldi e all'economia sono i soliti noti...
Sintetizzo uno schema che potrebbe essere e sarà svenato in centinaia di righe dai giornalisti delle testate dei quotidiani nazionali da domani.
Management & Capitali è una società di... De Benedetti.
Chi salvò dall'intricato caso SME il nostro (vostro!) premier Prodi? ... De Benedetti.
Chi mascherò prove ed informazioni per sviare i sospetti e le accuse al Professore? ... De Benedetti.
Troppe cambiali in bianco ha dovuto firmare la sinistra x salire al potere nel 2006.
Troppi conti in rosso sono da risanare.
Troppi "regalini" devono essere bilanciati.
E così, come ai tempi del PCI e della DC, via di appalti e gare truccate, via di nomine e... distruggiamo l'intero Paese, ma l'importante è mantenere cariche potere e poltrone.
Vermi!
come diceva un amico... "Comodo essere fro.i con il sedere degli altri"
see u,
Giangiacomo
lunedì 29 gennaio 2007
Libertà religiosa e laicità dello Stato
Non è possibile trattare il tema della “laicità dello Stato” senza aver prima compreso il concetto di “libertà religiosa”.
Le civiltà dell’antichità (basti pensare agli Assiri e agli Egizi), pur nella iniziale opera di codificazione legislativa, non conoscevano l’esigenza di una distinzione tra la sfera civile e quella religiosa. Il sovrano, in esse, coincideva con la divinità, venendo a costituire il punto di convergenza del sacro e del profano, del civile e del religioso.
In Grecia, terra in cui sorge per la prima volta la repubblica oligarchica intellettuale, il culto agli dèi costituiva un precetto legislativo.
Tale concezione filosofico-religiosa permarrà anche nella giuridicamente evoluta civiltà romana, nella quale la rivendicazione imperiale della divinità rappresenterà un vero e proprio obbligo legale-morale per il popolo, rivelativo della lealtà verso lo stato.
Tra le culture antiche è quella ebraica ad introdurre una prima distinzione tra l’obbedienza ad un potere costituito che rivendica prerogative divine e l’obbedienza alla propria coscienza ed a quanto da essa domandato. Appare in questo caso fin troppo evidente come la maturazione di una tale consapevolezza sia legata e proporzionale alla presa di coscienza, a livello storico e filosofico, della verità del monoteismo (nella consapevolezza dei reciproci influssi tra concezione monarchica della società e monoteismo religioso). Se Dio è uno ed unico la coscienza del soggetto è indisponibile ad «altri dei» e rivendica, come costitutiva della propria natura, la libertà della fede.
Vera novità nel panorama storico, filosofico e giuridico dell’antichità è costituita dal cristianesimo, che, in un contesto quale quello greco-romano in cui sfera civile e sfera religiosa praticamente coincidevano, rivendica la libertà di non bruciare l’incenso all’imperatore e di professare la fede in Gesù Cristo.
A ben guardare, in maniera ancora più radicale, il principio di distinzione tra sfera civile e sfera religiosa è introdotto nella storia dell’umanità dalle parole di Gesù Cristo: «ἀπόδοτε οὖν τὰ Καίσαρος Καίσαρι χαὶ τὰ τοῦ Θεοῦ τῷ Θεῷ» (Traduzione: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”).
A questa posizione corrispose una dura reazione dell’ordinamento giuridico romano che vide nel Cristianesimo un delitto di ateismo e un grave attentato all’istituzione.
La testimonianza del martirio dei cristiani nei primi tre secoli della nostra era è una delle più significative pagine della storia della libertà religiosa, che sempre deve essere difesa e rivendicata a qualunque prezzo. Una storia nella quale libertà religiosa e libertà di coscienza, pur distinte filosoficamente, si intrecciano storicamente, mostrando come i due concetti siano assolutamente inseparabili ed anzi si relazionino in una chiara circolarità di reciproca giustificazione.
In tale contesto, l’editto di Milano del 313 d.C., promulgato dall’imperatore Costantino, nel quale si dichiarava il cristianesimo religio licita, può essere considerato come il primo testo giuridico in cui i temi della Laicità dello Stato e della libertà religiosa acquistano una decisiva rilevanza.
Il grande tema della libertà religiosa riemerse in tutta la sua pregnanza e radicalità alle origini dell’epoca moderna, quando, con lo scardinamento dell’unità religiosa delle popolazioni europee determinato dalla riforma protestante, si palesò in tutta la sua forza la richiesta di «professare liberamente la propria fede con esclusione di qualsiasi impedimento proveniente dall’esterno» e di distinzione tra appartenenza geografica ed appartenenza religiosa.
Tentarono di risolvere la tensione con quella drammatica violazione della libertà religiosa perpetrata dalla pace di Augusta (1555) e rappresentata dall’applicazione del principio cuius regio eius religio, secondo il quale i sudditi avrebbero dovuto identificarsi nell’appartenenza confessionale del sovrano. Se apparentemente tale principio pacificò i confini territoriali, esso si rivelerà, proprio per la mancanza di riconoscimento prestato al principio della libertà religiosa del singolo uomo, foriero di più gravi contrasti e scontri.
Fu un atto che mirava a ricostituire, con la forza della legge, comunità politiche a struttura religiosa monista, legittimandola penetrazione dello stato nelle coscienze, con la relativa attribuzione del potere di decidere, con una sovranità infondata, ciò che fosse o non fosse da credere.
La libertà religiosa si presenta così come elemento costitutivo della persona umana, suo diritto nativo e naturale, indisponibile a qualsivoglia impedimento esterno sia di carattere statale e pubblico sia di tipo relazionale interpersonale. L’unico «condizionamento» tollerato dalla libertà religiosa è quello dell’obbedienza e della coerenza con la propria coscienza, in armonia con il retto uso della ragione che cerca la verità e vive secondo la verità trovata.
Fino a questa epoca, la libertà religiosa sarà riconosciuta nella forma giuridica della «tolleranza», che, nel migliore dei casi, rinuncerà ad una concezione religioso-monista e tollererà, appunto, professioni religiose distinte da quelle del potere politico.
Solo alla fine del XVIII secolo, con la Rivoluzione Francese e l’affermarsi delle moderne costituzioni e delle dichiarazioni dei diritti fondamentali dell’uomo, la libertà religiosa diverrà un vero e proprio diritto positivo, contemplato e garantito dall’ordinamento giuridico statale. Avanguardia di tale elaborazione giuridica è stata, senza dubbio, la comunità politica nord-americana, che, proprio per il fenomeno delle migrazioni forzate per ragioni religiose, ha elaborato per prima quel pluralismo culturale e religioso che è il contesto indispensabile per l’affermazione della libertà religiosa come diritto positivo.
La positivizzazione giuridica di tale diritto vede, nell’età contemporanea, un fiorire di dichiarazioni, documenti internazionali, costituzioni statali nelle quali è ormai definitivamente affermata come diritto inalienabile. Questo processo ha un’imprescindibile tappa nella «Dichiarazione per l’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sui convincimenti personali» approvata il 25 novembre 1981 dalla Organizzazione delle Nazioni Unite.
Rimane la realistica e amara constatazione di come, ancora oggi, al riconoscimento giuridico della libertà religiosa non corrisponda nella prassi la realizzazione delle condizioni per il pieno esercizio, sempre e dovunque, di tale libertà.
Le ideologie antireligiose del XX secolo, il rinascere degli integralismi religiosi ed una certa diffusa mentalità ideologicamente abbarbicata su posizioni laiciste, incapaci di dialogo, costituiscono la cornice in cui, anche nel cuore della post-modernità, è possibile fare esperienza di gravi violazioni della libertà religiosa, mostrando come essa rappresenti sempre e comunque un principio da difendere con indomita vigilanza.
Nonostante non pochi insigni giuristi, tra essi Giuseppe Dalla Torre, mettano in evidenza la totale inutilità giuridica della stessa nozione di laicità dello Stato, essa è tuttavia sostenibile a condizione che la si interpreti come la rinuncia allo «stato etico», l’affermazione da parte dell’ordinamento giuridico della propria inabilità a formulare opzioni religiose vincolanti e il riconoscimento della supremazia della libertà religiosa rispetto alla stessa laicità dello stato. Infatti, la prima appartiene ai diritti inalienabili della persona, mentre la seconda non è che una specificazione dell’ordinamento giuridico e pertanto trae dai diritti inalienabili stessi il proprio significato e la rilevanza della propria valenza obbligante.
Compito di un vero stato laico sarà pertanto fornire la massima garanzia all’esercizio personale e sociale della libertà religiosa, non limitando in nulla un tale diritto naturale se non in ciò che è proprio di un ordinamento sociale e che coincide con il mantenimento dell’ordine pubblico.
La positività della laicità come non identificazione con nessuna specifica opzione religiosa emerge, infine, in tutta la propria forza nel confronto con quelle situazioni che in Oriente vedono l’applicazione del diritto islamico ad ogni ambito del vivere sociale. Là dove non si mantiene la dovuta distinzione tra «Dio e Cesare» e dove non è riconosciuta la legittima autonomia delle realtà temporali, hanno luogo le più gravi violazioni delle libertà individuali, dei diritti civili, dello stesso diritto naturale.
In maniera simmetrica ed opposta, hanno violato e continuano a violare gli inalienabili diritti della persona umana tutti quei regimi che hanno inteso estirpare dall’uomo il senso religioso, identificandosi, a loro volta, anch’essi, con una «professione di fede»: quella dell’ateismo. In definitiva del laicismo dello stato.
È ora possibile dunque fornire alcune definizioni del concetto di laicità dello Stato:
1. Il riconoscimento da parte dello Stato della propria incompetenza nei confronti di determinati ambiti della vita dei suoi cittadini.
2. La non identificazione dello Stato con un determinato credo religioso e quindi il rifiuto dell’istituzione di uno stato confessionale.
3. La rinuncia da parte dello Stato ad essere uno Stato etico, cioè legittimato a dichiarare i maniera vincolante cosa sia “bene” e cosa invece non lo sia.
La libertà religiosa, secondo una posizione che fa da mediana tra la concezione della realtà religiosa come fattore totalizzante della persona (intesa come individuo in relazione con l’alterità – Emmanuel Mounier) e la concezione che invece la degrada ad esperienza privata e individualista poiché altrimenti deviante per la persona nella società, deriva dalla libertà di coscienza e di pensiero, il quale diritto civile affonda le proprie radici nella suprema fonte di diritto che è la persona stessa. Questa posizione è stata adottata dal Concordato del 1929 tra Chiesa Cattolica e Stato.
Il caso giuridicamente più rilevante per l’applicazione concreta della libertà religiosa è l’obiezione di coscienza, cioè la rivendicazione da parte del cittadino della propria libertà e supremazia rispetto ad una norma positiva promulgata dallo Stato che sia in contrasto con le proprie convinzioni.
La soluzione è il riconoscimento da parte dello Stato dell’obiezione di coscienza per evitare che il singolo si ponga al di sopra dell’ordinamento giudicandolo.
Gli unici due limiti imposti all’obiezioni di coscienza sono il rispetto dell’ordine pubblico e della salute pubblica, nonostante molti provvedimenti sulla vita (come l’obbligo di sterilizzazione delle coppie cinesi dopo il primo concepimento) soprattutto in sede ONU e UE, vengano inseriti all’interno della rubrica “Salute pubblica”.
Un ulteriore espressione del limite alla libertà religiosa oltre alla rilevazione della necessità di tutela dell’ordine pubblico, sta nel riconoscere la priorità segnalata dalla Chiesa Cattolica nella nozione di bene comune, concetto più ampio di quello di ordine pubblico ma che lo ingloba.
Al numero 2209 del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa Giovanni Paolo II dichiara che la libertà religiosa è limitabile solo se in contrasto con altri diritti della persona umana.
Il potere pubblico e la libertà religiosa devono rispettare i limiti reciprocamente imposti e il fondamento di questa necessaria reciproca limitazione è il rapporto sano tra fede e ragione poiché una fede non accettasse la sfida della ragione sfocerebbe nel fideismo fondamentalista e una ragione che non si lasciasse guidare dalla libertà religiosa diverrebbe un razionalismo tecnicistico misura di tutte le cose.
Le vicende storiche hanno determinato anche, come ovvio, grandi differenze tra i diversi stati nazionali europei ed i loro rispettivi ordinamenti giuridici. Valga come esempio la totale assenza nella Costituzione italiana di una norma che espressamente enunci il carattere laico dello stato, cui fa da parallelo, per esempio, l’Articolo 1 della Costituzione francese del 1958, che afferma: «La Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale».
L’introduzione o meno del carattere di laicità all’interno dell’ordinamento giuridico costituzionale che, in certo modo, definisce l’identità stessa di una nazione, non è irrilevante e, dal momento che la legge, che è norma, non solo traccia dei limiti, ma propone dei modelli, l’aver inserito la laicità dello stato nella costituzione ha, nei fatti, prodotto un modello culturale laicista tendente a marginalizzare il fattore religioso e a limitare l’esercizio stesso della libertà religiosa nella sua dimensione sociale.
La cultura contemporanea vede, perlomeno in Occidente, situazioni molto differenti, sia dal punto di vista filosofico, sia dal punto di vista giuridico. Se ad esempio negli Stati Uniti d’America vige una radicale separazione tra sfera socio-politica e sfera religiosa (e quindi si potrebbe pensare ad una società tendenzialmente laicista), il supremo valore attribuito in quell’ordinamento alla libertà e la stessa storia della Costituzione americana che per prima ha sancito positivamente la libertà religiosa come diritto, fanno di quella società un luogo aperto e positivamente accogliente rispetto al fenomeno religioso e ai valori fondamentali che esso porta.
Per contro, gli effetti del laicismo francese e della sua vena anticlericale hanno finito, in nome della laicità, per limitare pesantemente la libertà religiosa, sia nella recente legge sull’esposizione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici (dando perfino disposizioni sull’abbigliamento personale e vietando l’ostentazione di simboli religiosi da parte degli studenti nelle scuole e lo stesso indossarli per i preposti all’insegnamento), sia molto più gravemente nel processo di elaborazione del testo del Trattato costituzionale europeo, la cui commissione preparatoria è stata presediuta da un noto accademico di Francia.
La concezione della libertà religiosa si articola in due dimensioni, una negativa e cioè il diritto a non essere ostacolati da nessuno nel suo esercizio, e una positiva e cioè l’esercizio stesso di tale libertà per aderire alla proposta di amore di Dio verso ogni uomo e implicarsi responsabilmente in questa esperienza.
Dal momento che l’uomo è un essere naturalmente relazionale, devono sussistere le garanzie che permettano di esprimere tale diritto in pubblico.
In merito non si può non riconoscere come delitto la blasfemia, in quanto azione che mira ad ingiuriare l’oggetto di questo diritto civile. Con una dilatazione arbitraria ed irragionevole della dimensione negativa della libertà, in particolare come libertà dalla religione, ad opera del processo illuministico e giusnaturalistico, si è giunti sempre più storicamente a non condannare la blasfemia ma a ledere il diritto stesso alla libertà religiosa attraverso la distruzione dei simboli e della religione in se stessa.
Attingendo sostanzialmente al pensiero di Rousseau si è giunti a teorizzare che è necessario che ogni uomo, per essere veramente libero e giungere al bene comune, si alieni alla società dall’influsso della famiglia e della relativa educazione, della storia della patria, della religione e dell’insegnamento della Chiesa. Concretamente la circolare ministeriale francese del 18 Maggio 2004 sancisce il dovere della scuola di trasmettere ai propri allievi i valori della Repubblica (senza specificare a cosa corrispondano tali valori) preservando i giovani dalle pressioni risultanti dalle manifestazioni evidenti della fede religiosa personale, sanzionando queste ultime con l’espulsione dalla scuola stessa.
Storicamente e teoreticamente sono tre i modelli di approccio dell’ordinamento giuridico alla libertà religiosa e in particolare alla confessione religiosa:
1) Il modello dello stato confessionale (mantenuto tuttora in Grecia, Portogallo e Danimarca; in Finlandia invece si assiste al duopolio delle chiese luterana e ortodossa).
2) Il modello dello stato secolarista (Olanda, Francia, USA).
3) Il modello dello stato pluralista, che si basa sul riconoscimento plurimo delle religione pur non ponendole sullo stesso piano (Germania, Spagna, Austria, Belgio, Italia).
Generalmente i vari stati sono disponibili al riconoscimento in via concordataria delle minoranze religiose, sulla scia del concordato italiano tra Stato e Chiesa Cattolica (strumento di diritto internazionale). Per riconoscere altre religioni di minor rilevanza sociale si adopera l’istituto dell’intesa, atto di discrezione del Governo, di cui è necessaria la successiva ratifica da parte del Parlamento. Le intese di fatto più invise in Italia sono quelle con l’Islam poiché nel nostro Stato è prevalentemente un Islam sunnita e in quanto tale caratterizzato dall’assenza di gerarchia e da una certa frammentazione che impedisce di avere un riferimento unificatore.
Allo stesso modo riscontriamo tre modelli di secolarismo e cioè il s. passivo e benevolo degli Stati Uniti d’America, il secolarismo passivo e indifferente che caratterizza l’Olanda e il secolarismo attivo vigente in Francia, la quale, come abbiamo visto, affida allo Stato la promozione pedagogica del laicismo.
Un esempio di laicismo – il Preambolo del Trattato Costituzionale europeo.
Nonostante la reiterata individuazione di passaggi teoreticamente fragili, o addirittura ingiustificati storicamente, il Preambolo non sembra limitare né misconoscere, il principio fondamentale della libertà religiosa.
Il riconoscimento del valore universale della persona, della libertà e dell’uguaglianza non può non includere quello della libertà religiosa, qualunque sia l’elemento originante individuato (la persona o la libertà).
Un ordinamento che si proponesse di riconoscere il valore universale della persona e nel contempo rivelasse intenti tendenti a limitarne la libertà di espressione, individuale od associata, cadrebbe in evidente contraddizione, così come la libertà di espressione, meramente annunciata e non fattivamente sostenuta anche con specifici interventi di carattere sociale, rimane enunciazione di un principio che non trova riscontro nella realtà.
Lo stesso rifarsi all’«identità» dei popoli europei rinvia implicitamente all’assunzione piena del principio della libertà religiosa, che risulta essere inseparabile e quasi indistinguibile dalla concreta storia dell’Europa.
Il silenzio sulle “radici cristiane”, che rimane storicamente, filosoficamente e logicamente ingiustificato, non impedisce tuttavia a quegli elementi propri della cultura cristiana europea di emergere in tutto il loro significato, talora persino in modo eclatante.
Basti per tutti l’esempio sull’utilizzo di «unità nella diversità», per giungere fino all’attenzione agli ultimi che, come valore cristiano e profondamente umano, si è travasata nel testo costituzionale.
Più articolata sembra essere invece la valutazione che la scelta di generiche «eredità religiose» impone in ordine all’interpretazione della laicità dello Stato.
Dal momento che non è presumibile che il legislatore non fosse consapevole di tutte le implicazioni culturali del cristianesimo in Europa, se ne deduce ragionevolmente l’esistenza di una positiva volontà di esclusione dal testo del Preambolo di qualunque accenno al cristianesimo.
Se, come detto, l’operazione di neutralizzazione della cultura europea risulta nei fatti fallimentare, non di meno è preoccupante il tentativo di marginalizzare, fino all’eliminazione, quello che nella storia è stato il valore costitutivo e determinante la stessa identità europea.
