domenica 25 agosto 2013
Non soffiare sul fuoco tra Europa e Usa
Riporto l'editoriale di Angelo Panebianco dello scorso Venerdì 5 Luglio 2013 su Il Corriere della Sera Una relazione indispensabile Per chi crede che la storia si riduca a una successione di complotti, la crisi dei rapporti euro-americani innescata dalle rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio statunitense ai danni dell'Europa, è solo una conferma. Per i patiti dei complotti, cinesi e russi hanno manovrato la marionetta Snowden per mettere nei guai Obama e suscitare un'ondata di sdegno antiamericano in Europa. L'obiettivo? Compromettere le trattative per l'accordo di libero scambio fra Stati Uniti e Europa, la Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) un accordo che, in prospettiva, potrebbe dare un salutare colpo di frusta all'economia euro-atlantica ma anche, forse, contribuire a falsificare le più cupe profezie sul «declino dell'Occidente» e l'inarrestabile ascesa dell'Oriente. Per chi non crede alle teorie del complotto, semplicemente, Snowden e le sue rivelazioni sono un regalo del cielo, una opportunità insperata, che russi e cinesi hanno sfruttato e sfruttano. La condotta giusta da tenere è quella indicata dal nostro ministro degli Esteri, Emma Bonino: da un lato, esigere con fermezza spiegazioni dall'Amministrazione Obama e, dall'altro, tenere a bada coloro che soffiano sul fuoco per aggravare la crisi in atto nei rapporti euro-americani. Una crisi che, probabilmente, prima o poi, verrà in qualche modo ufficialmente superata (tutti hanno troppo da perdere), ma che lascerà comunque dietro di sé una scia di veleni. Rendendo ancora più difficile di quanto già non apparisse in partenza (prima delle rivelazioni di Snowden) portare a compimento l'accordo sulla Ttip. Ricordiamo cosa è in gioco e anche perché un fallimento dell'accordo sarebbe assai gradito alle potenze extraoccidentali. In gioco, prima di tutto, c'è lo slancio che l'accordo potrebbe dare all'economia euro-americana. Gli economisti calcolano quanti posti di lavoro in più, e quanti punti in percentuale del Pil in più, la costruzione di un mercato unico (o di qualcosa che, per lo meno, vi si avvicini) frutterebbe sia agli europei che agli americani. Ma al di là delle previsioni sui numeri ci sarebbe soprattutto un effetto psicologico le cui conseguenze economiche non possono essere quantificate in anticipo. Come ha scritto, fra gli altri, Giuliano Amato ( Il Sole 24 Ore , 23 giugno), l'accordo creerebbe un clima di fiducia e di ottimismo generalizzati, spingerebbe centinaia e centinaia di operatori economici ad allargare i loro orizzonti, a scommettere sul futuro. In breve, potrebbe rinvigorire i languenti «spiriti animali» del capitalismo occidentale. I probabili effetti economici positivi avrebbero potenti ripercussioni politiche. L'area euro-atlantica riacquisterebbe, nei tanti tavoli ove deve trattare con la Cina, con la Russia e le altre potenze già emerse o emergenti, una forza che negli ultimi anni ha perduto. Si consideri anche un altro aspetto. Obama è il presidente degli Stati Uniti culturalmente più lontano dall'Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma anche lui ha constatato quanto inconcludente sia stata una politica che, mentre snobbava i vecchi alleati europei, privilegiava il rapporto con le potenze autoritarie (Cina) o semi-autoritarie (Russia) nella speranza di stabilire durevoli relazioni di cooperazione e di fiducia. Giocava l'errata convinzione che la natura dei regimi politici (o dei movimenti politici: vedi l'atteggiamento verso i Fratelli Musulmani egiziani) sia irrilevante ai fini della cooperazione internazionale. Ma non lo è. Già prima del caso Snowden, la tensione fra gli Stati Uniti e la Russia di Putin era arrivata alle stelle (Siria, scudo missilistico in Europa, eccetera). Ed è ormai chiaro che le relazioni con la Cina sono destinate a diventare sempre più competitive e tese. Riaprire agli europei era dunque, per Obama, necessario. Da qui il progetto della Ttip. Un progetto con tanti nemici su entrambe le sponde dell'Atlantico. Nemici economici: coloro che, nei vari comparti (industria culturale, agricoltura, eccetera), guadagnano dal mantenimento di barriere. Nemici burocratici: le amministrazioni nazionali che difendono una discrezionalità e una capacità di regolazione che verrebbero indebolite dal mercato unico. Nemici politici: un mondo variopinto che comprende gli isolazionisti statunitensi e i tanti antiamericani per principio sparsi per il Vecchio Continente. Il presidente Hollande, campione del protezionismo culturale francese, e uno dei più zelanti nel minacciare di affondare l'accordo, coltiva con evidente tenerezza questi diversi tipi di nemici. Obama riapre all'Europa e poi scivola sul Datagate. Dovrà ricucire e rassicurare. Ma anche agli europei non conviene esasperare troppo i toni. Perché se Obama, alla fine, ha scoperto che gli Stati Uniti non possono fare a meno dell'Europa, di sicuro gli europei non possono fare a meno dell'America. Per tre ragioni. La prima ha a che fare con la sicurezza: senza la cooperazione americana, l'Europa non è in grado di proteggersi dalle minacce (terroristiche in primo luogo). La seconda è che l'Europa, contando sulle proprie sole forze, non ha saputo fare di meglio che incartarsi politicamente rischiando l'autodistruzione. Se la storia degli ultimi sessanta anni insegna qualcosa, essa mostra che quando la comunità euro-atlantica è coesa anche l'integrazione europea si rafforza. Quando i legami euro-atlantici si sfilacciano, i rapporti interni alla Unione europea seguono la stessa sorte. La terza ragione è geopolitica. Nel mondo si giocano complesse partite per il potere e l'egemonia internazionale. Rilanciare la comunità euroatlantica, facendo leva sull'accordo per il libero scambio, è, anche per l'Europa, il solo modo disponibile per partecipare a quelle partite con qualche buona carta in mano. see u, Giangiacomo
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