Non si è soltanto di fronte ad una illegittima, perché infondata storicamente, opzione culturale, ma da essa è possibile dedurre quella determinata concezione della laicità dello Stato che si traduce nei fatti in un miope laicismo, tendente a marginalizzare il fenomeno religioso all’interno delle coscienze soggettive, collocandolo in quella insindacabile sfera del privato, che tuttavia non pretende né riconoscimento né giustificazione pubblica.
Senza entrare, in questa sede, in considerazioni di carattere politico, sembra di poter tuttavia affermare che l’opzione del legislatore risenta di una duplice miopia storica, sia rispetto al passato, sia rispetto al futuro.
Rispetto al passato rivela la propria “macro-amnesia” verso l’apporto di progresso e civiltà che il cristianesimo e la derivante cultura cristiana hanno dato all’Occidente.
Simmetricamente, in ordine alle prospettive future, è possibile evidenziare un’altrettanto grave “macro-miopia”, incapace di vedere il nesso tra la cultura cristiana ed i valori fondamentali della persona, della libertà, dell’uguaglianza e dei conseguenti strumenti della democrazia e dello Stato di diritto.
Se si vorrà preservare, in Europa, l’esistenza futura di detti valori, non si potrà prescindere dal riconoscimento e dalla riaffermazione della loro origine nella persona e, conseguentemente, in quel personalismo cristiano che è caratteristica ineludibile della cultura europea.
Non aver esplicitamente inserito nel Preambolo le “radici cristiane” significa non aver messo al riparo i valori fondamentali a cui il Preambolo stesso dice di ispirarsi e non aver tenuto nella giusta considerazione, rispetto alle prospettive future, l’impatto che tradizioni culturali e religiose differenti da quelle occidentali e non improntate ai medesimi valori possono avere (anche solo dal punto di vista demografico) sull’Unione europea.
In definitiva, si può affermare che il Preambolo accoglie e rispetta il principio della libertà religiosa, pur non fornendo ad esso sufficienti garanzie di intangibilità ed irriducibilità rispetto al futuro.
In ordine alla laicità dello Stato, emerge, per contro, la prevalenza di quella interpretazione laicista di cui sopra, che non riconosce il pieno ed autonomo valore del fenomeno religioso come elemento propulsivo nella società e costruttivo nel tempo di opere e di storia.
Un problema di laicità – i Patti Civili di Solidarietà – Aspetti giuridice e morali.
L’art. 25 cost. dichiara che la famiglia è fondata sul matrimonio.
Di fronte ad una norma costituzionale non è da ritenersi un problema di laicità il riconoscimento delle coppie di fatto.
Norberto Bobbio affermava che la laicità è il contrario dell’ideologia e dello stato religioso: tuttavia le religioni possono esercitare la propria influenza proporzionalmente al loro peso nella compagine sociale. Laicità non è antireligiosità, nè radicale ateismo di stato. Non si tratta quindi, anche se è così avvertito, di un problema di laicità.
Secondo il Cardinal Caffarra (in occasione della giornata mondiale per le famiglie del Luglio 2006 a Valencia) il bimorfismo sessuale in natura è universale; è la differenza che, unita, porta alla completezza, ed affermare il contrario vuol dire affermare che la persona non ha un fondamento suo proprio, ma che ogni orientamento sessuale è assiologicamente paritetico ed ognuno ha una sorta diritto di opzione in merito.
Il Consiglio d’Europa invita al riconoscimento dell’uguaglianza fra matrimonio ed altro tipo d’unioni. Questa visione si basa su un agnosticismo che nega la conoscibilità della realtà. Tuttavia l’equiparazione richiesta porterebbe allo sminuimento e alla compromissione della famiglia.
In Italia, nella scorsa legislatura, sono stati presentati ventuno progetti di legge al riguardo e tutti (tranne due) miranti più che a tutelare coppie di fatto eterosessuali, a parificare le unioni omosessuali a quelle eterosessuali. Tuttavia le prime non debbono essere confuse con le seconde: le coppie eterosessuali, per quanto non regolari, sono molto più simili alle coppie unite in matrimonio che a quelle omosessuali, per le quali lo stesso termine “coppie” è impreciso, poichè in esse manca la diversità e la fecondità, perciò è più appropriato parlare di “unione”.
La morale naturale serve più a un non credente che a un credente: la conoscenza stessa implica una morale per tendere al vero e al bello (se si rifiuta il radicalismo agnostico: rifiuto che è a monte di ogni volontà di conoscenza). Il credente aderisce già a una visione del mondo ordinata, mentre è il non credente a dover giudicare ragionevolmente il reale e aderire a tale giudizio, qualora ammetta una qualche possibilità di conoscenza. E’ quindi necessario un dibattito sulla morale, dibattito che esula però dalle problematiche della laicità dello stato.
Quindi il dibattito potrebbe essere limitato al risolvere i problemi pratici dei conviventi. Questi sorgono in particolare al momento dello scioglimento della convivenza dal momento che formalmente nessun diritto è esigibile per la parte debole. Il più delle volte è possibile risolvere questi problemi tramite il diritto pattizio, mentre per altri vi possono essere soluzioni ad hoc: ad es. già i conviventi dei parlamentari e dei giornalisti godono del diritto alla reversibilità della pensione.
In Europa le leggi che prevedono il riconoscimento delle convivenze, lo fanno in chiave opzionale: relativamente alla scelta conseguita si applicano automaticamente gli effetti giuridici corrispondenti che i conviventi non possono modificare. Solo in Germania invece il riconoscimento è aperto alle sole coppie omosessuali, mentre per gli eterosessuali è offerto il matrimonio civile, con possibilità di divorzio.
L’Italia è soggetta alle pressioni dell’UE e alcune convivenze devono essere già riconosciute a causa dei meccanismo dei diritto internazionale privato.
Bisogna tuttavia tener conto delle seguenti considerazioni: un interesse che sia rilevante pubblicamente deve essere protetto dallo stato. Ad un interesse meramente individuale deve essere garantita la libertà d’esercizio da parte dello stato. Il riconoscimento rimane pubblico anche se inserito nel codice civile. Solo il matrimonio però è quell’alleanza di tutta una vita per il bene dei coniugi e ordinata all’educazione dei figli: quindi solo da esse può essere richiesto il riconoscimento pubblico dello Stato, che può anche esigerlo (è il caso della normativa penale in caso di assistenza.)
È infine da ricordare che corrisponde al concetto di “uguaglianza” il trattamento in maniera uguale di situazioni uguali e in modo diverso di situazioni diverse. Non vi è quindi discriminazione a non riconoscere la stessa rilevanza e gli stessi diritto in capo all’istituto del matrimonio e alla realtà delle convivenze civili.
see u,
Giangiacomo
Le civiltà dell’antichità (basti pensare agli Assiri e agli Egizi), pur nella iniziale opera di codificazione legislativa, non conoscevano l’esigenza di una distinzione tra la sfera civile e quella religiosa. Il sovrano, in esse, coincideva con la divinità, venendo a costituire il punto di convergenza del sacro e del profano, del civile e del religioso.
In Grecia, terra in cui sorge per la prima volta la repubblica oligarchica intellettuale, il culto agli dèi costituiva un precetto legislativo.
Tale concezione filosofico-religiosa permarrà anche nella giuridicamente evoluta civiltà romana, nella quale la rivendicazione imperiale della divinità rappresenterà un vero e proprio obbligo legale-morale per il popolo, rivelativo della lealtà verso lo stato.
Tra le culture antiche è quella ebraica ad introdurre una prima distinzione tra l’obbedienza ad un potere costituito che rivendica prerogative divine e l’obbedienza alla propria coscienza ed a quanto da essa domandato. Appare in questo caso fin troppo evidente come la maturazione di una tale consapevolezza sia legata e proporzionale alla presa di coscienza, a livello storico e filosofico, della verità del monoteismo (nella consapevolezza dei reciproci influssi tra concezione monarchica della società e monoteismo religioso). Se Dio è uno ed unico la coscienza del soggetto è indisponibile ad «altri dei» e rivendica, come costitutiva della propria natura, la libertà della fede.
Vera novità nel panorama storico, filosofico e giuridico dell’antichità è costituita dal cristianesimo, che, in un contesto quale quello greco-romano in cui sfera civile e sfera religiosa praticamente coincidevano, rivendica la libertà di non bruciare l’incenso all’imperatore e di professare la fede in Gesù Cristo.
A ben guardare, in maniera ancora più radicale, il principio di distinzione tra sfera civile e sfera religiosa è introdotto nella storia dell’umanità dalle parole di Gesù Cristo: «ἀπόδοτε οὖν τὰ Καίσαρος Καίσαρι χαὶ τὰ τοῦ Θεοῦ τῷ Θεῷ» (Traduzione: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”).
A questa posizione corrispose una dura reazione dell’ordinamento giuridico romano che vide nel Cristianesimo un delitto di ateismo e un grave attentato all’istituzione.
La testimonianza del martirio dei cristiani nei primi tre secoli della nostra era è una delle più significative pagine della storia della libertà religiosa, che sempre deve essere difesa e rivendicata a qualunque prezzo. Una storia nella quale libertà religiosa e libertà di coscienza, pur distinte filosoficamente, si intrecciano storicamente, mostrando come i due concetti siano assolutamente inseparabili ed anzi si relazionino in una chiara circolarità di reciproca giustificazione.
In tale contesto, l’editto di Milano del 313 d.C., promulgato dall’imperatore Costantino, nel quale si dichiarava il cristianesimo religio licita, può essere considerato come il primo testo giuridico in cui i temi della Laicità dello Stato e della libertà religiosa acquistano una decisiva rilevanza.
Il grande tema della libertà religiosa riemerse in tutta la sua pregnanza e radicalità alle origini dell’epoca moderna, quando, con lo scardinamento dell’unità religiosa delle popolazioni europee determinato dalla riforma protestante, si palesò in tutta la sua forza la richiesta di «professare liberamente la propria fede con esclusione di qualsiasi impedimento proveniente dall’esterno» e di distinzione tra appartenenza geografica ed appartenenza religiosa.
Tentarono di risolvere la tensione con quella drammatica violazione della libertà religiosa perpetrata dalla pace di Augusta (1555) e rappresentata dall’applicazione del principio cuius regio eius religio, secondo il quale i sudditi avrebbero dovuto identificarsi nell’appartenenza confessionale del sovrano. Se apparentemente tale principio pacificò i confini territoriali, esso si rivelerà, proprio per la mancanza di riconoscimento prestato al principio della libertà religiosa del singolo uomo, foriero di più gravi contrasti e scontri.
Fu un atto che mirava a ricostituire, con la forza della legge, comunità politiche a struttura religiosa monista, legittimandola penetrazione dello stato nelle coscienze, con la relativa attribuzione del potere di decidere, con una sovranità infondata, ciò che fosse o non fosse da credere.
La libertà religiosa si presenta così come elemento costitutivo della persona umana, suo diritto nativo e naturale, indisponibile a qualsivoglia impedimento esterno sia di carattere statale e pubblico sia di tipo relazionale interpersonale. L’unico «condizionamento» tollerato dalla libertà religiosa è quello dell’obbedienza e della coerenza con la propria coscienza, in armonia con il retto uso della ragione che cerca la verità e vive secondo la verità trovata.
Fino a questa epoca, la libertà religiosa sarà riconosciuta nella forma giuridica della «tolleranza», che, nel migliore dei casi, rinuncerà ad una concezione religioso-monista e tollererà, appunto, professioni religiose distinte da quelle del potere politico.
Solo alla fine del XVIII secolo, con la Rivoluzione Francese e l’affermarsi delle moderne costituzioni e delle dichiarazioni dei diritti fondamentali dell’uomo, la libertà religiosa diverrà un vero e proprio diritto positivo, contemplato e garantito dall’ordinamento giuridico statale. Avanguardia di tale elaborazione giuridica è stata, senza dubbio, la comunità politica nord-americana, che, proprio per il fenomeno delle migrazioni forzate per ragioni religiose, ha elaborato per prima quel pluralismo culturale e religioso che è il contesto indispensabile per l’affermazione della libertà religiosa come diritto positivo.
La positivizzazione giuridica di tale diritto vede, nell’età contemporanea, un fiorire di dichiarazioni, documenti internazionali, costituzioni statali nelle quali è ormai definitivamente affermata come diritto inalienabile. Questo processo ha un’imprescindibile tappa nella «Dichiarazione per l’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sui convincimenti personali» approvata il 25 novembre 1981 dalla Organizzazione delle Nazioni Unite.
Rimane la realistica e amara constatazione di come, ancora oggi, al riconoscimento giuridico della libertà religiosa non corrisponda nella prassi la realizzazione delle condizioni per il pieno esercizio, sempre e dovunque, di tale libertà.
Le ideologie antireligiose del XX secolo, il rinascere degli integralismi religiosi ed una certa diffusa mentalità ideologicamente abbarbicata su posizioni laiciste, incapaci di dialogo, costituiscono la cornice in cui, anche nel cuore della post-modernità, è possibile fare esperienza di gravi violazioni della libertà religiosa, mostrando come essa rappresenti sempre e comunque un principio da difendere con indomita vigilanza.
Nonostante non pochi insigni giuristi, tra essi Giuseppe Dalla Torre, mettano in evidenza la totale inutilità giuridica della stessa nozione di laicità dello Stato, essa è tuttavia sostenibile a condizione che la si interpreti come la rinuncia allo «stato etico», l’affermazione da parte dell’ordinamento giuridico della propria inabilità a formulare opzioni religiose vincolanti e il riconoscimento della supremazia della libertà religiosa rispetto alla stessa laicità dello stato. Infatti, la prima appartiene ai diritti inalienabili della persona, mentre la seconda non è che una specificazione dell’ordinamento giuridico e pertanto trae dai diritti inalienabili stessi il proprio significato e la rilevanza della propria valenza obbligante.
Compito di un vero stato laico sarà pertanto fornire la massima garanzia all’esercizio personale e sociale della libertà religiosa, non limitando in nulla un tale diritto naturale se non in ciò che è proprio di un ordinamento sociale e che coincide con il mantenimento dell’ordine pubblico.
La positività della laicità come non identificazione con nessuna specifica opzione religiosa emerge, infine, in tutta la propria forza nel confronto con quelle situazioni che in Oriente vedono l’applicazione del diritto islamico ad ogni ambito del vivere sociale. Là dove non si mantiene la dovuta distinzione tra «Dio e Cesare» e dove non è riconosciuta la legittima autonomia delle realtà temporali, hanno luogo le più gravi violazioni delle libertà individuali, dei diritti civili, dello stesso diritto naturale.
In maniera simmetrica ed opposta, hanno violato e continuano a violare gli inalienabili diritti della persona umana tutti quei regimi che hanno inteso estirpare dall’uomo il senso religioso, identificandosi, a loro volta, anch’essi, con una «professione di fede»: quella dell’ateismo. In definitiva del laicismo dello stato.
È ora possibile dunque fornire alcune definizioni del concetto di laicità dello Stato:
1. Il riconoscimento da parte dello Stato della propria incompetenza nei confronti di determinati ambiti della vita dei suoi cittadini.
2. La non identificazione dello Stato con un determinato credo religioso e quindi il rifiuto dell’istituzione di uno stato confessionale.
3. La rinuncia da parte dello Stato ad essere uno Stato etico, cioè legittimato a dichiarare i maniera vincolante cosa sia “bene” e cosa invece non lo sia.
La libertà religiosa, secondo una posizione che fa da mediana tra la concezione della realtà religiosa come fattore totalizzante della persona (intesa come individuo in relazione con l’alterità – Emmanuel Mounier) e la concezione che invece la degrada ad esperienza privata e individualista poiché altrimenti deviante per la persona nella società, deriva dalla libertà di coscienza e di pensiero, il quale diritto civile affonda le proprie radici nella suprema fonte di diritto che è la persona stessa. Questa posizione è stata adottata dal Concordato del 1929 tra Chiesa Cattolica e Stato.
Il caso giuridicamente più rilevante per l’applicazione concreta della libertà religiosa è l’obiezione di coscienza, cioè la rivendicazione da parte del cittadino della propria libertà e supremazia rispetto ad una norma positiva promulgata dallo Stato che sia in contrasto con le proprie convinzioni.
La soluzione è il riconoscimento da parte dello Stato dell’obiezione di coscienza per evitare che il singolo si ponga al di sopra dell’ordinamento giudicandolo.
Gli unici due limiti imposti all’obiezioni di coscienza sono il rispetto dell’ordine pubblico e della salute pubblica, nonostante molti provvedimenti sulla vita (come l’obbligo di sterilizzazione delle coppie cinesi dopo il primo concepimento) soprattutto in sede ONU e UE, vengano inseriti all’interno della rubrica “Salute pubblica”.
Un ulteriore espressione del limite alla libertà religiosa oltre alla rilevazione della necessità di tutela dell’ordine pubblico, sta nel riconoscere la priorità segnalata dalla Chiesa Cattolica nella nozione di bene comune, concetto più ampio di quello di ordine pubblico ma che lo ingloba.
Al numero 2209 del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa Giovanni Paolo II dichiara che la libertà religiosa è limitabile solo se in contrasto con altri diritti della persona umana.
Il potere pubblico e la libertà religiosa devono rispettare i limiti reciprocamente imposti e il fondamento di questa necessaria reciproca limitazione è il rapporto sano tra fede e ragione poiché una fede non accettasse la sfida della ragione sfocerebbe nel fideismo fondamentalista e una ragione che non si lasciasse guidare dalla libertà religiosa diverrebbe un razionalismo tecnicistico misura di tutte le cose.
Le vicende storiche hanno determinato anche, come ovvio, grandi differenze tra i diversi stati nazionali europei ed i loro rispettivi ordinamenti giuridici. Valga come esempio la totale assenza nella Costituzione italiana di una norma che espressamente enunci il carattere laico dello stato, cui fa da parallelo, per esempio, l’Articolo 1 della Costituzione francese del 1958, che afferma: «La Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale».
L’introduzione o meno del carattere di laicità all’interno dell’ordinamento giuridico costituzionale che, in certo modo, definisce l’identità stessa di una nazione, non è irrilevante e, dal momento che la legge, che è norma, non solo traccia dei limiti, ma propone dei modelli, l’aver inserito la laicità dello stato nella costituzione ha, nei fatti, prodotto un modello culturale laicista tendente a marginalizzare il fattore religioso e a limitare l’esercizio stesso della libertà religiosa nella sua dimensione sociale.
La cultura contemporanea vede, perlomeno in Occidente, situazioni molto differenti, sia dal punto di vista filosofico, sia dal punto di vista giuridico. Se ad esempio negli Stati Uniti d’America vige una radicale separazione tra sfera socio-politica e sfera religiosa (e quindi si potrebbe pensare ad una società tendenzialmente laicista), il supremo valore attribuito in quell’ordinamento alla libertà e la stessa storia della Costituzione americana che per prima ha sancito positivamente la libertà religiosa come diritto, fanno di quella società un luogo aperto e positivamente accogliente rispetto al fenomeno religioso e ai valori fondamentali che esso porta.
Per contro, gli effetti del laicismo francese e della sua vena anticlericale hanno finito, in nome della laicità, per limitare pesantemente la libertà religiosa, sia nella recente legge sull’esposizione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici (dando perfino disposizioni sull’abbigliamento personale e vietando l’ostentazione di simboli religiosi da parte degli studenti nelle scuole e lo stesso indossarli per i preposti all’insegnamento), sia molto più gravemente nel processo di elaborazione del testo del Trattato costituzionale europeo, la cui commissione preparatoria è stata presediuta da un noto accademico di Francia.
La concezione della libertà religiosa si articola in due dimensioni, una negativa e cioè il diritto a non essere ostacolati da nessuno nel suo esercizio, e una positiva e cioè l’esercizio stesso di tale libertà per aderire alla proposta di amore di Dio verso ogni uomo e implicarsi responsabilmente in questa esperienza.
Dal momento che l’uomo è un essere naturalmente relazionale, devono sussistere le garanzie che permettano di esprimere tale diritto in pubblico.
In merito non si può non riconoscere come delitto la blasfemia, in quanto azione che mira ad ingiuriare l’oggetto di questo diritto civile. Con una dilatazione arbitraria ed irragionevole della dimensione negativa della libertà, in particolare come libertà dalla religione, ad opera del processo illuministico e giusnaturalistico, si è giunti sempre più storicamente a non condannare la blasfemia ma a ledere il diritto stesso alla libertà religiosa attraverso la distruzione dei simboli e della religione in se stessa.
Attingendo sostanzialmente al pensiero di Rousseau si è giunti a teorizzare che è necessario che ogni uomo, per essere veramente libero e giungere al bene comune, si alieni alla società dall’influsso della famiglia e della relativa educazione, della storia della patria, della religione e dell’insegnamento della Chiesa. Concretamente la circolare ministeriale francese del 18 Maggio 2004 sancisce il dovere della scuola di trasmettere ai propri allievi i valori della Repubblica (senza specificare a cosa corrispondano tali valori) preservando i giovani dalle pressioni risultanti dalle manifestazioni evidenti della fede religiosa personale, sanzionando queste ultime con l’espulsione dalla scuola stessa.
Storicamente e teoreticamente sono tre i modelli di approccio dell’ordinamento giuridico alla libertà religiosa e in particolare alla confessione religiosa:
1) Il modello dello stato confessionale (mantenuto tuttora in Grecia, Portogallo e Danimarca; in Finlandia invece si assiste al duopolio delle chiese luterana e ortodossa).
2) Il modello dello stato secolarista (Olanda, Francia, USA).
3) Il modello dello stato pluralista, che si basa sul riconoscimento plurimo delle religione pur non ponendole sullo stesso piano (Germania, Spagna, Austria, Belgio, Italia).
Generalmente i vari stati sono disponibili al riconoscimento in via concordataria delle minoranze religiose, sulla scia del concordato italiano tra Stato e Chiesa Cattolica (strumento di diritto internazionale). Per riconoscere altre religioni di minor rilevanza sociale si adopera l’istituto dell’intesa, atto di discrezione del Governo, di cui è necessaria la successiva ratifica da parte del Parlamento. Le intese di fatto più invise in Italia sono quelle con l’Islam poiché nel nostro Stato è prevalentemente un Islam sunnita e in quanto tale caratterizzato dall’assenza di gerarchia e da una certa frammentazione che impedisce di avere un riferimento unificatore.
Allo stesso modo riscontriamo tre modelli di secolarismo e cioè il s. passivo e benevolo degli Stati Uniti d’America, il secolarismo passivo e indifferente che caratterizza l’Olanda e il secolarismo attivo vigente in Francia, la quale, come abbiamo visto, affida allo Stato la promozione pedagogica del laicismo.
Un esempio di laicismo – il Preambolo del Trattato Costituzionale europeo.
Nonostante la reiterata individuazione di passaggi teoreticamente fragili, o addirittura ingiustificati storicamente, il Preambolo non sembra limitare né misconoscere, il principio fondamentale della libertà religiosa.
Il riconoscimento del valore universale della persona, della libertà e dell’uguaglianza non può non includere quello della libertà religiosa, qualunque sia l’elemento originante individuato (la persona o la libertà).
Un ordinamento che si proponesse di riconoscere il valore universale della persona e nel contempo rivelasse intenti tendenti a limitarne la libertà di espressione, individuale od associata, cadrebbe in evidente contraddizione, così come la libertà di espressione, meramente annunciata e non fattivamente sostenuta anche con specifici interventi di carattere sociale, rimane enunciazione di un principio che non trova riscontro nella realtà.
Lo stesso rifarsi all’«identità» dei popoli europei rinvia implicitamente all’assunzione piena del principio della libertà religiosa, che risulta essere inseparabile e quasi indistinguibile dalla concreta storia dell’Europa.
Il silenzio sulle “radici cristiane”, che rimane storicamente, filosoficamente e logicamente ingiustificato, non impedisce tuttavia a quegli elementi propri della cultura cristiana europea di emergere in tutto il loro significato, talora persino in modo eclatante.
Basti per tutti l’esempio sull’utilizzo di «unità nella diversità», per giungere fino all’attenzione agli ultimi che, come valore cristiano e profondamente umano, si è travasata nel testo costituzionale.
Più articolata sembra essere invece la valutazione che la scelta di generiche «eredità religiose» impone in ordine all’interpretazione della laicità dello Stato.
Dal momento che non è presumibile che il legislatore non fosse consapevole di tutte le implicazioni culturali del cristianesimo in Europa, se ne deduce ragionevolmente l’esistenza di una positiva volontà di esclusione dal testo del Preambolo di qualunque accenno al cristianesimo.
Se, come detto, l’operazione di neutralizzazione della cultura europea risulta nei fatti fallimentare, non di meno è preoccupante il tentativo di marginalizzare, fino all’eliminazione, quello che nella storia è stato il valore costitutivo e determinante la stessa identità europea.
Non si è soltanto di fronte ad una illegittima, perché infondata storicamente, opzione culturale, ma da essa è possibile dedurre quella determinata concezione della laicità dello Stato che si traduce nei fatti in un miope laicismo, tendente a marginalizzare il fenomeno religioso all’interno delle coscienze soggettive, collocandolo in quella insindacabile sfera del privato, che tuttavia non pretende né riconoscimento né giustificazione pubblica.
Senza entrare, in questa sede, in considerazioni di carattere politico, sembra di poter tuttavia affermare che l’opzione del legislatore risenta di una duplice miopia storica, sia rispetto al passato, sia rispetto al futuro.
Rispetto al passato rivela la propria “macro-amnesia” verso l’apporto di progresso e civiltà che il cristianesimo e la derivante cultura cristiana hanno dato all’Occidente.
Simmetricamente, in ordine alle prospettive future, è possibile evidenziare un’altrettanto grave “macro-miopia”, incapace di vedere il nesso tra la cultura cristiana ed i valori fondamentali della persona, della libertà, dell’uguaglianza e dei conseguenti strumenti della democrazia e dello Stato di diritto.
Se si vorrà preservare, in Europa, l’esistenza futura di detti valori, non si potrà prescindere dal riconoscimento e dalla riaffermazione della loro origine nella persona e, conseguentemente, in quel personalismo cristiano che è caratteristica ineludibile della cultura europea.
Non aver esplicitamente inserito nel Preambolo le “radici cristiane” significa non aver messo al riparo i valori fondamentali a cui il Preambolo stesso dice di ispirarsi e non aver tenuto nella giusta considerazione, rispetto alle prospettive future, l’impatto che tradizioni culturali e religiose differenti da quelle occidentali e non improntate ai medesimi valori possono avere (anche solo dal punto di vista demografico) sull’Unione europea.
In definitiva, si può affermare che il Preambolo accoglie e rispetta il principio della libertà religiosa, pur non fornendo ad esso sufficienti garanzie di intangibilità ed irriducibilità rispetto al futuro.
In ordine alla laicità dello Stato, emerge, per contro, la prevalenza di quella interpretazione laicista di cui sopra, che non riconosce il pieno ed autonomo valore del fenomeno religioso come elemento propulsivo nella società e costruttivo nel tempo di opere e di storia.
Un problema di laicità – i Patti Civili di Solidarietà – Aspetti giuridice e morali.
L’art. 25 cost. dichiara che la famiglia è fondata sul matrimonio.
Di fronte ad una norma costituzionale non è da ritenersi un problema di laicità il riconoscimento delle coppie di fatto.
Norberto Bobbio affermava che la laicità è il contrario dell’ideologia e dello stato religioso: tuttavia le religioni possono esercitare la propria influenza proporzionalmente al loro peso nella compagine sociale. Laicità non è antireligiosità, nè radicale ateismo di stato. Non si tratta quindi, anche se è così avvertito, di un problema di laicità.
Secondo il Cardinal Caffarra (in occasione della giornata mondiale per le famiglie del Luglio 2006 a Valencia) il bimorfismo sessuale in natura è universale; è la differenza che, unita, porta alla completezza, ed affermare il contrario vuol dire affermare che la persona non ha un fondamento suo proprio, ma che ogni orientamento sessuale è assiologicamente paritetico ed ognuno ha una sorta diritto di opzione in merito.
Il Consiglio d’Europa invita al riconoscimento dell’uguaglianza fra matrimonio ed altro tipo d’unioni. Questa visione si basa su un agnosticismo che nega la conoscibilità della realtà. Tuttavia l’equiparazione richiesta porterebbe allo sminuimento e alla compromissione della famiglia.
In Italia, nella scorsa legislatura, sono stati presentati ventuno progetti di legge al riguardo e tutti (tranne due) miranti più che a tutelare coppie di fatto eterosessuali, a parificare le unioni omosessuali a quelle eterosessuali. Tuttavia le prime non debbono essere confuse con le seconde: le coppie eterosessuali, per quanto non regolari, sono molto più simili alle coppie unite in matrimonio che a quelle omosessuali, per le quali lo stesso termine “coppie” è impreciso, poichè in esse manca la diversità e la fecondità, perciò è più appropriato parlare di “unione”.
La morale naturale serve più a un non credente che a un credente: la conoscenza stessa implica una morale per tendere al vero e al bello (se si rifiuta il radicalismo agnostico: rifiuto che è a monte di ogni volontà di conoscenza). Il credente aderisce già a una visione del mondo ordinata, mentre è il non credente a dover giudicare ragionevolmente il reale e aderire a tale giudizio, qualora ammetta una qualche possibilità di conoscenza. E’ quindi necessario un dibattito sulla morale, dibattito che esula però dalle problematiche della laicità dello stato.
Quindi il dibattito potrebbe essere limitato al risolvere i problemi pratici dei conviventi. Questi sorgono in particolare al momento dello scioglimento della convivenza dal momento che formalmente nessun diritto è esigibile per la parte debole. Il più delle volte è possibile risolvere questi problemi tramite il diritto pattizio, mentre per altri vi possono essere soluzioni ad hoc: ad es. già i conviventi dei parlamentari e dei giornalisti godono del diritto alla reversibilità della pensione.
In Europa le leggi che prevedono il riconoscimento delle convivenze, lo fanno in chiave opzionale: relativamente alla scelta conseguita si applicano automaticamente gli effetti giuridici corrispondenti che i conviventi non possono modificare. Solo in Germania invece il riconoscimento è aperto alle sole coppie omosessuali, mentre per gli eterosessuali è offerto il matrimonio civile, con possibilità di divorzio.
L’Italia è soggetta alle pressioni dell’UE e alcune convivenze devono essere già riconosciute a causa dei meccanismo dei diritto internazionale privato.
Bisogna tuttavia tener conto delle seguenti considerazioni: un interesse che sia rilevante pubblicamente deve essere protetto dallo stato. Ad un interesse meramente individuale deve essere garantita la libertà d’esercizio da parte dello stato. Il riconoscimento rimane pubblico anche se inserito nel codice civile. Solo il matrimonio però è quell’alleanza di tutta una vita per il bene dei coniugi e ordinata all’educazione dei figli: quindi solo da esse può essere richiesto il riconoscimento pubblico dello Stato, che può anche esigerlo (è il caso della normativa penale in caso di assistenza.)
È infine da ricordare che corrisponde al concetto di “uguaglianza” il trattamento in maniera uguale di situazioni uguali e in modo diverso di situazioni diverse. Non vi è quindi discriminazione a non riconoscere la stessa rilevanza e gli stessi diritto in capo all’istituto del matrimonio e alla realtà delle convivenze civili.
see u,
Giangiacomo
domenica 28 gennaio 2007
Universiadi Torino 2007: un flop completo!
Dal 17 al 27 Gennaio 2007, a Torino, si è svolta la 28a edizione delle Universiadi.
Lanciate come una seconda Olimpiade, si sono rivelate un flop.
pochi Paesi partecipanti, gli atleti che arrivano per le gare e rientrano subito nei Paesi di propria provenienza, nessuna fiumana in Via Po nè in Via Roma, pochissime persone extra delegazioni a Torino per turismo e interesse.
D'Elicio, il presidente del CUS, formidabile ideatore e creatore, ma purtroppo non poteva avere il polso costante e diretto della situazione completa...
una spesa di 21 milioni di euro e un buco di 1,7 milioni di euro da coprire.
gli sponsor, furbi nelle loro strategia di marketing, non ci hanno mai creduto. e come dargli torto...
disorganizzazione ovunque. calendario delle gare che, sul libricino distribuito negli infopoint registrava più di un'inesattezza sulle date. se non fosse stato per la cerimonia di assegnazione delle universiadi 2011 al Regio: una folla mai vista tentava di entrare, tanto ce gl iorganizzatori sono dovuti ricorrere a un sistema un po' arbitrario di selezione alla porta, che ha lasciato fuori illustri delegati e ha fatto entrare sconosciuti infiltrati, provocando le ire dei vertici Fisu. Se non fosse stato per la cerimonia inaugurale durante la quale dietro le quinte ha regnato la disorganizzazione: costumi che non arrivavano, camerini stipati e star che minacciavano di andarse. Se non fosse stato per i parcheggi, che scarseggiavano. Se non fosse stato per i tagli alla comunicazione, sopratutto straniera, imposti dal budget ristretto. Peccati veniali.
inoltre, la sinistra, al potere dalle circoscrizioni di Torino al comune, alla provincia di torino, alla regione piemonte, è riuscita ad impossessarsi di ogni evento. cultura proposta di sinistra. personaggi proposti di sinistra. eventi legati a personaggi e uomini della dirigenza e del Partito dei DS.
da ridere quanto il patrocinio Universiadi 2007 sia stato concesso a strutture personaggi e situazioni di poco conto... (e mi piacerebbe scrivere anche il nome... chissà quale tipo di marchette...).
ed infine la situazione più caotica, più comica: crazy4u, il format delle serate universitarie creato per attrarre i giovani piemontesi.
una tale Chiara, resp event service delle Universiadi, ha chiamato il suo ex moroso, un tale Fabio, responsabile di un'organizzazione di eventi torinese, a cui appaltare l'intero svolgimento delle serate durante la manifestazione sportiva. il risultato è disastroso. serate in discoteca disertate, vuote. solo per un interesse privato, sono stati contattate realtà di conoscenza diretta e non realtà che veramente avessero ricaduta feeling contatto con il mondo universitario.
di nuovo una storia poco pulita nella realtà torinese.
bleah...
see u,
Giangiacomo
Lanciate come una seconda Olimpiade, si sono rivelate un flop.
pochi Paesi partecipanti, gli atleti che arrivano per le gare e rientrano subito nei Paesi di propria provenienza, nessuna fiumana in Via Po nè in Via Roma, pochissime persone extra delegazioni a Torino per turismo e interesse.
D'Elicio, il presidente del CUS, formidabile ideatore e creatore, ma purtroppo non poteva avere il polso costante e diretto della situazione completa...
una spesa di 21 milioni di euro e un buco di 1,7 milioni di euro da coprire.
gli sponsor, furbi nelle loro strategia di marketing, non ci hanno mai creduto. e come dargli torto...
disorganizzazione ovunque. calendario delle gare che, sul libricino distribuito negli infopoint registrava più di un'inesattezza sulle date. se non fosse stato per la cerimonia di assegnazione delle universiadi 2011 al Regio: una folla mai vista tentava di entrare, tanto ce gl iorganizzatori sono dovuti ricorrere a un sistema un po' arbitrario di selezione alla porta, che ha lasciato fuori illustri delegati e ha fatto entrare sconosciuti infiltrati, provocando le ire dei vertici Fisu. Se non fosse stato per la cerimonia inaugurale durante la quale dietro le quinte ha regnato la disorganizzazione: costumi che non arrivavano, camerini stipati e star che minacciavano di andarse. Se non fosse stato per i parcheggi, che scarseggiavano. Se non fosse stato per i tagli alla comunicazione, sopratutto straniera, imposti dal budget ristretto. Peccati veniali.
inoltre, la sinistra, al potere dalle circoscrizioni di Torino al comune, alla provincia di torino, alla regione piemonte, è riuscita ad impossessarsi di ogni evento. cultura proposta di sinistra. personaggi proposti di sinistra. eventi legati a personaggi e uomini della dirigenza e del Partito dei DS.
da ridere quanto il patrocinio Universiadi 2007 sia stato concesso a strutture personaggi e situazioni di poco conto... (e mi piacerebbe scrivere anche il nome... chissà quale tipo di marchette...).
ed infine la situazione più caotica, più comica: crazy4u, il format delle serate universitarie creato per attrarre i giovani piemontesi.
una tale Chiara, resp event service delle Universiadi, ha chiamato il suo ex moroso, un tale Fabio, responsabile di un'organizzazione di eventi torinese, a cui appaltare l'intero svolgimento delle serate durante la manifestazione sportiva. il risultato è disastroso. serate in discoteca disertate, vuote. solo per un interesse privato, sono stati contattate realtà di conoscenza diretta e non realtà che veramente avessero ricaduta feeling contatto con il mondo universitario.
di nuovo una storia poco pulita nella realtà torinese.
bleah...
see u,
Giangiacomo
sabato 27 gennaio 2007
Nello Stato laico, la libertà della Chiesa
«L’autorità politica non è tutta l’autorità, ma semplicemente l’autorità politica, cioè quella che ha cura dell’ordine e della difesa della società». Don L. Sturzo
Non ne conosco il motivo, ma questa sera, pochi istanti prima che mi faccia assorbire dalla Notte Bianca di Torino, mi viene il desiderio di rispondere ai "compagni" radicali.
Dopo l'ultimo caso Welby e l'eutanasia, i continui attacchi alla Chiesa, vorrei cercare di instaurare un dialogo con loro, partendo da punti base e principi profondi e non estremisti.
Qualche anno fa, avevo ascoltato Mons. Pennisi schematizzare il tema in modo estremamente semplice e dagli appunti di quell'incontro mi piacerebbe partire.
La Chiesa si è opposta alla pretesa totalitaria dello Stato, lo Stato non è fondamento, ma solo espressione della vita sociale, non fonda i diritti, ma li riconosce. Perciò uno Stato laico non può avere una cultura propria, una religione propria, una morale propria, ma deve rispettare tutte le culture e tutte le religioni nella misura in cui non si oppongono ai principi costitutivi della giustizia e della convivenza pacifica tra i membri. Uno Stato è laico se rispetta la realtà popolare in tutte le sue articolazioni: non deve fare nessuna scelta sulla religione, che invece è un problema di coscienza.
A mio modesto parere, la Chiesa nel corso dei secoli non ha mai aspirato alla religione di Stato così come oggi non aspira che la religione cattolica venga affermata come la religione della nuova Carta europea, ma ha chiesto allo Stato e ha difeso la libertà del proprio lavoro educativo, che si esplicita in capacità di carità, di missione e quindi di cultura, cioè di giudizio sulle situazioni (le banche sono nate dalle opere pie, gli ospedali sono nati dai conventi, le università sono nate dai monasteri. Sono fatti storici questi).
L’esigenza è che nella dialettica tra Chiesa e struttura politica, la Chiesa, e quindi i cristiani, nel rispetto e nell’obbedienza all’ordinamento civile, non rinuncino mai a ciò che nel corso dei secoli ha reso la Chiesa esperienza affascinante per milioni di uomini, cioè a quello spazio vitale di libertà che è presupposto necessario per una presenza educativa.
La libertà religiosa è come la cartina di tornasole per giudicare uno Stato. Un potere politico che non garantisce la libertà religiosa, non garantisce le altre libertà. È significativo che solo in Occidente la libertà sia un bene fondamentale e ciò è accaduto per il contributo determinante della Chiesa. La Chiesa, rivendicando la libertà religiosa come madre di tutte le libertà, non chiede privilegi, ma pone le basi per far vivere la libertà come valore universale in tutti i campi, culturale, economico e sociale, aprendo la strada a tutte le libertà.
Purtroppo molti di coloro che siedono al Parlamento di Roma sottolineano l’idea di uno Stato etico che abbia la pretesa di essere l’unico soggetto storico dispensatore di libertà, giustizia e benefici ai cittadini. Chiunque ne sia il capo, costui non può che impersonare la parte di chi in concreto deve guidare i sudditi verso gli ideali che egli ha preventivamente selezionato. (la via intrapresa dalle battaglie degli ultimi mesi di Prodi Verdi Radicali e i sessantottini di rifondazione comunista).
«L’autorità politica non è tutta l’autorità, ma semplicemente l’autorità politica, cioè quella che ha cura dell’ordine e della difesa della società». Don L. Sturzo
facciamo attenzione...
fate attenzione onorevoli, senatori e cari compagni al Governo: evitiamo le missioni salvifiche e cerchiamo di essere meno moralisti
Per questo mi sento di domandare allo Stato di non cedere alla tentazione del laicismo e di assumere pienamente la sua laicità:
- favorendo un’educazione che tenga conto del bisogno dell’uomo di affermare ciò che dà senso alla sua vita e di stabilire così un vero dialogo con gli altri;
- salvaguardando la libertà degli uomini, delle istituzioni e delle Chiese di credere, di esprimersi e di operare per il bene comune; ciò su cui si basa la vera democrazia.
see u,
Giangiacomo
Non ne conosco il motivo, ma questa sera, pochi istanti prima che mi faccia assorbire dalla Notte Bianca di Torino, mi viene il desiderio di rispondere ai "compagni" radicali.
Dopo l'ultimo caso Welby e l'eutanasia, i continui attacchi alla Chiesa, vorrei cercare di instaurare un dialogo con loro, partendo da punti base e principi profondi e non estremisti.
Qualche anno fa, avevo ascoltato Mons. Pennisi schematizzare il tema in modo estremamente semplice e dagli appunti di quell'incontro mi piacerebbe partire.
La Chiesa si è opposta alla pretesa totalitaria dello Stato, lo Stato non è fondamento, ma solo espressione della vita sociale, non fonda i diritti, ma li riconosce. Perciò uno Stato laico non può avere una cultura propria, una religione propria, una morale propria, ma deve rispettare tutte le culture e tutte le religioni nella misura in cui non si oppongono ai principi costitutivi della giustizia e della convivenza pacifica tra i membri. Uno Stato è laico se rispetta la realtà popolare in tutte le sue articolazioni: non deve fare nessuna scelta sulla religione, che invece è un problema di coscienza.
A mio modesto parere, la Chiesa nel corso dei secoli non ha mai aspirato alla religione di Stato così come oggi non aspira che la religione cattolica venga affermata come la religione della nuova Carta europea, ma ha chiesto allo Stato e ha difeso la libertà del proprio lavoro educativo, che si esplicita in capacità di carità, di missione e quindi di cultura, cioè di giudizio sulle situazioni (le banche sono nate dalle opere pie, gli ospedali sono nati dai conventi, le università sono nate dai monasteri. Sono fatti storici questi).
L’esigenza è che nella dialettica tra Chiesa e struttura politica, la Chiesa, e quindi i cristiani, nel rispetto e nell’obbedienza all’ordinamento civile, non rinuncino mai a ciò che nel corso dei secoli ha reso la Chiesa esperienza affascinante per milioni di uomini, cioè a quello spazio vitale di libertà che è presupposto necessario per una presenza educativa.
La libertà religiosa è come la cartina di tornasole per giudicare uno Stato. Un potere politico che non garantisce la libertà religiosa, non garantisce le altre libertà. È significativo che solo in Occidente la libertà sia un bene fondamentale e ciò è accaduto per il contributo determinante della Chiesa. La Chiesa, rivendicando la libertà religiosa come madre di tutte le libertà, non chiede privilegi, ma pone le basi per far vivere la libertà come valore universale in tutti i campi, culturale, economico e sociale, aprendo la strada a tutte le libertà.
Purtroppo molti di coloro che siedono al Parlamento di Roma sottolineano l’idea di uno Stato etico che abbia la pretesa di essere l’unico soggetto storico dispensatore di libertà, giustizia e benefici ai cittadini. Chiunque ne sia il capo, costui non può che impersonare la parte di chi in concreto deve guidare i sudditi verso gli ideali che egli ha preventivamente selezionato. (la via intrapresa dalle battaglie degli ultimi mesi di Prodi Verdi Radicali e i sessantottini di rifondazione comunista).
«L’autorità politica non è tutta l’autorità, ma semplicemente l’autorità politica, cioè quella che ha cura dell’ordine e della difesa della società». Don L. Sturzo
facciamo attenzione...
fate attenzione onorevoli, senatori e cari compagni al Governo: evitiamo le missioni salvifiche e cerchiamo di essere meno moralisti
Per questo mi sento di domandare allo Stato di non cedere alla tentazione del laicismo e di assumere pienamente la sua laicità:
- favorendo un’educazione che tenga conto del bisogno dell’uomo di affermare ciò che dà senso alla sua vita e di stabilire così un vero dialogo con gli altri;
- salvaguardando la libertà degli uomini, delle istituzioni e delle Chiese di credere, di esprimersi e di operare per il bene comune; ciò su cui si basa la vera democrazia.
see u,
Giangiacomo
Domanda e risposta dal Ministro Melandri: i soliti sporchi giri di denaro
24 Gennaio 2007, il Ministro MELANDRI si presenta a Casa Universiade
Ore 17, Giovanna Melandri entra presso una delle sale di Casa Universiade (Palazzetto Aldo Moro dell'Università degli Studi di Torino).
Il Ministro per lo Sport e le Politiche Giovanili sarebbe interessato ad incontrare gli studenti torinesi.
Di fianco a Lei l'intellighenzia e i dirigenti massimi del comunismo in Piemonte: il Rettore Ezio Pelizzetti (rosso già dal naso), la zarina Bresso e un'altra assessora sconosciuta (tanto per tutti parla sempre la Bresso).
Il Ministro avrebbe dovuto rispondere alle domande che sarebbero state poste dagli studenti sulle politiche legate al mondo giovanile e sui prossimi interventi legislativi che il Governo intende proporre in materia. Doveva essere inoltre l'occasione anche per discutere delle realtà associazionistiche locali.
solo chiacchiere...
Il Ministro si dichiara già in ritardo causa nebbia e il suo volo in aereo di Stato non può tardare: si concede solamente 30 minuti.
Inizio io con la prima domanda: il bando "giovani idee cambiano l'europa", che il ministero ha da poco promulgato, prevede che solo i gruppi informali di giovani possano fare domanda. in questo modo le associazioni che già sono costituite sono tagliate fuori. le chiedo di spiegarmi la ratio di tale decisione... concedere finanziamenti a pioggia come può essere utile? giovani si raggruppano, propongono un'iniziativa, questa viene finanziata e poi... controllo sull'opera? nel caso l'idea perda di fattibilità o i giovani aggregati si sfaldino? i soldi come vengono recuperati? verrebbero totalmente persi! come ministero cercate di strutturare un incubatore di imprese? non mi sembra spetti a voi il compito... e come?
dopo altre domande pertinenti, il Ministro prende in mano il microfono e...
parla di sè! parla di sè stessa!!
è una conferenza stampa. i giornalisti le sono addosso e si mettono davanti a lei non permettendo neanche alla prima fila della platea di osservare la sua magnifica belta e presenza femminile (è veramente affascinante!!)
non risponde. parla dei progetti futuri e prossimi
un'altra volta i giovani, attirati da false promesse, richiamati e convocati per "fare notizia", sono presi in giro.
un'altra generazione di giovani dovrà aspettare la prossima (nel 2020) per vedere i progetti futuri (ora, nel 2007) attuarsi e prendere forma!
morale: il bando nazionale "giovani idee cambiano l'italia" è identico al bando di finanziamento della attività ricreative socioculturali degli studenti promosso dall'EDISU Piemonte... una schifezza! sono premiati coloro che hanno conoscenze, coloro che hanno conflitti di interesse. nessuna valutazione del merito. nulla di nulla! sono un modo più semplice per rubare i soldi allo Stato e alla pubblica amministrazione con l'aiuto di consiglieri di amministrazione conniventi!
ecco, ora ho capito l'innovazione che evoca la Melandri! finanziare sempre i soliti, i partiti le cooperative e le associazioni legate ai propri bacini e provenienze attraverso bandi giovanili e non più tramite i vecchi e noti appalti del PCI
see u,
Giangiacomo
Ore 17, Giovanna Melandri entra presso una delle sale di Casa Universiade (Palazzetto Aldo Moro dell'Università degli Studi di Torino).
Il Ministro per lo Sport e le Politiche Giovanili sarebbe interessato ad incontrare gli studenti torinesi.
Di fianco a Lei l'intellighenzia e i dirigenti massimi del comunismo in Piemonte: il Rettore Ezio Pelizzetti (rosso già dal naso), la zarina Bresso e un'altra assessora sconosciuta (tanto per tutti parla sempre la Bresso).
Il Ministro avrebbe dovuto rispondere alle domande che sarebbero state poste dagli studenti sulle politiche legate al mondo giovanile e sui prossimi interventi legislativi che il Governo intende proporre in materia. Doveva essere inoltre l'occasione anche per discutere delle realtà associazionistiche locali.
solo chiacchiere...
Il Ministro si dichiara già in ritardo causa nebbia e il suo volo in aereo di Stato non può tardare: si concede solamente 30 minuti.
Inizio io con la prima domanda: il bando "giovani idee cambiano l'europa", che il ministero ha da poco promulgato, prevede che solo i gruppi informali di giovani possano fare domanda. in questo modo le associazioni che già sono costituite sono tagliate fuori. le chiedo di spiegarmi la ratio di tale decisione... concedere finanziamenti a pioggia come può essere utile? giovani si raggruppano, propongono un'iniziativa, questa viene finanziata e poi... controllo sull'opera? nel caso l'idea perda di fattibilità o i giovani aggregati si sfaldino? i soldi come vengono recuperati? verrebbero totalmente persi! come ministero cercate di strutturare un incubatore di imprese? non mi sembra spetti a voi il compito... e come?
dopo altre domande pertinenti, il Ministro prende in mano il microfono e...
parla di sè! parla di sè stessa!!
è una conferenza stampa. i giornalisti le sono addosso e si mettono davanti a lei non permettendo neanche alla prima fila della platea di osservare la sua magnifica belta e presenza femminile (è veramente affascinante!!)
non risponde. parla dei progetti futuri e prossimi
un'altra volta i giovani, attirati da false promesse, richiamati e convocati per "fare notizia", sono presi in giro.
un'altra generazione di giovani dovrà aspettare la prossima (nel 2020) per vedere i progetti futuri (ora, nel 2007) attuarsi e prendere forma!
morale: il bando nazionale "giovani idee cambiano l'italia" è identico al bando di finanziamento della attività ricreative socioculturali degli studenti promosso dall'EDISU Piemonte... una schifezza! sono premiati coloro che hanno conoscenze, coloro che hanno conflitti di interesse. nessuna valutazione del merito. nulla di nulla! sono un modo più semplice per rubare i soldi allo Stato e alla pubblica amministrazione con l'aiuto di consiglieri di amministrazione conniventi!
ecco, ora ho capito l'innovazione che evoca la Melandri! finanziare sempre i soliti, i partiti le cooperative e le associazioni legate ai propri bacini e provenienze attraverso bandi giovanili e non più tramite i vecchi e noti appalti del PCI
see u,
Giangiacomo
GIGI D'AGOSTINO - Lo Sbaglio
Il testo de "Lo Sbaglio" di Gigi D'Agostino, una persona molto speciale
la canzone è una delle mie preferite e si adatta a diverse vicende
Certi problemi non sono un dramma
perchè è la vita che li programma
E questa vita mi ha messo in vita
forse quel giorno era impazzita
Certi problemi non sono un dramma
perché è la vita che li programma
e se lo fa sa quel che fa
Chi lo sa quand’è che sbaglia
quando ci dona o quando ci toglie
Chi lo sa quand’è che sbaglio
quando sto solo o con mia moglie
Chi lo sa quand’è che è meglio
sai per capire cos’è uno sbaglio
Nessuno sa qual è la soglia
per poter dire diamoci un taglio
Chi lo sa se darci un taglio
non sia frutto del proprio orgoglio
Non so più qual è il mio meglio
se non si scioglie questo groviglio
Certi problemi non sono un dramma
perché è la vita che li programma
e se lo fa sa quel che fa
Chi lo sa quand’è che sbaglia
quando ci dona o quando ci toglie
Chi lo sa quand’è che sbaglio
quando sto solo o con mia moglie
Chi lo sa quand’è che è meglio
sai per capire cos’è uno sbaglio
Nessuno sa qual è la soglia
per poter dire diamoci un taglio
Chi lo sa se darci un taglio
non sia frutto del proprio orgoglio
Non so più qual è il mio meglio
se non si scioglie questo groviglio
Non so più qual è il mio meglio
se non si scioglie questo groviglio
Tutta apparenza solo un abbaglio
non c’è canzone senza uno sbaglio
see u,
Giangiacomo
la canzone è una delle mie preferite e si adatta a diverse vicende
Certi problemi non sono un dramma
perchè è la vita che li programma
E questa vita mi ha messo in vita
forse quel giorno era impazzita
Certi problemi non sono un dramma
perché è la vita che li programma
e se lo fa sa quel che fa
Chi lo sa quand’è che sbaglia
quando ci dona o quando ci toglie
Chi lo sa quand’è che sbaglio
quando sto solo o con mia moglie
Chi lo sa quand’è che è meglio
sai per capire cos’è uno sbaglio
Nessuno sa qual è la soglia
per poter dire diamoci un taglio
Chi lo sa se darci un taglio
non sia frutto del proprio orgoglio
Non so più qual è il mio meglio
se non si scioglie questo groviglio
Certi problemi non sono un dramma
perché è la vita che li programma
e se lo fa sa quel che fa
Chi lo sa quand’è che sbaglia
quando ci dona o quando ci toglie
Chi lo sa quand’è che sbaglio
quando sto solo o con mia moglie
Chi lo sa quand’è che è meglio
sai per capire cos’è uno sbaglio
Nessuno sa qual è la soglia
per poter dire diamoci un taglio
Chi lo sa se darci un taglio
non sia frutto del proprio orgoglio
Non so più qual è il mio meglio
se non si scioglie questo groviglio
Non so più qual è il mio meglio
se non si scioglie questo groviglio
Tutta apparenza solo un abbaglio
non c’è canzone senza uno sbaglio
see u,
Giangiacomo
lunedì 22 gennaio 2007
Circolare informativa: Finanziaria 2007
commentate voi...
Riforma IRPEF
Sono state rimodulate le aliquote e gli scaglioni: fino a 23.000 € 23%, da 23.000 € a 28.000 € 27%, da 28.000 € a 55.000 € 38%, da 55.000 € a 75.000 € 41%, oltre 41.000 € 43%.
E’ stata abolita la no tax area e la no tax family area, sostituite da un sistema di detrazioni d’imposta (es. 800 € per ciascun figlio naturale o adottivo o affidato, aumentata a 900 € se il figlio ha età inferiore ai 3 anni. Aumento delle predette detrazioni di 220 € se i figli sono portatori di handicap. Se il contribuenta ha più di 3 figli l’importo della detrazione è aumentato di 200 € per ciascun figlio a partire dal primo. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 95.000 € diminuito del reddito complessivo, e 95,000 €.)
Certificazione spese sanitarie
Ai fini della loro deduzione e detrazione, le spese sanitarie relative all’acquisto di medicinali devono essere certificate da fattura o da scontrino fiscale contenente la specificazione della natura, qualità e quantità dei beni, e il codice fiscale del destinatario. Decorrenza dal 1° luglio 2007. In ogni caso fino al 31 dicembre 2007 l’indicazione del codice fiscale può essere fatta a mano sullo scontrino direttamente dal destinatario.
Compensazione in F24
Effettuazione di una comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate entro il 5° giorno antecedente alla compensazione, per gli importi da compensare superiori ai 10.000 €, per i titolari di partita iva. Si dovrà attendere un provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate che definisca le modalità operative per l’attuazione delle nuove regole.
Nuove scadenze versamenti imposte e presentazione dichiarazioni dei redditi
Unico PF e SP à saldo imposte e primo acconto 16 giugno/16 luglio con maggiorazione 0,4%. Presentazione in via telematica entro il 31 luglio. Versamento seconda rata acconto 30 novembre.
Unico SC à saldo imposte e primo acconto 16 giugno/16 luglio con maggiorazione 0,4%. Presentazione in via telematica entro il 31 luglio. Versamento seconda rata acconto 30 novembre.
Mod. 730 à presentazione 730 al sostituto d’imposta 30 aprile. Presentazione dichiarazione da Caf o intermediari (commercialista) 31 luglio
Ici à pagamento prima o unica rata 16 giugno. Pagamento saldo 16 dicembre
Compensi professionali in contanti
Per i professionisti è sancito il divieto di percepire compensi in contanti pari o superiori a 1000 € dal 12/08/2006 al 30/06/2008, a 500 € dal 01/07/2008 al 30/06/2009, 100 € dal 01/07/2009.
Plusvalenze immobiliari per i professionisti
Concorrono alla formazione di reddito di lavoro autonomo anche le plusvalenze realizzate sulla cessione di beni immobili strumentali all’esercizio dell’arte o della professione. (indeducibili pertanto le minusvalenze).
Telefonini
Aumento della percentuale di deduzione dal 50% al 80% sia dal reddito d’impresa che da quello di lavoro autonomo.
Imposte di successione e donazione
Franchigia di 100.000 € a favore di fratelli o sorelle (valore valido per ogni erede o beneficiario). Tale franchigia sale a 1.500.000 € se il beneficiario è portatore di handicap. Termine di 12 mesi per la presentazione della denuncia di successione. Imposta pari al 6% dell’importo che eccede la franchigia.
Agevolazioni auto
Contributo fino a 80 € per la rottamazione di autoveicoli euro 0 e euro 1 dal 1/1/2007 al 31/12/2007. Per coloro che rottamano il veicolo senza sostituirlo, possono richiedere il rimborso totale dell’abbonamento ai mezzi di trasporto pubblici del proprio comune. Per incentivare la sostituzione del veicolo viene concesso un contributo di 800 € per l’acquisto di veicoli euro 4 e euro 5 fino a 1.330 di cilindrata, nonché l’esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche (bollo) per due anni.
E’ previsto un contributo di 1.500 € per l’acquisto di auto alimentate a gas metano o GPL o ad alimentazione doppia.
Auto concesse ad uso promiscuo ai dipendenti
Incremento dal 30% al 50% della percentuale da applicare ai valori desunti dalla tabelle ACI, entrerà in vigore dal periodo d’imposta 2007 (unico 2008) e non più da quello 2006. Resta però inerente al 2006 la regola che non permette la deduzione integrale dei costi sostenuti dal datore di lavoro, ma che ne ammette in deduzione solo la misura che costituisce reddito di lavoro dipendente.
Detrazioni IRPEF 19%
Nuove detrazioni IRPEF al 19% su alcune tipologie di spesa:
sulle spese fino a 210 € per l’iscrizione a palestre, piscine, associazioni sportive dei ragazzi dai 5 ai 18 anni.
Detrazione fino a 2.633 € sui canoni di locazione per contratti di affitto a studenti universitari fuori sede.
Trasmissione telematica corrispettivi
Lo scontrino non avrà più valore fiscale. Le modalità operative per l’attuazione di dette disposizioni saranno dettate da un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate da adottare entro il 1/6/2007. Gli apparecchi misuratori immessi sul mercato a decorrere dal 1/1/2008 devono essere idonei all’invio telematico. Per detti apparecchi è consentita la deduzione integrale delle spese di acquisizione nell’esercizio in cui sono state sostenute.
Detrazione d’imposta al 55%
Detrazione al 55% per le spese sostenute nel 2007, entro certi limiti, in relazione alla riqualificazione energetica degli edifici ( es. infissi, caldaie, pannelli solari…).
Interventi di recupero edilizio
Confermata anche per il 2007 la detrazione IRPEF al 36% e dell’IVA al 10% per le manutenzioni immobiliari. Tali agevolazioni sono subordinate all’esposizione separata in fattura del costo della manodopera.
Esercenti impianti di distribuzione carburante
Proroga della deduzione forfetaria dei benzinai e dell’agevolazione sulle accise.
Autotrasportatori
Proroga per il periodo d’imposta in corso al 31/12/2006 della deduzione forfetaria per gli autotrasportatori.
INPS
Aumento dei contributi INPS per artigiani e commercianti pari al 19,50%
Aumento dello 0,30% a decorrere dal 1/1/2007, dell’aliquota contributiva INPS per i lavoratori dipendenti, per la parte a carico del lavoratore.
Aumento dal 2007 per i contributi dei co.co.co, i professionisti senza cassa e gli altri iscritti alla gestione separata nelle seguenti misure: 23.5% per i soggetti non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, né pensionati, 16% per iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie o pensionati.
Riforma TFR
Entro il 30/06/2007, i dipendenti del settore privato dovranno effettuare una scelta sulla destinazione del proprio TFR: potranno infatti costruirsi una seconda pensione destinando il futuro TFR ai fondi pensione chiusi o aperti, oppure lasciare le cose come stanno mantenendo il TFR in azienda (in quest’ultimo caso se l’azienda ha almeno 50 dipendenti dovrà destinare il TFR ad un fondo dello Stato gestito dall’INPS). Quindi i dipendenti che sono già in attività al 1/1/2007 devono scegliere entro il 30/06/2007, mentre chi sarà assunto in data successiva al 1/1/2007 avrà sei mesi di tempo per scegliere. Questa decisione non riguarda i dipendenti che sono entrati per la prima volta nel mondo del lavoro dopo il 29/04/1993 e che già hanno aderito ad un fondo chiuso o contrattuale. La scelta di destinare il proprio TFR ad un fondo è irrevocabile, e accompagnerà il lavoratore per la sua carriera lavorativa, mentre la destinazione all’azienda che deve comunque essere espressa per iscritto, può essere revocata in qualsiasi momento.
L’iscrizione quindi ad una forma pensionistica complementare prevede che l’iscritto possa trasferire la propria posizione dopo due anni, ad altra forma pensionistica complementare (ad esempio per cambiamento attività lavorativa).
Il regime fiscale applicato è il seguente:
à Pensioni complementari: ritenuta a titolo di imposta (definitiva) del 15%, che si riduce dello 0,30% per ogni anno di partecipazione al fondo complementare eccedente il quindicesimo. Il 15% non si applica inoltre su tutta la pensione ma solo sulla parte imponibile di essa, vale a dire sull’importo della pensione complementare ridotto dei contributi eventualmente non dedotti, degli interessi maturati durante la fase di accumulazione nonché della rivalutazione annua della rendita medesima.
Il riscatto anticipato, prima del pensionamento, per motivi diversi dalla perdita dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica (es. spese sanitarie gravi e urgenti, acquisto e/o ristrutturazione prima casa) è soggetta a tassazione con una ritenuta a titolo di imposta del 23%.
see u,
Giangiacomo
Riforma IRPEF
Sono state rimodulate le aliquote e gli scaglioni: fino a 23.000 € 23%, da 23.000 € a 28.000 € 27%, da 28.000 € a 55.000 € 38%, da 55.000 € a 75.000 € 41%, oltre 41.000 € 43%.
E’ stata abolita la no tax area e la no tax family area, sostituite da un sistema di detrazioni d’imposta (es. 800 € per ciascun figlio naturale o adottivo o affidato, aumentata a 900 € se il figlio ha età inferiore ai 3 anni. Aumento delle predette detrazioni di 220 € se i figli sono portatori di handicap. Se il contribuenta ha più di 3 figli l’importo della detrazione è aumentato di 200 € per ciascun figlio a partire dal primo. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 95.000 € diminuito del reddito complessivo, e 95,000 €.)
Certificazione spese sanitarie
Ai fini della loro deduzione e detrazione, le spese sanitarie relative all’acquisto di medicinali devono essere certificate da fattura o da scontrino fiscale contenente la specificazione della natura, qualità e quantità dei beni, e il codice fiscale del destinatario. Decorrenza dal 1° luglio 2007. In ogni caso fino al 31 dicembre 2007 l’indicazione del codice fiscale può essere fatta a mano sullo scontrino direttamente dal destinatario.
Compensazione in F24
Effettuazione di una comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate entro il 5° giorno antecedente alla compensazione, per gli importi da compensare superiori ai 10.000 €, per i titolari di partita iva. Si dovrà attendere un provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate che definisca le modalità operative per l’attuazione delle nuove regole.
Nuove scadenze versamenti imposte e presentazione dichiarazioni dei redditi
Unico PF e SP à saldo imposte e primo acconto 16 giugno/16 luglio con maggiorazione 0,4%. Presentazione in via telematica entro il 31 luglio. Versamento seconda rata acconto 30 novembre.
Unico SC à saldo imposte e primo acconto 16 giugno/16 luglio con maggiorazione 0,4%. Presentazione in via telematica entro il 31 luglio. Versamento seconda rata acconto 30 novembre.
Mod. 730 à presentazione 730 al sostituto d’imposta 30 aprile. Presentazione dichiarazione da Caf o intermediari (commercialista) 31 luglio
Ici à pagamento prima o unica rata 16 giugno. Pagamento saldo 16 dicembre
Compensi professionali in contanti
Per i professionisti è sancito il divieto di percepire compensi in contanti pari o superiori a 1000 € dal 12/08/2006 al 30/06/2008, a 500 € dal 01/07/2008 al 30/06/2009, 100 € dal 01/07/2009.
Plusvalenze immobiliari per i professionisti
Concorrono alla formazione di reddito di lavoro autonomo anche le plusvalenze realizzate sulla cessione di beni immobili strumentali all’esercizio dell’arte o della professione. (indeducibili pertanto le minusvalenze).
Telefonini
Aumento della percentuale di deduzione dal 50% al 80% sia dal reddito d’impresa che da quello di lavoro autonomo.
Imposte di successione e donazione
Franchigia di 100.000 € a favore di fratelli o sorelle (valore valido per ogni erede o beneficiario). Tale franchigia sale a 1.500.000 € se il beneficiario è portatore di handicap. Termine di 12 mesi per la presentazione della denuncia di successione. Imposta pari al 6% dell’importo che eccede la franchigia.
Agevolazioni auto
Contributo fino a 80 € per la rottamazione di autoveicoli euro 0 e euro 1 dal 1/1/2007 al 31/12/2007. Per coloro che rottamano il veicolo senza sostituirlo, possono richiedere il rimborso totale dell’abbonamento ai mezzi di trasporto pubblici del proprio comune. Per incentivare la sostituzione del veicolo viene concesso un contributo di 800 € per l’acquisto di veicoli euro 4 e euro 5 fino a 1.330 di cilindrata, nonché l’esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche (bollo) per due anni.
E’ previsto un contributo di 1.500 € per l’acquisto di auto alimentate a gas metano o GPL o ad alimentazione doppia.
Auto concesse ad uso promiscuo ai dipendenti
Incremento dal 30% al 50% della percentuale da applicare ai valori desunti dalla tabelle ACI, entrerà in vigore dal periodo d’imposta 2007 (unico 2008) e non più da quello 2006. Resta però inerente al 2006 la regola che non permette la deduzione integrale dei costi sostenuti dal datore di lavoro, ma che ne ammette in deduzione solo la misura che costituisce reddito di lavoro dipendente.
Detrazioni IRPEF 19%
Nuove detrazioni IRPEF al 19% su alcune tipologie di spesa:
sulle spese fino a 210 € per l’iscrizione a palestre, piscine, associazioni sportive dei ragazzi dai 5 ai 18 anni.
Detrazione fino a 2.633 € sui canoni di locazione per contratti di affitto a studenti universitari fuori sede.
Trasmissione telematica corrispettivi
Lo scontrino non avrà più valore fiscale. Le modalità operative per l’attuazione di dette disposizioni saranno dettate da un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate da adottare entro il 1/6/2007. Gli apparecchi misuratori immessi sul mercato a decorrere dal 1/1/2008 devono essere idonei all’invio telematico. Per detti apparecchi è consentita la deduzione integrale delle spese di acquisizione nell’esercizio in cui sono state sostenute.
Detrazione d’imposta al 55%
Detrazione al 55% per le spese sostenute nel 2007, entro certi limiti, in relazione alla riqualificazione energetica degli edifici ( es. infissi, caldaie, pannelli solari…).
Interventi di recupero edilizio
Confermata anche per il 2007 la detrazione IRPEF al 36% e dell’IVA al 10% per le manutenzioni immobiliari. Tali agevolazioni sono subordinate all’esposizione separata in fattura del costo della manodopera.
Esercenti impianti di distribuzione carburante
Proroga della deduzione forfetaria dei benzinai e dell’agevolazione sulle accise.
Autotrasportatori
Proroga per il periodo d’imposta in corso al 31/12/2006 della deduzione forfetaria per gli autotrasportatori.
INPS
Aumento dei contributi INPS per artigiani e commercianti pari al 19,50%
Aumento dello 0,30% a decorrere dal 1/1/2007, dell’aliquota contributiva INPS per i lavoratori dipendenti, per la parte a carico del lavoratore.
Aumento dal 2007 per i contributi dei co.co.co, i professionisti senza cassa e gli altri iscritti alla gestione separata nelle seguenti misure: 23.5% per i soggetti non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, né pensionati, 16% per iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie o pensionati.
Riforma TFR
Entro il 30/06/2007, i dipendenti del settore privato dovranno effettuare una scelta sulla destinazione del proprio TFR: potranno infatti costruirsi una seconda pensione destinando il futuro TFR ai fondi pensione chiusi o aperti, oppure lasciare le cose come stanno mantenendo il TFR in azienda (in quest’ultimo caso se l’azienda ha almeno 50 dipendenti dovrà destinare il TFR ad un fondo dello Stato gestito dall’INPS). Quindi i dipendenti che sono già in attività al 1/1/2007 devono scegliere entro il 30/06/2007, mentre chi sarà assunto in data successiva al 1/1/2007 avrà sei mesi di tempo per scegliere. Questa decisione non riguarda i dipendenti che sono entrati per la prima volta nel mondo del lavoro dopo il 29/04/1993 e che già hanno aderito ad un fondo chiuso o contrattuale. La scelta di destinare il proprio TFR ad un fondo è irrevocabile, e accompagnerà il lavoratore per la sua carriera lavorativa, mentre la destinazione all’azienda che deve comunque essere espressa per iscritto, può essere revocata in qualsiasi momento.
L’iscrizione quindi ad una forma pensionistica complementare prevede che l’iscritto possa trasferire la propria posizione dopo due anni, ad altra forma pensionistica complementare (ad esempio per cambiamento attività lavorativa).
Il regime fiscale applicato è il seguente:
à Pensioni complementari: ritenuta a titolo di imposta (definitiva) del 15%, che si riduce dello 0,30% per ogni anno di partecipazione al fondo complementare eccedente il quindicesimo. Il 15% non si applica inoltre su tutta la pensione ma solo sulla parte imponibile di essa, vale a dire sull’importo della pensione complementare ridotto dei contributi eventualmente non dedotti, degli interessi maturati durante la fase di accumulazione nonché della rivalutazione annua della rendita medesima.
Il riscatto anticipato, prima del pensionamento, per motivi diversi dalla perdita dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica (es. spese sanitarie gravi e urgenti, acquisto e/o ristrutturazione prima casa) è soggetta a tassazione con una ritenuta a titolo di imposta del 23%.
see u,
Giangiacomo
La Melandri esulta per le norme antigiovani?
Il ministro Melandri - augurandoci che sia in buona fede - non deve essere molto pratica di numeri. Non si spiegherebbe altrimenti il suo entusiasmo per la manovra Finanziaria appena varata dalla maggioranza. Come è possibile giudicare in modo positivo una Finanziaria che oggettivamente colpisce le giovani generazioni, dai parasubordinati agli autonomi, dagli studenti ai neo-magistrati? Delle politiche giovanili del Governo Prodi per il momento ne ha beneficiato solo la Melandri, aggiudicandosi un posto da ministro e centinaia di migliaia di euro per pagare le sue marchette.
Il Governo, continuando a spostare gli oneri sulle spalle delle generazioni future, sta aumentando il divario generazionale.
Dopo questa Finanziaria non ci sono dubbi, per la Melandri è davvero il caso di dire missione fallita.
see u,
Giangiacomo
Il Governo, continuando a spostare gli oneri sulle spalle delle generazioni future, sta aumentando il divario generazionale.
Dopo questa Finanziaria non ci sono dubbi, per la Melandri è davvero il caso di dire missione fallita.
see u,
Giangiacomo
domenica 21 gennaio 2007
L'interesse per le esigenze del popolo
L'allargamento della base U.S.A. (United States of America) a Vicenza? Interesse urbanistico
sono disarmato davanti alle ultime dichiarazioni/burla di Prodi e D'Alema relative all'allargamento della base degli Stati Uniti d'America a Vicenza.
"è un problema non di natura politica, ma urbanistica e amministrativa" il premier.
"è importante la valutazione che verrà fatta in sede locale, c'è solo il problema dell'impatto socio-ambientale e urbanistico per Vicenza" il ministro degli esteri.
cerchiamo di capirci...
- pensate che siamo così stupidi? è vero che sono in tanti i cogl..ni che vi hanno votato, però non prendetevi certe libertà per prenderci così tanto in giro!
- i verdi con il solo 3% di presenza in parlamento, stanno condizionando accordi internazionali che vigono da 50 anni con la prima potenza al mondo?
come si legge su Il Foglio di qualche giorno fa, non si può che essere abbagliati e complimentarsi per la visione del nostro governo. sono posizioni lungimiranti e responsabili, figlie di un rapporto co le municipalità, cioà con le realtà più vicine ai cittadini, nel solco di una nobile tradizione di sinistra che concede opportunamente l'ultima parola si comuni della Val di Susa per quanto riguarda il trasporto di merci (compromettendo il mercato degli scambi e il progresso dell'intero sistema dei trasporti del Nord Italia), a quello di Scansano per le scorie nucleari.
Oltretutto, parlando con amici di Vicenza, viene fuori un'immagine totalmente estranea e lontana da quella data dai telegiornali delle reti di stato sotto regime (RAI): la megacaserma consente ai soldati americani di avere a disposizione un proprio teatro, un proprio cinema, un proprio ristorante, propri pub dove andare a divertirsi e bere (immaginate alcune scene di Top Gun). i vicentini non si accorgono neanche della loro presenza, se non di qualche apparizione per shopping (e questo non può che far bene a Vicenza e all'indotto).
Stupisce in questa politica chiara di valorizzazione dei campanili, la vigorosa protesta di Prodi, Bertinotti e soci (perchè di soci di affari si tratta) per i bombardamenti americani in Somalia: non risulta infatti nessun ordine del giorno del comune di Mogadiscio a proposito di un loro eventuale impatto urbanistico.
see u,
Giangiacomo
sono disarmato davanti alle ultime dichiarazioni/burla di Prodi e D'Alema relative all'allargamento della base degli Stati Uniti d'America a Vicenza.
"è un problema non di natura politica, ma urbanistica e amministrativa" il premier.
"è importante la valutazione che verrà fatta in sede locale, c'è solo il problema dell'impatto socio-ambientale e urbanistico per Vicenza" il ministro degli esteri.
cerchiamo di capirci...
- pensate che siamo così stupidi? è vero che sono in tanti i cogl..ni che vi hanno votato, però non prendetevi certe libertà per prenderci così tanto in giro!
- i verdi con il solo 3% di presenza in parlamento, stanno condizionando accordi internazionali che vigono da 50 anni con la prima potenza al mondo?
come si legge su Il Foglio di qualche giorno fa, non si può che essere abbagliati e complimentarsi per la visione del nostro governo. sono posizioni lungimiranti e responsabili, figlie di un rapporto co le municipalità, cioà con le realtà più vicine ai cittadini, nel solco di una nobile tradizione di sinistra che concede opportunamente l'ultima parola si comuni della Val di Susa per quanto riguarda il trasporto di merci (compromettendo il mercato degli scambi e il progresso dell'intero sistema dei trasporti del Nord Italia), a quello di Scansano per le scorie nucleari.
Oltretutto, parlando con amici di Vicenza, viene fuori un'immagine totalmente estranea e lontana da quella data dai telegiornali delle reti di stato sotto regime (RAI): la megacaserma consente ai soldati americani di avere a disposizione un proprio teatro, un proprio cinema, un proprio ristorante, propri pub dove andare a divertirsi e bere (immaginate alcune scene di Top Gun). i vicentini non si accorgono neanche della loro presenza, se non di qualche apparizione per shopping (e questo non può che far bene a Vicenza e all'indotto).
Stupisce in questa politica chiara di valorizzazione dei campanili, la vigorosa protesta di Prodi, Bertinotti e soci (perchè di soci di affari si tratta) per i bombardamenti americani in Somalia: non risulta infatti nessun ordine del giorno del comune di Mogadiscio a proposito di un loro eventuale impatto urbanistico.
see u,
Giangiacomo
Un ottimo esempio di sussidiarietà: Forum Regionale Giovani piemontese
Come nasce il Forum Regionale Giovani piemontese
Sussidiarietà questa sconosciuta.
In molti si chiedono cosa sia, un termine che appare dagli anni '90 sulle bocche di tutte, sugli articoli di molti, in ogni testo dell'Unione Europea e del Parlamento di Bruxelles...
dagli esempi si capisce meglio.
poniamo l’attenzione sulla “partecipazione”. I politici dicono “io sono eletto, io decido”. E’ vero, non è giusto depauperare chi quel potere decisionale se l’è sudato, ma questo sarebbe giusto se la classe politica fosse realmente rappresentativa di tutte le fasce di popolazione. Ma le nuove generazioni sono assenti, questa dei nostri giorni è una “gerontocrazia”!! da una ricerca promossa dal Forum Nazionale Giovani risulta che l’età media dei parlamentari italiani è circa di 54 anni, è desolante, non esiste ricambio generazionale. E’ importante far tesoro dell’esperienza di chi ha 60 anni oggi, ma questa saggezza dev’essere confrontata e fusa con le nostre idee nuove, ma questo non accade purtroppo quasi mai (e si rischia la stagnazione!).
Le istituzioni DEVONO DEVONO DEVONO cedere quote di sovranità alle giovani generazioni, perlomeno per quanto concerne le decisioni che le riguardano da vicino, e questa cosa raramente viene capita.
Per questo motivo è nato (sta nascendo) il Forum Regionale Giovani piemontese (www.gruppoforumgiovanipiemonte.it)
Davanti all'inerzia generale, prima 5, poi 10, dopo ancora 15 associazioni si sono autoconvocate.
Ora siamo 80 associazioni a livello regionale, rappresentantive sia delle comunità montane, sia delle piccole cittadine, sia delle 8 province piemontesi. Grandi e piccole associazioni, satelliti di organizzazioni nazionali e realtà comunali, che lavorano dal volontariato al teatro, dalla mobilità internazionale alla formazione.
Il gruppo promotore ha lavorato un anno e mezzo e ora, tra poche settimane, l'organismo verrà istituito da noi tutti delle associazioni, e, sembra, verrà riconosciuto quasi “a forza” dalle istituzioni pubbliche.
Per forza dovrà essere riconosciuto: siamo rappresentativi, veramente. siamo interessati ai valori che portiamo. siamo una forza politicamente trasversale. conosciamo esattamente i nostri pensieri, la nostra creatività, i punti di eccellenza di ognuna delle associazioni con cui partecipiamo. siamo indipendenti dalla politica!
conosciamo i nostri bisogni, le nostre esigenze!
chi meglio di noi può interrogarsi sulle politiche giovanili, chi meglio di noi può essere ascoltato in merito alle leggi da attuare che si occupino di giovani (dai 18 ai 35 anni secondo lo standard europeo)????
il Forum Regionale dei Giovani sta funzionando proprio per il fatto che è un meccanismo nato "dal basso", dai giovani stessi, dalle loro preoccupazioni, dai loro credo, dalle loro posizioni e dalle loro aspettative.
c'è chi invece come qualche politico locale (un vicepresidente della regione piemonte ad esempio) che ritiene che lo strumento della Consulta Regionale dei Giovani sia l'organismo migliore per parlare di giovani.
ma come? il presidente è di diritto un politico, quindi legato agli interessi di partito, legato ad un'ideologia politica e vicepresidente del consiglio regionale. nella scorsa legislatura aveva 45 anni, in questa ne ha 55... non è giovane!!
la consulta rappresenta a mala pena 10 associazioni (molte delle quali già all'interno del Forum), un consigliere regionale per ogni gruppo consiliare e un giovane (non eletto, ma designato!!) dai gruppi consiliari.
come fa una macchina burocratica e burocratizzante a parlare, a discutere con i giovani?
come fa un elefante vecchio ad essere l'interlocutore del Consiglio Regionale in merito ai piani triennali e alle leggi sui giovani quando non è rappresentativo?
in ultimo, il paradosso: per legge la consulta può essere consultata (e il parere non è neanche vincolante) solamente per le leggi che riguardano l'assessorato alla cultura!! conseguenza devastante e fuori da ogni logica è che quando l'assessorato al lavoro discuta di una legge in merito all'apprendistato o l'assessorato all'edilizia discuta di legislazione legata alla prima casa e agli affiti, i giovani non abbiano un'opportunità per far sentire la propria voce!!!
morale: le vere esigenze dei giovani sono messi dietro ad un politico che ha bisogno di un fondo di bilancio per foraggiare la sua base elettorale, per pagare le cambiali in bianco firmate durante la sua campagna elettorale, che "ha necessità" di mantenere invariate le sue prerogative, anche quando queste non siano utili e seguano il bene comune!
basta parlare di giovani solo quando si leghi la posizione a problematica giovanile (droga, alcool, prevenzione)!
basta ostacolare i giovani perchè si ha paura di perdere la propria poltrona!
i giovani devono essere visti come una risorsa per la propria azienda, per il proprio territorio, per il proprio Stato!
valorizziamo il capitale umano che abbiamo... i giovani sono la nostra ricchezza!
see u,
Giangiacomo
Sussidiarietà questa sconosciuta.
In molti si chiedono cosa sia, un termine che appare dagli anni '90 sulle bocche di tutte, sugli articoli di molti, in ogni testo dell'Unione Europea e del Parlamento di Bruxelles...
dagli esempi si capisce meglio.
poniamo l’attenzione sulla “partecipazione”. I politici dicono “io sono eletto, io decido”. E’ vero, non è giusto depauperare chi quel potere decisionale se l’è sudato, ma questo sarebbe giusto se la classe politica fosse realmente rappresentativa di tutte le fasce di popolazione. Ma le nuove generazioni sono assenti, questa dei nostri giorni è una “gerontocrazia”!! da una ricerca promossa dal Forum Nazionale Giovani risulta che l’età media dei parlamentari italiani è circa di 54 anni, è desolante, non esiste ricambio generazionale. E’ importante far tesoro dell’esperienza di chi ha 60 anni oggi, ma questa saggezza dev’essere confrontata e fusa con le nostre idee nuove, ma questo non accade purtroppo quasi mai (e si rischia la stagnazione!).
Le istituzioni DEVONO DEVONO DEVONO cedere quote di sovranità alle giovani generazioni, perlomeno per quanto concerne le decisioni che le riguardano da vicino, e questa cosa raramente viene capita.
Per questo motivo è nato (sta nascendo) il Forum Regionale Giovani piemontese (www.gruppoforumgiovanipiemonte.it)
Davanti all'inerzia generale, prima 5, poi 10, dopo ancora 15 associazioni si sono autoconvocate.
Ora siamo 80 associazioni a livello regionale, rappresentantive sia delle comunità montane, sia delle piccole cittadine, sia delle 8 province piemontesi. Grandi e piccole associazioni, satelliti di organizzazioni nazionali e realtà comunali, che lavorano dal volontariato al teatro, dalla mobilità internazionale alla formazione.
Il gruppo promotore ha lavorato un anno e mezzo e ora, tra poche settimane, l'organismo verrà istituito da noi tutti delle associazioni, e, sembra, verrà riconosciuto quasi “a forza” dalle istituzioni pubbliche.
Per forza dovrà essere riconosciuto: siamo rappresentativi, veramente. siamo interessati ai valori che portiamo. siamo una forza politicamente trasversale. conosciamo esattamente i nostri pensieri, la nostra creatività, i punti di eccellenza di ognuna delle associazioni con cui partecipiamo. siamo indipendenti dalla politica!
conosciamo i nostri bisogni, le nostre esigenze!
chi meglio di noi può interrogarsi sulle politiche giovanili, chi meglio di noi può essere ascoltato in merito alle leggi da attuare che si occupino di giovani (dai 18 ai 35 anni secondo lo standard europeo)????
il Forum Regionale dei Giovani sta funzionando proprio per il fatto che è un meccanismo nato "dal basso", dai giovani stessi, dalle loro preoccupazioni, dai loro credo, dalle loro posizioni e dalle loro aspettative.
c'è chi invece come qualche politico locale (un vicepresidente della regione piemonte ad esempio) che ritiene che lo strumento della Consulta Regionale dei Giovani sia l'organismo migliore per parlare di giovani.
ma come? il presidente è di diritto un politico, quindi legato agli interessi di partito, legato ad un'ideologia politica e vicepresidente del consiglio regionale. nella scorsa legislatura aveva 45 anni, in questa ne ha 55... non è giovane!!
la consulta rappresenta a mala pena 10 associazioni (molte delle quali già all'interno del Forum), un consigliere regionale per ogni gruppo consiliare e un giovane (non eletto, ma designato!!) dai gruppi consiliari.
come fa una macchina burocratica e burocratizzante a parlare, a discutere con i giovani?
come fa un elefante vecchio ad essere l'interlocutore del Consiglio Regionale in merito ai piani triennali e alle leggi sui giovani quando non è rappresentativo?
in ultimo, il paradosso: per legge la consulta può essere consultata (e il parere non è neanche vincolante) solamente per le leggi che riguardano l'assessorato alla cultura!! conseguenza devastante e fuori da ogni logica è che quando l'assessorato al lavoro discuta di una legge in merito all'apprendistato o l'assessorato all'edilizia discuta di legislazione legata alla prima casa e agli affiti, i giovani non abbiano un'opportunità per far sentire la propria voce!!!
morale: le vere esigenze dei giovani sono messi dietro ad un politico che ha bisogno di un fondo di bilancio per foraggiare la sua base elettorale, per pagare le cambiali in bianco firmate durante la sua campagna elettorale, che "ha necessità" di mantenere invariate le sue prerogative, anche quando queste non siano utili e seguano il bene comune!
basta parlare di giovani solo quando si leghi la posizione a problematica giovanile (droga, alcool, prevenzione)!
basta ostacolare i giovani perchè si ha paura di perdere la propria poltrona!
i giovani devono essere visti come una risorsa per la propria azienda, per il proprio territorio, per il proprio Stato!
valorizziamo il capitale umano che abbiamo... i giovani sono la nostra ricchezza!
see u,
Giangiacomo
giovedì 18 gennaio 2007
Il perchè l'Italia non combatterà mai veramente l'evasione fiscale...
Le "risorse proprie" della UE
Il bilancio della CE è ora interamente finanziato da risorse proprie.
Nonostante i termini possono indurre a far pensare il contrario, queste risorse non sono deliberate dagli organi comunitari, ma dagli Stati membri, con decisioni che devono essere poi ratificate secondo le procedure che le norme costituzionali rispettive prevedono.
Si tratta, quindi, di decisioni improprie, che sono in realtà degli accordi fra gli Stati membri.
Il regime attuale delle risorse proprie della CE risulta da una di tali decisioni e precisamente la decisione del Consiglio n. 94/728 del 31 Ottobre 1994, la quale definisce come risorse proprie le seguenti:
- prelievi agricoli imposti a carico degli importatori da paesi terzi, essenzialmente per proteggere le produzioni agricole comunitarie
- i dazi riscossi secondo la tariffa doganale comune, istituita nel quadro dell'unione doganale instaurata all'interno del mercato comune
proprio per quest'ultimo motivo, per il fatto che ogni anno l'Italia deve "consegnare" a Bruxelles una bella fetta di incasso erariale, secondo voi, lo stato italiano farà mai qualcosa per arginare il male intestino dell'evasione fiscale?
il ragionamento dello Stato, burocratico rigido e pesante così come quello che ci ritroviamo, è semplice: "molto meglio che, se qualcuno evade, evada tranquillo. meno soldi diamo all'unione europea, più soldi restano in italia e verranno comunque spesi"
è un circolo vizioso
ne usciamo? ne usciremo?!?
see u,
Giangiacomo
Il bilancio della CE è ora interamente finanziato da risorse proprie.
Nonostante i termini possono indurre a far pensare il contrario, queste risorse non sono deliberate dagli organi comunitari, ma dagli Stati membri, con decisioni che devono essere poi ratificate secondo le procedure che le norme costituzionali rispettive prevedono.
Si tratta, quindi, di decisioni improprie, che sono in realtà degli accordi fra gli Stati membri.
Il regime attuale delle risorse proprie della CE risulta da una di tali decisioni e precisamente la decisione del Consiglio n. 94/728 del 31 Ottobre 1994, la quale definisce come risorse proprie le seguenti:
- prelievi agricoli imposti a carico degli importatori da paesi terzi, essenzialmente per proteggere le produzioni agricole comunitarie
- i dazi riscossi secondo la tariffa doganale comune, istituita nel quadro dell'unione doganale instaurata all'interno del mercato comune
- un'aliquota, da fissarsi anno per anno, sull'importo del prodotto nazionale lordo di ciascuono Stato membro
- una percentuale aggiuntiva sull'imponibile IVA degli Stati membri, determinato in modo uniforme secondo regole comunitarieproprio per quest'ultimo motivo, per il fatto che ogni anno l'Italia deve "consegnare" a Bruxelles una bella fetta di incasso erariale, secondo voi, lo stato italiano farà mai qualcosa per arginare il male intestino dell'evasione fiscale?
il ragionamento dello Stato, burocratico rigido e pesante così come quello che ci ritroviamo, è semplice: "molto meglio che, se qualcuno evade, evada tranquillo. meno soldi diamo all'unione europea, più soldi restano in italia e verranno comunque spesi"
è un circolo vizioso
ne usciamo? ne usciremo?!?
see u,
Giangiacomo
martedì 16 gennaio 2007
La presentazione video della "mia" TORINO
Splendido!!
dedicate 2 minuti alla grande Torino e a come è pubblicizzata nel mondo...
http://video.google.it/videoplay?docid=8701642437321701304&q=type%
promuoviamo l'immagine della nostra città!
see u,
Giangiacomo
dedicate 2 minuti alla grande Torino e a come è pubblicizzata nel mondo...
http://video.google.it/videoplay?docid=8701642437321701304&q=type%
promuoviamo l'immagine della nostra città!
see u,
Giangiacomo
domenica 14 gennaio 2007
Il comunismo nell'economia nel 2007? E' realtà!!
PIEMONTE 2007 = RUSSIA 1950
dicevano che il comunismo era morto!
dicevano e dicono che loro, i DS, non sono comunisti!!
i cattocomunisti della margherita dicono di perseguire politiche derivanti dalla dottrina sociale della chiesa...
non è proprio così...
se avete studiato Marx, se avete studiato la Russia di Stalin, saprete bene che tipo di economia ipotizzavano i nostri amici rossi...
l'identica ideologia sta trasformando le azioni politiche della nostra amata Regione Piemonte comandata dalla zarina Bresso, uno scandalo!!
visto la crisi dell'indotto automotive (Pininfarina, Bertone, Ergom) su tutte, la Regione ha pensato ad un fondo speciale per supportare le aziende in crisi.l'obiettivo? ... Entrare all'interno delle società, degli organi direttivi, avere quote partecipative e scegliere i manager!!!!
Articolo di Pier Paolo Luciano, pubblicato su La Repubblica, Piemonte Economia, 11 Gennaio 2007
L´indotto auto va male ? Un fondo in soccorso Promosso dalla Regione, ha nella Fiat e negli enti locali altri soci sicuri: 70-80 milioni il capitale iniziale
Nei giorni del rilancio Fiat, un´ombra si allunga sull´indotto auto torinese. Non sta bene, l´automotive sotto la Mole. In alcuni casi ha la febbre alta, in altri la situazione è dipinta quasi come disperata. Ma ora forse la Regione ha trovato la medicina giusta. Si chiama fondo per l´indotto, avrà un capitale iniziale di 70-80 milioni di euro e due soci sicuri: gli enti locali e la Fiat. Ma è un fondo aperto e dunque cercherà nuovi soci anche tra le fondazioni bancarie e privati. Non necessariamente del Piemonte. Per questo domani - nello steering committer che dovrebbe vararlo - si discuterà probabilmente anche delle tappe di un road show per presentarlo. «A monte c´è un ragionamento politico - spiega l´assessore regionale Andrea Bairati -. In Piemonte e non solo nell´automotive, direi, in un po´ tutti i settori, ci sono aziende che passate attraverso vari cicli di ristrutturazione, mantengono ancora un certo appeal industriale, sono, in altre parole, ancora capaci di correre. Ma hanno un fardello, quello dei debiti, che le costringe a muoversi con un macigno sulle spalle. Facile immaginare il risultato. Servono allora strumenti per alleggerire il debito e farle ripartire».Tecnicamente, dovrebbe funzionare così. Il fondo entra nel capitale della società da risollevare, mette i soldi necessari per conquistare il controllo finanziario e nomina il management. Inizialmente si punterà sui fornitori di primo livello dell´industria automobilistica. Una delle cinque-sei grosse aziende per le quali si ipotizza il ricorso al nuovo strumento finanziario sarebbe la Ergom di Franco Cimminelli, ex patron del Toro calcio, uno dei principali fornitori di Fiat per quanto riguarda le plance. Un altro caso potrebbe essere Bertone. Già, Bertone. Uno dei tre grandi marchi della carrozzeria torinese che però rischia di chiudere se non ottiene in fretta una commessa. Ma neanche gli altri due se la passano troppo bene. Pininfarina ha le commesse però anche qualche guaio finanziario, Giugiaro, si dice tra "gli addetti ai lavori", «vivacchia» (ha appena messo in cassa 500 dei mille dipendenti della sezione engineering, quella che più soffre la concorrenza dell´Est e asiatico). Sul fronte del design non ci sono problemi: né per Pininfarina, né per Giugiaro. La loro capacità creativa è la miglior polizza contro qualsiasi crisi. La parte di ingegneria, invece, è quella più esposta. Facile a intuirsi: mentre la carrozzeria è sotto gli occhi di tutti e le differenze vengono subito in risalto, quel che c´è dentro e sotto un´auto è meno visibile. L´unica soluzione per stare al passo con la concorrenza in questo caso è garantire la "prossimità": ed è ciò che ha fatto Pininfarina, aprendo studi di ingegneria in Germania e in Francia (grazie alla compartecipata Matra) vicini alle case automobilistiche tedesche e transalpine. Di fronte alle difficoltà che toccano anche i big dell´indotto c´è chi come Giorgio Airaudo, segretario della Fiom torinese, ha ipotizzato di riunire sotto un unico tetto Pininfarina, Bertone e Giugiaro «per trasformare tre debolezze in un punto di forza». Ma tra gli addetti ai lavori l´idea piace poco: «I tre marchi insieme? È un po´ come mettere nello stesso piatto cavolfiori, banane e zucchine». E in effetti c´è una logica che guida in chi dissente. Pininfarina e Bertone coprono tutte le fasi di una lavorazione: dal designer al manufacturing passando per l´engineering. Ma le assonanze finiscono qui: e Giugiaro, rispetto alle due concorrenti, non ha produzione. Non solo: sono differenti anche i problemi e le soluzioni. Per Pininfarina, per esempio, il periodo peggiore sembra passato. Almeno stando a due segnali non proprio secondari che arrivano dal mercato: il fondo Azimut ha raddoppiato la sua quota nell´azienda di Cambiano e Caboto, in un recente report - citato sull´ultimo numero di "Automotive news Europe" - si dice ottimista sulla ripresa dell´azienda. D´altronde Andrea Pininfarina e i suoi collaboratori hanno già varato le contromosse: cambio del management (è arrivato come direttore generale un esperto di automotive), tagli degli addetti (la forza lavoro è stata ridotta di un dieci per cento su 3200 dipendenti complessivi) e sono stati risolti anche i problemi sulla Spider Alfa Romeo che all´inizio avevano irritato Marchionne. Così il gruppo ipotizza nel 2008 un fatturato di almeno un miliardo di euro e 60mila auto prodotte: dalla Spider e la Brera per l´Alfa Romeo - destinate al mercato americano con la quasi certezza che si allungano i tempi di produzione e i volumi - alla Volvo C70 (prodotta nello stabilimento svedese di Uddevalla) che incontra favori sul mercato statunitense alla Ford Focus Coupé Cabriolet, che si prepara a sbarcare sul mercato australiano, alla Maserati. Per Bertone, invece, il lavoro non c´è. A meno che la Fiat non si decida a concedere alla carrozzeria di Grugliasco la produzione del Lancia coupé. Marchionne ne ha parlato con Bresso proprio nel giorno in cui i lavoratori della Bertone manifestavano sotto i portici del palazzo regionale per chiedere garanzie sul loro futuro. E allora il fondo arriverebbe al momento giusto: potrebbe consentire di creare una newco - di cui facciano parte dunque anche gli enti locali - che utilizzi gli impianti della società e che possa contare su un management capace di traghettare lo storico marchio fuori dalla crisi. Altrimenti il rimpianto per il no all´ex amministratore delegato di Fiat Auto Herbert Demel che voleva fare della Bertone l´appendice italiana dell´austriaca Magna Steyr sarà più grande.
Allucinante!
see u,
Giangiacomo
dicevano che il comunismo era morto!
dicevano e dicono che loro, i DS, non sono comunisti!!
i cattocomunisti della margherita dicono di perseguire politiche derivanti dalla dottrina sociale della chiesa...
non è proprio così...
se avete studiato Marx, se avete studiato la Russia di Stalin, saprete bene che tipo di economia ipotizzavano i nostri amici rossi...
l'identica ideologia sta trasformando le azioni politiche della nostra amata Regione Piemonte comandata dalla zarina Bresso, uno scandalo!!
visto la crisi dell'indotto automotive (Pininfarina, Bertone, Ergom) su tutte, la Regione ha pensato ad un fondo speciale per supportare le aziende in crisi.l'obiettivo? ... Entrare all'interno delle società, degli organi direttivi, avere quote partecipative e scegliere i manager!!!!
Articolo di Pier Paolo Luciano, pubblicato su La Repubblica, Piemonte Economia, 11 Gennaio 2007
L´indotto auto va male ? Un fondo in soccorso Promosso dalla Regione, ha nella Fiat e negli enti locali altri soci sicuri: 70-80 milioni il capitale iniziale
Nei giorni del rilancio Fiat, un´ombra si allunga sull´indotto auto torinese. Non sta bene, l´automotive sotto la Mole. In alcuni casi ha la febbre alta, in altri la situazione è dipinta quasi come disperata. Ma ora forse la Regione ha trovato la medicina giusta. Si chiama fondo per l´indotto, avrà un capitale iniziale di 70-80 milioni di euro e due soci sicuri: gli enti locali e la Fiat. Ma è un fondo aperto e dunque cercherà nuovi soci anche tra le fondazioni bancarie e privati. Non necessariamente del Piemonte. Per questo domani - nello steering committer che dovrebbe vararlo - si discuterà probabilmente anche delle tappe di un road show per presentarlo. «A monte c´è un ragionamento politico - spiega l´assessore regionale Andrea Bairati -. In Piemonte e non solo nell´automotive, direi, in un po´ tutti i settori, ci sono aziende che passate attraverso vari cicli di ristrutturazione, mantengono ancora un certo appeal industriale, sono, in altre parole, ancora capaci di correre. Ma hanno un fardello, quello dei debiti, che le costringe a muoversi con un macigno sulle spalle. Facile immaginare il risultato. Servono allora strumenti per alleggerire il debito e farle ripartire».Tecnicamente, dovrebbe funzionare così. Il fondo entra nel capitale della società da risollevare, mette i soldi necessari per conquistare il controllo finanziario e nomina il management. Inizialmente si punterà sui fornitori di primo livello dell´industria automobilistica. Una delle cinque-sei grosse aziende per le quali si ipotizza il ricorso al nuovo strumento finanziario sarebbe la Ergom di Franco Cimminelli, ex patron del Toro calcio, uno dei principali fornitori di Fiat per quanto riguarda le plance. Un altro caso potrebbe essere Bertone. Già, Bertone. Uno dei tre grandi marchi della carrozzeria torinese che però rischia di chiudere se non ottiene in fretta una commessa. Ma neanche gli altri due se la passano troppo bene. Pininfarina ha le commesse però anche qualche guaio finanziario, Giugiaro, si dice tra "gli addetti ai lavori", «vivacchia» (ha appena messo in cassa 500 dei mille dipendenti della sezione engineering, quella che più soffre la concorrenza dell´Est e asiatico). Sul fronte del design non ci sono problemi: né per Pininfarina, né per Giugiaro. La loro capacità creativa è la miglior polizza contro qualsiasi crisi. La parte di ingegneria, invece, è quella più esposta. Facile a intuirsi: mentre la carrozzeria è sotto gli occhi di tutti e le differenze vengono subito in risalto, quel che c´è dentro e sotto un´auto è meno visibile. L´unica soluzione per stare al passo con la concorrenza in questo caso è garantire la "prossimità": ed è ciò che ha fatto Pininfarina, aprendo studi di ingegneria in Germania e in Francia (grazie alla compartecipata Matra) vicini alle case automobilistiche tedesche e transalpine. Di fronte alle difficoltà che toccano anche i big dell´indotto c´è chi come Giorgio Airaudo, segretario della Fiom torinese, ha ipotizzato di riunire sotto un unico tetto Pininfarina, Bertone e Giugiaro «per trasformare tre debolezze in un punto di forza». Ma tra gli addetti ai lavori l´idea piace poco: «I tre marchi insieme? È un po´ come mettere nello stesso piatto cavolfiori, banane e zucchine». E in effetti c´è una logica che guida in chi dissente. Pininfarina e Bertone coprono tutte le fasi di una lavorazione: dal designer al manufacturing passando per l´engineering. Ma le assonanze finiscono qui: e Giugiaro, rispetto alle due concorrenti, non ha produzione. Non solo: sono differenti anche i problemi e le soluzioni. Per Pininfarina, per esempio, il periodo peggiore sembra passato. Almeno stando a due segnali non proprio secondari che arrivano dal mercato: il fondo Azimut ha raddoppiato la sua quota nell´azienda di Cambiano e Caboto, in un recente report - citato sull´ultimo numero di "Automotive news Europe" - si dice ottimista sulla ripresa dell´azienda. D´altronde Andrea Pininfarina e i suoi collaboratori hanno già varato le contromosse: cambio del management (è arrivato come direttore generale un esperto di automotive), tagli degli addetti (la forza lavoro è stata ridotta di un dieci per cento su 3200 dipendenti complessivi) e sono stati risolti anche i problemi sulla Spider Alfa Romeo che all´inizio avevano irritato Marchionne. Così il gruppo ipotizza nel 2008 un fatturato di almeno un miliardo di euro e 60mila auto prodotte: dalla Spider e la Brera per l´Alfa Romeo - destinate al mercato americano con la quasi certezza che si allungano i tempi di produzione e i volumi - alla Volvo C70 (prodotta nello stabilimento svedese di Uddevalla) che incontra favori sul mercato statunitense alla Ford Focus Coupé Cabriolet, che si prepara a sbarcare sul mercato australiano, alla Maserati. Per Bertone, invece, il lavoro non c´è. A meno che la Fiat non si decida a concedere alla carrozzeria di Grugliasco la produzione del Lancia coupé. Marchionne ne ha parlato con Bresso proprio nel giorno in cui i lavoratori della Bertone manifestavano sotto i portici del palazzo regionale per chiedere garanzie sul loro futuro. E allora il fondo arriverebbe al momento giusto: potrebbe consentire di creare una newco - di cui facciano parte dunque anche gli enti locali - che utilizzi gli impianti della società e che possa contare su un management capace di traghettare lo storico marchio fuori dalla crisi. Altrimenti il rimpianto per il no all´ex amministratore delegato di Fiat Auto Herbert Demel che voleva fare della Bertone l´appendice italiana dell´austriaca Magna Steyr sarà più grande.
Allucinante!
see u,
Giangiacomo
La parola ai giovani
pochi giorni fa, 28 Dicembre 2006, è stato pubblicato un editoriale su La Stampa a firma di Tito Boeri.
(brevi cenni su Tito Boeri: ha ottenuto il Ph.D. in Economia presso la New York University, è stato senior economist all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) dal 1987 al 1996. E' stato consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell'Ufficio Internazionale del Lavoro. E' direttore di un corso di laurea presso l'Università Bocconi di Milano dove insegna Economia del Lavoro. E' Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti e collabora con La Stampa. E' fondatore dell' economic policy watchdog website www.lavoce.info)
impressionante... negativamente! da una parte è un paradosso che un "vecchio" (non so quanti anni possa avere, ma sicuramente oltre 35, il limite europeo x essere ritenuti giovani) indichi la strada ai giovani e non siano i giovani ad averla avviata e un giornalista a riprenderla successivamente.
in secondo luogo, è proprio vero che i giovani non siano interessati, non si rendano conto di essere tessuto della società civile.c i sono poche, pochissime eccezioni di giovani interessati al mondo della politica, del volontariato, dell'associazionismo. pochissimi i giovani che davanti all'inerzia generale, si autoconvocano e cerchino di costruire piattaforme concrete per farsi ascoltare e vedere.
da qualche settimana, è all'ordine del giorno la riforma delle pensioni.
posto che il sottoscritto sia a favore di una riforma (i termini e le condizioni non sono da disquisire in tale sede), ma caspita, ai giovani verrà ridotta in modo netto, il governo e il parlamento non ha contattato nessun nostro rappresentante per essere ascoltati e per consultarci, noi stessi pagheremo la pensione a coloro che lavorano da almeno 10 anni fino ai nostri genitori e nonni e... nulla? assenza completa?
nessuno striscione? fiaccolata? manifestazione? mobilitazione? ci facciamo usare? rimaniamo passivi??
io non ci sto.
scusatemi, ma io non mi faccio prendere in giro.
sto pensando e organizzando qualcosa...
se avete voglia/interesse, fatevi sentire.
facciamoci sentire!
Editoriale di Tito Boeri, pubblicato su La Stampa il 28 Dicembre 2006
La parola ai giovani
Ieri il governo ha abrogato con decreto una norma votata dal Parlamento meno di una settimana fa e non ancora entrata in vigore. Al di là del contenuto censurabile del comma 1343 sulla sanatoria degli illeciti contabili, non è certo un bel precedente. Nei prossimi mesi l’esecutivo dovrà cimentarsi in una correzione in corso d’opera ancora più impegnativa: modificare una legge che è già in vigore, ma che avrà effetto solo fra 12 mesi perché graziosamente tramandata ai posteri dal governo Berlusconi. Si tratta del cosiddetto scalone introdotto dalla riforma Maroni-Tremonti, quello che porterebbe in una sola notte, quella del Capodanno 2008, ad alzare di ben 3 anni i requisiti contributivi necessari per accedere alle pensioni di anzianità per tre generazioni di lavoratori.Il governo in carica si è impegnato con gli elettori ad abolire lo scalone, ma, al tempo stesso, non può permettersi di cancellare i risparmi di spesa che proprio lo scalone consente. Sarebbe come buttare via l’unico vero risultato portato a casa con la Finanziaria appena varata, il ritorno a un deficit strutturale al di sotto del 3 per cento del Pil. Per abolire lo scalone senza rinunciare ai suoi effetti sul bilancio 2008 occorreva anticipare gli interventi sulle pensioni al Capodanno 2007. Ora che si è all’ombra dello scalone, è quasi impossibile ottenere gli stessi risparmi con interventi più graduali, più efficaci e meno iniqui.C’è un solo modo con cui il governo può superare questa difficile prova. Deve riuscire a varare la riforma definitiva, l’ultima riforma delle pensioni, quella che completerà la lunga stagione delle riforme previdenziali iniziata 15 anni fa. Se riuscirà in questo compito il governo sgombrerà le menti di molti dal tormentone che da tempo fa loro passare notti insonni. E oltre alla riconoscenza degli italiani, potrà trarne benefici nell’arco della legislatura in termini di maggiore crescita, quella derivante dall’allungamento della vita lavorativa di chi è maggiormente produttivo. È possibile con una riforma definitiva ottenere, in valore atteso, risparmi ben più consistenti di quelli dello scalone Maroni-Tremonti, senza violare il patto intergenerazionale su cui si regge il sistema previdenziale pubblico, anzi rendendolo più sostenibile. Bisogna però saper guardare in là, anticipando l’entrata in vigore delle regole di calcolo della pensione che varranno per chi ha iniziato a lavorare negli ultimi 10 anni e introducendo automatismi, regole contingenti, che rendano inutili nuovi interventi d’imperio dell’autorità pubblica, per compensare gli effetti di andamenti demografici ed economici imprevisti. Tre interventi, in particolare, sono indispensabili per raggiungere questo risultato.La prima misura è l’aggiornamento e la revisione automatica dei cosiddetti coefficienti di trasformazione. Quando si va in pensione, questi coefficienti convertono il montante di contributi accumulati durante la vita lavorativa in prestazioni annuali. Il coefficiente tiene conto (è decrescente) della speranza di vita perché una vita attesa più lunga implica che le prestazioni devono essere versate per più tempo. Si tratta ora non solo di aggiornare i coefficienti in linea con le raccomandazioni del nucleo di valutazione della spesa previdenziale, ma anche di rendere le revisioni automatiche in base agli aggiornamenti delle tavole di mortalità compilate dall’Istat. Questo eviterebbe di intervenire sempre in ritardo (e a danno dei lavoratori più giovani) nell’adeguare il sistema previdenziale alla dinamica demografica.La seconda misura è l’introduzione di riduzioni attuariali (i cosiddetti disincentivi) per chi va in pensione prima del raggiungimento di una soglia di età che dovrà avvicinarsi rapidamente ai 65 anni. Si tratta, in altre parole, di permettere all’Inps di liquidare, in valore attuale, lo stesso importo a chi va in pensione prima e a chi va in pensione a 65 anni, impedendo che chi lavora più a lungo sia, come oggi, penalizzato. Anche in questo caso si tratta di una riforma che porta ad armonizzare i trattamenti fra generazioni successive di pensionandi, evitando le attuali odiose disparità di trattamento a svantaggio dei lavoratori più giovani. Applicata alla sola parte retributiva delle pensioni, questa misura porterebbe a risparmi dell’ordine di un quarto di punto di Pil ogni anno, con un risparmio cumulato che supererebbe quello previsto dalla riforma Tremonti-Maroni. La terza misura è l’introduzione di un sistema di rendicontazione dei diritti previdenziali acquisiti uguale a quello introdotto dalle cosiddette «buste arancione» in Svezia, per cui ogni contribuente è informato ogni anno, in maniera chiara e tempestiva, sulla propria situazione previdenziale in termini di versamenti effettuati e di probabile pensione futura. Questo sistema sarà utilissimo anche nel promuovere il decollo della previdenza integrativa nell’operazione di smobilizzo del Tfr perché permetterà ai lavoratori di meglio valutare di quanto debbano cercare di integrare gli accantonanti all’Inps per assicurarsi un adeguato tenore di vita quando andranno in pensione.Non è certo difficile mostrarsi più lungimiranti del governo della passata legislatura. Ma anche questo esecutivo deve fare i conti con una classe politica e con rappresentanze sociali che hanno orizzonti cortissimi. Lo stesso scalone, accettato quasi senza colpo ferire due anni fa e ora al centro delle rivendicazioni del sindacato, è la controprova di questa acuta miopia. Se il governo vuole davvero allungare gli orizzonti delle sue decisioni su temi che riguarderanno le generazioni future dovrebbe cominciare dall’invitare al tavolo del confronto chi potrà maggiormente beneficiare dalle riforme, a partire dalle rappresentanze degli studenti universitari (ad esempio il Cnsu) e di quelli delle scuole secondarie. Saranno loro i futuri lavoratori, quelli che pagheranno le nostre pensioni. Non possono non avere voce in capitolo.
see u,
Giangiacomo
(brevi cenni su Tito Boeri: ha ottenuto il Ph.D. in Economia presso la New York University, è stato senior economist all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) dal 1987 al 1996. E' stato consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell'Ufficio Internazionale del Lavoro. E' direttore di un corso di laurea presso l'Università Bocconi di Milano dove insegna Economia del Lavoro. E' Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti e collabora con La Stampa. E' fondatore dell' economic policy watchdog website www.lavoce.info)
impressionante... negativamente! da una parte è un paradosso che un "vecchio" (non so quanti anni possa avere, ma sicuramente oltre 35, il limite europeo x essere ritenuti giovani) indichi la strada ai giovani e non siano i giovani ad averla avviata e un giornalista a riprenderla successivamente.
in secondo luogo, è proprio vero che i giovani non siano interessati, non si rendano conto di essere tessuto della società civile.c i sono poche, pochissime eccezioni di giovani interessati al mondo della politica, del volontariato, dell'associazionismo. pochissimi i giovani che davanti all'inerzia generale, si autoconvocano e cerchino di costruire piattaforme concrete per farsi ascoltare e vedere.
da qualche settimana, è all'ordine del giorno la riforma delle pensioni.
posto che il sottoscritto sia a favore di una riforma (i termini e le condizioni non sono da disquisire in tale sede), ma caspita, ai giovani verrà ridotta in modo netto, il governo e il parlamento non ha contattato nessun nostro rappresentante per essere ascoltati e per consultarci, noi stessi pagheremo la pensione a coloro che lavorano da almeno 10 anni fino ai nostri genitori e nonni e... nulla? assenza completa?
nessuno striscione? fiaccolata? manifestazione? mobilitazione? ci facciamo usare? rimaniamo passivi??
io non ci sto.
scusatemi, ma io non mi faccio prendere in giro.
sto pensando e organizzando qualcosa...
se avete voglia/interesse, fatevi sentire.
facciamoci sentire!
Editoriale di Tito Boeri, pubblicato su La Stampa il 28 Dicembre 2006
La parola ai giovani
Ieri il governo ha abrogato con decreto una norma votata dal Parlamento meno di una settimana fa e non ancora entrata in vigore. Al di là del contenuto censurabile del comma 1343 sulla sanatoria degli illeciti contabili, non è certo un bel precedente. Nei prossimi mesi l’esecutivo dovrà cimentarsi in una correzione in corso d’opera ancora più impegnativa: modificare una legge che è già in vigore, ma che avrà effetto solo fra 12 mesi perché graziosamente tramandata ai posteri dal governo Berlusconi. Si tratta del cosiddetto scalone introdotto dalla riforma Maroni-Tremonti, quello che porterebbe in una sola notte, quella del Capodanno 2008, ad alzare di ben 3 anni i requisiti contributivi necessari per accedere alle pensioni di anzianità per tre generazioni di lavoratori.Il governo in carica si è impegnato con gli elettori ad abolire lo scalone, ma, al tempo stesso, non può permettersi di cancellare i risparmi di spesa che proprio lo scalone consente. Sarebbe come buttare via l’unico vero risultato portato a casa con la Finanziaria appena varata, il ritorno a un deficit strutturale al di sotto del 3 per cento del Pil. Per abolire lo scalone senza rinunciare ai suoi effetti sul bilancio 2008 occorreva anticipare gli interventi sulle pensioni al Capodanno 2007. Ora che si è all’ombra dello scalone, è quasi impossibile ottenere gli stessi risparmi con interventi più graduali, più efficaci e meno iniqui.C’è un solo modo con cui il governo può superare questa difficile prova. Deve riuscire a varare la riforma definitiva, l’ultima riforma delle pensioni, quella che completerà la lunga stagione delle riforme previdenziali iniziata 15 anni fa. Se riuscirà in questo compito il governo sgombrerà le menti di molti dal tormentone che da tempo fa loro passare notti insonni. E oltre alla riconoscenza degli italiani, potrà trarne benefici nell’arco della legislatura in termini di maggiore crescita, quella derivante dall’allungamento della vita lavorativa di chi è maggiormente produttivo. È possibile con una riforma definitiva ottenere, in valore atteso, risparmi ben più consistenti di quelli dello scalone Maroni-Tremonti, senza violare il patto intergenerazionale su cui si regge il sistema previdenziale pubblico, anzi rendendolo più sostenibile. Bisogna però saper guardare in là, anticipando l’entrata in vigore delle regole di calcolo della pensione che varranno per chi ha iniziato a lavorare negli ultimi 10 anni e introducendo automatismi, regole contingenti, che rendano inutili nuovi interventi d’imperio dell’autorità pubblica, per compensare gli effetti di andamenti demografici ed economici imprevisti. Tre interventi, in particolare, sono indispensabili per raggiungere questo risultato.La prima misura è l’aggiornamento e la revisione automatica dei cosiddetti coefficienti di trasformazione. Quando si va in pensione, questi coefficienti convertono il montante di contributi accumulati durante la vita lavorativa in prestazioni annuali. Il coefficiente tiene conto (è decrescente) della speranza di vita perché una vita attesa più lunga implica che le prestazioni devono essere versate per più tempo. Si tratta ora non solo di aggiornare i coefficienti in linea con le raccomandazioni del nucleo di valutazione della spesa previdenziale, ma anche di rendere le revisioni automatiche in base agli aggiornamenti delle tavole di mortalità compilate dall’Istat. Questo eviterebbe di intervenire sempre in ritardo (e a danno dei lavoratori più giovani) nell’adeguare il sistema previdenziale alla dinamica demografica.La seconda misura è l’introduzione di riduzioni attuariali (i cosiddetti disincentivi) per chi va in pensione prima del raggiungimento di una soglia di età che dovrà avvicinarsi rapidamente ai 65 anni. Si tratta, in altre parole, di permettere all’Inps di liquidare, in valore attuale, lo stesso importo a chi va in pensione prima e a chi va in pensione a 65 anni, impedendo che chi lavora più a lungo sia, come oggi, penalizzato. Anche in questo caso si tratta di una riforma che porta ad armonizzare i trattamenti fra generazioni successive di pensionandi, evitando le attuali odiose disparità di trattamento a svantaggio dei lavoratori più giovani. Applicata alla sola parte retributiva delle pensioni, questa misura porterebbe a risparmi dell’ordine di un quarto di punto di Pil ogni anno, con un risparmio cumulato che supererebbe quello previsto dalla riforma Tremonti-Maroni. La terza misura è l’introduzione di un sistema di rendicontazione dei diritti previdenziali acquisiti uguale a quello introdotto dalle cosiddette «buste arancione» in Svezia, per cui ogni contribuente è informato ogni anno, in maniera chiara e tempestiva, sulla propria situazione previdenziale in termini di versamenti effettuati e di probabile pensione futura. Questo sistema sarà utilissimo anche nel promuovere il decollo della previdenza integrativa nell’operazione di smobilizzo del Tfr perché permetterà ai lavoratori di meglio valutare di quanto debbano cercare di integrare gli accantonanti all’Inps per assicurarsi un adeguato tenore di vita quando andranno in pensione.Non è certo difficile mostrarsi più lungimiranti del governo della passata legislatura. Ma anche questo esecutivo deve fare i conti con una classe politica e con rappresentanze sociali che hanno orizzonti cortissimi. Lo stesso scalone, accettato quasi senza colpo ferire due anni fa e ora al centro delle rivendicazioni del sindacato, è la controprova di questa acuta miopia. Se il governo vuole davvero allungare gli orizzonti delle sue decisioni su temi che riguarderanno le generazioni future dovrebbe cominciare dall’invitare al tavolo del confronto chi potrà maggiormente beneficiare dalle riforme, a partire dalle rappresentanze degli studenti universitari (ad esempio il Cnsu) e di quelli delle scuole secondarie. Saranno loro i futuri lavoratori, quelli che pagheranno le nostre pensioni. Non possono non avere voce in capitolo.
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Giangiacomo
Fiat: fine di un'avventura o ripresa con gestione all'italiana?
un articolo del 2002 di Gianluigi Da Rold intitolava...
La fine dell’avventura?
10 ottobre 2002. Il giorno più nero dell’unica grande casa automobilistica italiana.
Un “partito trasversale” per cinquant’anni al centro della vita economica e politica del Paese.
In pericolo migliaia di posti di lavoro
Quando si parlava della Fiat, dei suoi fasti e delle sue cadute, in Italia si restava sempre approssimativi. Ed è cosa veramente strana, perché la più grande azienda di questo Paese avrebbe meritato un’attenzione costante, se non altro perché negli ultimi cinquant’anni lo sviluppo, o meglio l’espansione economica del Paese, è stata strettamente intrecciata alle necessità di produzione della Fiat. L’unico fatto non misterioso è che si sapeva (fin dal 1946, quando in Italia circolavano 500mila automobili) dell’esistenza di un “partito torinese”, eufemismo per dire più discrezionalmente un “partito Fiat”. Con più precisione, si poteva parlare di un “potere forte” della grande azienda automobilistica, che poteva essere noto ai ministri più importanti, ai grandi commis d’ètat, ai giornalisti parlamentari o a quelli “iniziati” che stanno tutti nei grandi media nazionali. Questo potere, diffuso e palpabile, tutelava l’azienda dalle indiscrezioni e dalle inchieste giornalistiche fastidiose, pilotando poi direttamente le grandi svolte che nell’azienda ci sono state e che non potevano essere trascurate dai grandi giornali e dalle televisioni.“Acquisti promozionali”Capitò così che, negli anni Novanta, l’americano Alan Friedmann e l’italiano Marco Borsa scrivessero due libri “fastidiosi” per i proprietari della Fiat e che quei due libri andassero paradossalmente esauriti per gli “acquisti promozionali” dello stesso ufficio pubbliche comunicazioni della Fiat: quei libri erano quasi accatastati in corso Marconi a Torino. Capitò così che la svolta del 1980, con Enrico Berlinguer in un famoso comizio d’autunno davanti ai cancelli Fiat che prometteva l’aiuto del Pci a un’ eventuale occupazione, diventasse il propellente per la famosa “marcia dei quarantamila” in un gioco mediatico ben orchestrato; così come lo scontro fatale interno alla fabbrica tra Romiti (uomo della finanza) e Ghidella (uomo degli ingegneri); così come l’entrata e l’uscita del capitale libico, con interessanti conseguenze borsistiche non proprio favorevoli ai risparmiatori; così come il ruolo Fiat nell’intricata vicenda di Tangentopoli.Insomma, il “grande potere” torinese si è tutelato mediaticamente (probabilmente anche a fin di bene), ma ha creato una sorta di doppio monopolio: la Fiat è l’unica azienda italiana a produrre automobili; la Fiat è l’unica azienda italiana che i grandi media trattano con il “dovuto rispetto”. Alla fine, però, di “monopolio si può anche morire”. Perché non sempre uno “splendido isolamento” permette di comprendere appieno innovazioni teconologiche, nuovi sviluppi del mercato, realtà politiche e sociali in pieno cambiamento.Buco neroPuò succedere quindi che per l’italiano medio, fino al 10 ottobre 2002, la Fiat, con il suo aristocratico “padrone” ammalato appartato, resti una gemma in un grande capitalismo agli sgoccioli. E poi, dopo l’uscita dei giornali del 10 ottobre, la Fiat diventi l’emblema del triste e inevitabile declino di un certo tipo di capitalismo, della grande impresa e di tutta l’Italia. In realtà, l’amara scoperta dell’italiano medio è come quella “dell’acqua calda”. Da almeno un anno si parla del “buco nero” della Fiat. All’inizio del 2000, un giornale “politicamente non corretto”(MF - Milano Finanza) calcolava il debito della Fiat a 80mila miliardi di vecchie lire, ma alcuni sofisticati operatori di rating tedeschi “sparavano” la cifra di 150mila miliardi. Difficile orientarsi tra queste cifre, sapere se sono esatte o meno, ma le percentuali di flessione del mercato automobilistico in tutto il mondo stavano davanti agli occhi di tutti: se i grandi marchi europei o americani perdevano il 7 per cento, la Fiat perdeva il doppio esatto. E tutti gli “iniziati” parlavano di quando General Motors avrebbe messo la sua unica bandiera sulla gloriosa “Fabbrica italiana automobili Torino”. Soprattutto, a quale prezzo.È difficile indicare le ragioni di questa parabola centenaria. Si può partire dalla frase impietosa di Enrico Cuccia negli anni Novanta: «Ho consigliato all’avvocato Agnelli di comprare azioni Mercedes e poi di non fabbricare più automobili», oppure guardare la decadenza di una fascia di utilitarie che il mercato attuale rifiuta. Oppure si può pensare agli errori per alcuni modelli, o ancora per non aver portato a termine ricerche su alcuni settori trainanti (il fuoristrada, ad esempio, dopo che fu varata tanti anni fa la “Campagnola”). Dopo il crollo del Muro di BerlinoPiù concretamente, a nostro parere, con il passare degli anni, il management Fiat non ha creduto più nel suo “core business”, come si dice, per abbracciare altri settori di investimento, trascurando così quello dell’automobile. Forse la spiegazione reale dello scontro tra Romiti e Ghidella sta proprio in questo punto. La svolta, poi, del dopo “Muro di Berlino” è, a conti fatti, per la Fiat come il passaggio dalla prima alla cosiddetta seconda repubblica italiana. Se per la prima repubblica c’era un salvagente geostrategico che era scoppiato, per la Fiat, la caduta del Muro si traduce, nel giro di poco tempo, in mercato globale, competizione aperta, fine della protezione statale, impossibilità di difendere il monopolio nazionale, anche dopo l’assorbimento di marchi italiani prestigiosi come “Lancia” (acquistata per una lira), “Alfa Romeo” (acquisto rateale complicato e mai ben chiarito), una grande casa automobilistica di cui Henry Ford parlava in questo modo: «Quando vedo passare un’Alfa mi tolgo il cappello». In più, ci permettiamo di azzardare solo un’ipotesi: nella complessiva ristrutturazione del mercato mondiale, all’Italia è forse stata assegnata una parte industriale marginale, senza cioè la possibilità di avere una grande industria nazionale in alcuni settori strategici della produzione. RassegnazioneÈ possibile che agli errori (anche quelli di valutazione politica generale) si sia aggiunta una rassegnazione della dirigenza Fiat, fino ad accettare la buona uscita della rendita, dolce e morbida, rispetto alla battaglia quotidiana e cruenta del profitto nella complicatissima società mondiale e postindustriale.Realisticamente, noi non crediamo a un salvataggio italiano della Fiat. Una classe politica più avveduta e un management industriale più combattivo avrebbe dovuto pensare molto prima alla crisi Fiat. Resta, al momento, il dolore per chi ci lavora, per quello che dovrà sopportare, per il futuro. Resta ancora il dolore per quella massa di immigrati italiani che si spostarono dal Sud al Nord per fare grande la Fiat con il loro lavoro. Resta il dolore di ogni italiano che ama il suo Paese, anche attraverso il marchio di una grande industria in declino.
mi piacerebbe sapere da voi, avere un giudizio da voi, a posteriori. ora... il vostro giudizio? preoccupazioni allarmanti o la fiat che luccica oggi è solo una bolla che presto ri-scoppiera?
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Giangiacomo
La fine dell’avventura?
10 ottobre 2002. Il giorno più nero dell’unica grande casa automobilistica italiana.
Un “partito trasversale” per cinquant’anni al centro della vita economica e politica del Paese.
In pericolo migliaia di posti di lavoro
Quando si parlava della Fiat, dei suoi fasti e delle sue cadute, in Italia si restava sempre approssimativi. Ed è cosa veramente strana, perché la più grande azienda di questo Paese avrebbe meritato un’attenzione costante, se non altro perché negli ultimi cinquant’anni lo sviluppo, o meglio l’espansione economica del Paese, è stata strettamente intrecciata alle necessità di produzione della Fiat. L’unico fatto non misterioso è che si sapeva (fin dal 1946, quando in Italia circolavano 500mila automobili) dell’esistenza di un “partito torinese”, eufemismo per dire più discrezionalmente un “partito Fiat”. Con più precisione, si poteva parlare di un “potere forte” della grande azienda automobilistica, che poteva essere noto ai ministri più importanti, ai grandi commis d’ètat, ai giornalisti parlamentari o a quelli “iniziati” che stanno tutti nei grandi media nazionali. Questo potere, diffuso e palpabile, tutelava l’azienda dalle indiscrezioni e dalle inchieste giornalistiche fastidiose, pilotando poi direttamente le grandi svolte che nell’azienda ci sono state e che non potevano essere trascurate dai grandi giornali e dalle televisioni.“Acquisti promozionali”Capitò così che, negli anni Novanta, l’americano Alan Friedmann e l’italiano Marco Borsa scrivessero due libri “fastidiosi” per i proprietari della Fiat e che quei due libri andassero paradossalmente esauriti per gli “acquisti promozionali” dello stesso ufficio pubbliche comunicazioni della Fiat: quei libri erano quasi accatastati in corso Marconi a Torino. Capitò così che la svolta del 1980, con Enrico Berlinguer in un famoso comizio d’autunno davanti ai cancelli Fiat che prometteva l’aiuto del Pci a un’ eventuale occupazione, diventasse il propellente per la famosa “marcia dei quarantamila” in un gioco mediatico ben orchestrato; così come lo scontro fatale interno alla fabbrica tra Romiti (uomo della finanza) e Ghidella (uomo degli ingegneri); così come l’entrata e l’uscita del capitale libico, con interessanti conseguenze borsistiche non proprio favorevoli ai risparmiatori; così come il ruolo Fiat nell’intricata vicenda di Tangentopoli.Insomma, il “grande potere” torinese si è tutelato mediaticamente (probabilmente anche a fin di bene), ma ha creato una sorta di doppio monopolio: la Fiat è l’unica azienda italiana a produrre automobili; la Fiat è l’unica azienda italiana che i grandi media trattano con il “dovuto rispetto”. Alla fine, però, di “monopolio si può anche morire”. Perché non sempre uno “splendido isolamento” permette di comprendere appieno innovazioni teconologiche, nuovi sviluppi del mercato, realtà politiche e sociali in pieno cambiamento.Buco neroPuò succedere quindi che per l’italiano medio, fino al 10 ottobre 2002, la Fiat, con il suo aristocratico “padrone” ammalato appartato, resti una gemma in un grande capitalismo agli sgoccioli. E poi, dopo l’uscita dei giornali del 10 ottobre, la Fiat diventi l’emblema del triste e inevitabile declino di un certo tipo di capitalismo, della grande impresa e di tutta l’Italia. In realtà, l’amara scoperta dell’italiano medio è come quella “dell’acqua calda”. Da almeno un anno si parla del “buco nero” della Fiat. All’inizio del 2000, un giornale “politicamente non corretto”(MF - Milano Finanza) calcolava il debito della Fiat a 80mila miliardi di vecchie lire, ma alcuni sofisticati operatori di rating tedeschi “sparavano” la cifra di 150mila miliardi. Difficile orientarsi tra queste cifre, sapere se sono esatte o meno, ma le percentuali di flessione del mercato automobilistico in tutto il mondo stavano davanti agli occhi di tutti: se i grandi marchi europei o americani perdevano il 7 per cento, la Fiat perdeva il doppio esatto. E tutti gli “iniziati” parlavano di quando General Motors avrebbe messo la sua unica bandiera sulla gloriosa “Fabbrica italiana automobili Torino”. Soprattutto, a quale prezzo.È difficile indicare le ragioni di questa parabola centenaria. Si può partire dalla frase impietosa di Enrico Cuccia negli anni Novanta: «Ho consigliato all’avvocato Agnelli di comprare azioni Mercedes e poi di non fabbricare più automobili», oppure guardare la decadenza di una fascia di utilitarie che il mercato attuale rifiuta. Oppure si può pensare agli errori per alcuni modelli, o ancora per non aver portato a termine ricerche su alcuni settori trainanti (il fuoristrada, ad esempio, dopo che fu varata tanti anni fa la “Campagnola”). Dopo il crollo del Muro di BerlinoPiù concretamente, a nostro parere, con il passare degli anni, il management Fiat non ha creduto più nel suo “core business”, come si dice, per abbracciare altri settori di investimento, trascurando così quello dell’automobile. Forse la spiegazione reale dello scontro tra Romiti e Ghidella sta proprio in questo punto. La svolta, poi, del dopo “Muro di Berlino” è, a conti fatti, per la Fiat come il passaggio dalla prima alla cosiddetta seconda repubblica italiana. Se per la prima repubblica c’era un salvagente geostrategico che era scoppiato, per la Fiat, la caduta del Muro si traduce, nel giro di poco tempo, in mercato globale, competizione aperta, fine della protezione statale, impossibilità di difendere il monopolio nazionale, anche dopo l’assorbimento di marchi italiani prestigiosi come “Lancia” (acquistata per una lira), “Alfa Romeo” (acquisto rateale complicato e mai ben chiarito), una grande casa automobilistica di cui Henry Ford parlava in questo modo: «Quando vedo passare un’Alfa mi tolgo il cappello». In più, ci permettiamo di azzardare solo un’ipotesi: nella complessiva ristrutturazione del mercato mondiale, all’Italia è forse stata assegnata una parte industriale marginale, senza cioè la possibilità di avere una grande industria nazionale in alcuni settori strategici della produzione. RassegnazioneÈ possibile che agli errori (anche quelli di valutazione politica generale) si sia aggiunta una rassegnazione della dirigenza Fiat, fino ad accettare la buona uscita della rendita, dolce e morbida, rispetto alla battaglia quotidiana e cruenta del profitto nella complicatissima società mondiale e postindustriale.Realisticamente, noi non crediamo a un salvataggio italiano della Fiat. Una classe politica più avveduta e un management industriale più combattivo avrebbe dovuto pensare molto prima alla crisi Fiat. Resta, al momento, il dolore per chi ci lavora, per quello che dovrà sopportare, per il futuro. Resta ancora il dolore per quella massa di immigrati italiani che si spostarono dal Sud al Nord per fare grande la Fiat con il loro lavoro. Resta il dolore di ogni italiano che ama il suo Paese, anche attraverso il marchio di una grande industria in declino.
mi piacerebbe sapere da voi, avere un giudizio da voi, a posteriori. ora... il vostro giudizio? preoccupazioni allarmanti o la fiat che luccica oggi è solo una bolla che presto ri-scoppiera?
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Giangiacomo
www.DIFENDILTUOFUTURO.com
LANCIAMO UNA CAMPAGNA A DIFESA delle RIFORME BERLUSCONI
Difendere le riforme del governo Berlusconi e attaccare la sinistra sul riconteggio dei voti.
"Forza Italia si mobilita in difesa delle riforme del governo Berlusconi, che il governo Prodi sta distruggendo una per una, nonostante gli indubbi risultati positivi che queste leggi hanno permesso di raggiungere, nell’interesse di tutti gli italiani."
Ludovico Festa su Il Giornale (http://www.forzaitalia.it/notizie/arc_9966.htm) ha lanciato l'idea di formare comitati in tutti i centri italiani, grandi e piccoli, per la difesa delle leggi e delle riforme varate dal governo Berlusconi, a partire dalla legge Biagi sul lavoro e dalla legge Maroni sulle pensioni.. La prima iniziativa è il lancio del nuovo sito internet www.difendiltuofuturo.com, dove sarà possibile per i cittadini e le associazioni aderire come singoli e come gruppo all'appello.
PASSAPAROLA!
Difendere le riforme del governo Berlusconi e attaccare la sinistra sul riconteggio dei voti.
"Forza Italia si mobilita in difesa delle riforme del governo Berlusconi, che il governo Prodi sta distruggendo una per una, nonostante gli indubbi risultati positivi che queste leggi hanno permesso di raggiungere, nell’interesse di tutti gli italiani."
Ludovico Festa su Il Giornale (http://www.forzaitalia.it/notizie/arc_9966.htm) ha lanciato l'idea di formare comitati in tutti i centri italiani, grandi e piccoli, per la difesa delle leggi e delle riforme varate dal governo Berlusconi, a partire dalla legge Biagi sul lavoro e dalla legge Maroni sulle pensioni.. La prima iniziativa è il lancio del nuovo sito internet www.difendiltuofuturo.com, dove sarà possibile per i cittadini e le associazioni aderire come singoli e come gruppo all'appello.
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